bell hooks: insegnare il pensiero critico, aprirsi al possibile | bell hooks: teaching critical thinking, opening up to the possible

DOI:10.5281/zenodo.10647047 | PDF

Educazione Aperta 15/2024

Chiudere un cerchio. Questa è stata l’impressione, dopo aver terminato la lettura dell'ultimo libro della scrittrice, docente, accademica e critica culturale afro-americana bell hooks (1952-2021), dedicato alla pedagogia impegnata.

Ho iniziato a leggere il primo libro, Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà nel 2020, appena pubblicato dalla casa editrice Meltemi, all’interno della collana Culture radicali, tradotto da feminoska. Scritto nel 1994. Ho continuato poi con il secondo Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, pubblicato sempre da Meltemi nel 2022. La sua prima edizione in lingua inglese è del 2003. Sono quindi giunta al terzo Insegnare il pensiero critico. Saggezza pratica, pubblicato nel 2023, stessa casa editrice, stessa traduttrice, anche del secondo volume. Il titolo originario è Teaching Critical Thinking: Practical Wisdom, Routledge, edito nel 2009. La traduzione italiana è introdotta da una nota editoriale che ne specifica il posizionamento politico: dare spazio alle voci, alle riflessioni e alle pratiche di femministe nere. Si apre, poi, con una vibrante e intensa prefazione della scrittrice nera italiana Espérance Hakuzwimana.

Introduzione

Come i volumi precedenti, bell hooks esplora “le connessioni esistenti tra la pedagogia impegnata e le questioni relative a razza, genere e classe, nonché l’impatto del lavoro di Paulo Freire” sul suo pensiero (p. 28). L'esplorazione segue, tuttavia, una modalità differente rispetto ai precedenti. Ha un taglio pratico, operativo, breve e stimolante.

Infatti, a differenza dei primi due volumi di questa trilogia, Insegnare il pensiero critico. Saggezza pratica non è una raccolta di saggi ma è una serie di commenti e di risposte appassionate a problemi e a preoccupazioni che insegnanti e studenti hanno sottoposto alla docente, scrittrice e critica culturale nel corso di vent’anni.

Queste risposte si sviluppano in trentadue insegnamenti tra loro indipendenti. Tant’è che possono essere esplicativi e interessanti, anche se letti singolarmente.

Complessivamente sono un’eredità importante in ambito educativo del più vasto e composito pensiero critico dell’intellettuale nata nel Sud rurale e segregato degli Stati Uniti, nel 1952.

In 220 pagine, la docente afro-americana ci consegna ricchi spunti e inviti per orientare le nostre pratiche educative quotidiane e per mantenere aperte le teorie pedagogiche in modo permanente. Secondo l’accademica hooks vi è un legame interdipendente tra pratica e teoria. La conoscenza teorica nasce dall’esperienza:

la conoscenza radicata nell’esperienza modella ciò cui diamo valore e di conseguenza come sappiamo ciò che sappiamo, e come usiamo ciò che sappiamo (p. 217).

Le questioni educative in Insegnare il pensiero critico sono molto varie. Ad esempio: che cosa vuol dire educazione democratica negli Stati Uniti? La rivoluzione femminista in America come ha ridefinito i curricula universitari? Un testo con pregiudizi razzisti può insegnare? In classe c’è spazio per l’amore? Spiritualità e sessualità possono essere affrontate nei contesti educativi?

Queste e altre questioni sono affrontate da angolazioni differenti. Scaturite dall'esperienza nata non solo nell’aula universitaria, ma anche in modo diffuso, quotidiano, plurale e aperto.

Ciò che accomuna i trentadue insegnamenti è il posizionamento critico, decostruttivo e profondo che caratterizza tutta la trilogia dedicata alla pedagogia impegnata.

All’origine della pedagogia impegnata

Della pedagogia impegnata bell hooks mostra il fondamento, ossia l’interazione autentica, reciproca e coinvolta, in cui anche il livello emotivo di tutte le persone implicate è fondamentale.

Nell’interazione educativa il tempo per osservarsi e per conoscersi è fondamentale, al fine di creare la base di “un apprendimento ottimale” (p. 43). È, infatti, nell’intravedersi reciproco, integro, onesto e intenso che l’apprendimento significativo si avvia. L’apertura può comportare dei rischi, delle tensioni e dei conflitti: certo. Soprattutto quando, sottolinea hooks, si toccano argomenti intimi, significativi e vissuti quotidianamente come: la spiritualità, la sessualità, la razza e il genere.

Le lacrime, come la rabbia, non sono però da sminuire. Anzi, sono occasioni per “alimentare la consapevolezza dell’argomento” affrontato (p. 107). Le emozioni sono parte del processo di apprendimento, lo rendono significativo. La razionalità non deve prevalere per hooks “sul corpo”, “sullo spirito” e su “i nostri sensi”. I nostri stati emotivi, così come i nostri sensi sono importanti per conoscere il mondo e le sue dinamiche. La docente afro-americana afferma che a partire della nostra spiritualità ed emotività si può avere una “comune comprensione” (p. 111).

La comune comprensione non è appiattimento delle differenze. Le “differenze di pensiero e di opinione” vanno rispettate, perché allenano la mente “all’apertura radicale” e preparano ad affrontare la realtà (p. 116).

La docente nell’affrontare temi importanti e complessi, suggerisce anche l’uso sapiente dell’umorismo. L’umorismo, o sentimento del contrario, è utile a stemperare le tensioni e i conflitti, perché crea un clima di distensione e apertura: mediando. Oggi nel 2023 l’utilizzo dell’umorismo in contesti educativi e formativi può sembrare scontato, così non era quando bell hooks inizia ad insegnare in università, in contesto americano ancora segnato dalla segregazione razziale e dal sessismo, come l’autrice spiega nel diciassettesimo insegnamento Nera, donna e accademica.

La docente fa una precisazione ulteriore e interessante sull’umorismo. In ambito educativo e formativo l’umorismo non è da confondere con il sarcasmo che deride, giudica, disprezza ed esclude soggettività marginalizzate; ma è una forma di comicità acuta, solidale e rapida che “fa avvicinare le persone”, perché è un momento di sospensione. L’utilizzo dell'umorismo è necessario soprattutto nelle situazioni educative “in cui le separazioni sono nette, la diversità è la norma, o le materie studiate mettono gli studenti di fronte a realtà deprimenti” (p. 99), violente e complicate.

Decolonizzare le pratiche e le teorie

L’utilizzo dell’umorismo, inoltre, può essere anche uno strumento per superare le resistenze. Proprio perché la pedagogia critica apre all’inedito, decostruisce i pregiudizi e attiva, le persone studenti oppongono una forte resistenza al cambiamento proposto. Indipendente dal fatto che questo sia proposto attraverso la lettura di libri, la visione di film, o attraverso attività laboratoriali, o corsi di aggiornamento.

 La pedagogia critica mette in crisi il mondo come l’abbiamo sempre pensato, conosciuto, studiato e immaginato. O meglio, come la cultura dominante plasma la mente sin dalla più tenera età. Questo argomento è affrontato dall’autrice nel capitolo intitolato Scrivere libri per l’infanzia.

 Il pensiero critico, infatti, cerca di aprire al dubbio l’abituale e il consolidato modo di comportarsi, di pensare e di parlare. Pensiamo ad esempio agli stereotipi di genere, che ancora ci condizionano; oppure la mentalità razzista che indottrina le persone bianche al domino su tutte le altre; oppure lo stigma che subisce chi vive una storia d’amore non eterosessuale e/o non monogama.

La pedagogia critica non si limita a lavorare sui pregiudizi ma, in modo radicale, vuole mettere in discussione lo status quo. Nel capitolo Decolonizzare, bell hooks scrive che la pedagogia critica contesta la “cultura dominante americana”, che è patriarcale, imperialista, capitalista, suprematista bianca e omofoba. La cultura dominante è contestata per aprire la persona verso “nuovi modi di pensare e di essere” (p. 53). L’obiettivo di questa radicale contestazione è quello di “porre fine al dominio in tutte le sue forme” (p. 100). L’humus di pratiche e di teorie da cui è sorta questa opposizione alla cultura e all’educazione depositaria sono infatti: i movimenti per la giustizia sociale, ossia il movimento dei diritti civili e il femminismo; ma anche i movimenti di liberazione e di decolonizzazione dell’Africa, Sud America, della Cina e di tutti i popoli colonizzati e “privati di diritti” (p. 50). Proprio a partire dai movimenti di contestazione decoloniale si è potuto “riesaminare il mondo attraverso una comprensione inedita del mondo” (p. 51).

La scrittrice afro-americana è consapevole che questo processo di liberazione è senza fine (p. 54) e non a costo zero.

Molti sono i fraintendimenti degli obiettivi della pedagogia critica; bell hooks precisa che la pedagogia impegnata non ha come obbiettivo finale, quello di far diventare le persone tante “piccole bell hooks”. Il fine della pedagogia critica è lo sviluppo di un personale pensiero critico. Orientato a “fare domande, sospendere il giudizio e mettere insieme chi, cosa, quando, dove, come e perché” (p. 215). Il pensiero critico appreso è quindi unico, originale e diverso rispetto a quello dell’insegnante.

In Insegnare il pensiero critico l’accademica insiste anche sull’importanza della libertà di espressione e sul “diritto al dissenso” (p. 116); ma centrali sono anche il dialogo e la conversazione onesta. Inoltre, all’interno del capitolo Collaborazione la pensatrice afferma:

non esiste un modo solo di approcciarsi alle lotte necessarie per educare alla libertà. La nostra collaborazione, […] deve necessariamente riflettere le nostre differenze, i nostri posizionamenti unici che occupiamo, e per questo assumerà inevitabilmente forme diverse (p. 67).

Tuttavia, precisa che “la solidarietà delle differenze non è solo possibile, ma anche necessaria” (p. 69).

La pedagogia critica può essere anche considerata una forma mentis. Questa forma mentis permette di capire e di affrontare il razzismo, il classismo, il sessismo, l’omofobia, il fondamentalismo religioso presenti nella società e alcune dinamiche famigliari disfunzionali. Apre, così, le porte dell’autorealizzazione e dell'autodeterminazione (p. 219).

Nonostante tutte le difficoltà del processo di decolonizzazione personale, mentale, economica e socio-culturale, come ricorda anche Audre Lorde: “Ognuno di noi deve trovare il suo lavoro e farlo” (2014, pp. 220-221).

Infatti tutte le persone possono “impegnarsi nel pensiero critico” (hooks, p. 219). Nella nostra vita quotidiana è possibile e sarebbe auspicabile cercare di andare oltre a ciò che ci sembra naturale, o assodato per convenzione storico-sociale-culturale; aprendoci ad altre possibilità e quindi alla meraviglia, anche quando si è persone adulte.

Il pensiero critico, infatti, come concepito da bell hooks, è un invito a inventarci e reinventarci sempre.

La repubblica dell’immaginazione

Centrale in questo processo di apertura perenne è l’immaginazione. È proprio grazie all’immaginazione che possiamo andare oltre all’abituale, al conosciuto e collegare ciò che in apparenza è scollegato.

Pensare fuori dagli schemi è la condicio sine qua il cambiamento non può avviarsi, afferma la scrittrice. Inoltre l’immaginazione, scrive hooks, diventa anche “una delle modalità di resistenza più potenti a disposizione delle persone oppresse e sfruttate” (p. 89). Questa idea non è nuova in ambito decoloniale.

La capacità di immaginare permette di realizzare una rivoluzione continua e di non perdere la propria soggettività, anche nelle situazioni più oppressive, o deprivate. Quando leggevo l’insegnamento sul potere dell’immaginazione, mi sono tornate in mente le parole di Azar Nafisi scrittrice e anglista iraniana esiliata negli Stati Uniti d’America, a causa delle discriminazioni subite in università dal regime teocratico:

La mia fantasia ricorrente è che alla Carta dei Diritti dell'Uomo venga aggiunta la voce: diritto all'immaginazione. Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia. Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa sempre comunicare col mondo di tutti. Altrimenti, come facciamo a sapere che siamo esistiti? […] I fatti concreti di cui parliamo non esistono, se non vengono ricreati e ripetuti attraverso le emozioni, i pensieri e le sensazioni.

Da queste parole tratte dalle pagine finali dell’iconico romanzo-memoria Leggere Lolita a Teheran, edito in italiano da Aldelphi nel 2007, emerge più di un’affinità con la docente afro-americana. Ciò che accomuna la scrittrice iraniana a bell hooks è il riconoscimento del potere sovversivo della letteratura, della lettura e come quindi l'alfabetizzazione sia fondamentale per vivere una vita piena, consapevole e non isolata. La lettura, infatti, è un ponte “con il mondo che esiste al di là” di noi, che offre la possibilità di connettersi con altre soggettività (p. 167).

Non solo, il potere della lettura è fondamentale per il “futuro della democrazia” stessa, afferma bell hooks (p. 166). Alla base della democrazia, infatti, c’è il rispetto della pluralità delle idee e quindi delle storie, anche di quelle poste al margine della società. La pluralità di storie consente di aver un’immagine più completa, più variegata e meno stereotipata del mondo, come sostiene anche la scrittrice femminista nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie (2020). È nella pluralità, infatti, che si accede a quella che la scrittrice iraniana Nafisi chiama Repubblica dell’immaginazione.

In Imparare al di là dell’odio, la critica afro-americana sottolinea anche la possibilità di imparare da storie scritte nel passato plasmate dal pensiero dominante e abusante. Racconta come uno dei suoi scrittori preferiti sia lo scrittore bianco del Sud William Faulkner. Le sue opere, pur avendo molti aspetti positivi, “perpetuano stereotipi sessisti e razzisti” (p. 137) e alimentano “un mondo che ti ferisce” (p. 139). Risultano, così, in parte deludenti e non pienamente godibili. La questione della prospettiva, così come dei diversi luoghi della parola, per riprendere l’espressione della filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, è fondamentale nella pedagogia critica di bell hooks.

Pertanto è necessaria, in chi legge, o propone un testo, o altro, l’adozione di uno “sguardo critico nei confronti di personaggi che esprimono intenso pregiudizio e odio per qualsiasi gruppo oppresso” (pp. 139-140). Questa attenzione si estende anche e soprattutto alle opere contemporanee in cui una violenta e stereotipata “rappresentazione di qualsiasi gruppo” (p. 140) non è più tollerabile. Affinché un apprendimento sia significativo, infatti, deve coltivare in modo genuino l’autostima di chi apprende. Ciò vale in particolare, se è una soggettività discriminata e/o marginalizzata a livello socio-culturale. Come ricorda bell hooks nel capitolo Autostima.

L’amore fatto di “una combinazione di cura, impegno, conoscenza, responsabilità, rispetto e fiducia” (p. 191) è alla base dell’apprendimento, ma è anche il “fondamento di tutti i movimenti sociali per l’autodeterminazione” (p. 208). Mettere al centro delle nostre pratiche e teorie “significa mettere la parola fine al dominio” (p. 208).

Conclusioni

Al cuore di questi trentadue insegnamenti ci sono il concetto di diversità variamente declinata e l’idea che il pluralismo non deve essere eliminato, odiato, temuto ma va abbracciato e coltivato, a scuola e al di fuori di essa.

Questo concetto di apertura alla diversità plurale è il riflesso delle contestazioni politiche e sociali che a partire dagli anni Cinquanta-Sessanta hanno contraddistinto la società nord americana. L’intrecciarsi del movimento per i diritti civili, dei movimenti femministi, del movimento dei diritti delle persone LGBTQIA+ e i movimenti decoloniali del Sud del mondo, ha cambiato profondamente la storia dell'educazione negli USA.

In Italia ci sono ancora tanti passi da fare. Non solo per “pensare in modo critico”, aperto e quotidiano alla razza, ma anche alla classe, al genere e alla sessualità, come bell hooks invita a fare (p. 140). Sono argomenti affrontati nel discorso accademico, ma non appartengono alla nostra coscienza comune, o ordinaria. Affrontare certe discussioni è molto difficile. Parlare del proprio orientamento sentimentale e sessuale, o di quello di altre persone può essere complicato; idem, conversare sull’espressione di genere che superi il binarismo. Oppure dialogare di spiritualità, di fede e di pratiche religiose e di sessualità, può essere addirittura impossibile, se si sconfina oltre l'eterosessualità.

Sono argomenti che generano tensioni, incomprensioni e delle volte dei veri strappi nelle relazioni e nelle famiglie. A meno che le persone non abbiano iniziato un processo di dis-apprendimento e di decostruzione della propria omofobia interiorizzata. Un discorso analogo su può fare per gli altri sistemi oppressivi: razzismo, sessismo, classismo, fondamentalismo religioso e abilismo.

A volte, anche l’aver intrapreso un percorso personale di decolonizzazione e di autocoscienza non conduce a un confronto onesto e alla pari, che tiene conto dei diversi posizionamenti delle persone. Ciò compromette ugualmente le relazioni anche tra persone progressiste e impegnate nell’ “porre fine al dominio in tutte le sue forme” (p. 100).  

Proprio per le difficoltà e le resistenze ad affrontare certi argomenti, il pensiero sulla pedagogia critica di questa femminista nera dovrebbe essere messo tra le letture fondamentali per chi si occupa di educazione e di formazione oggi: in una società sempre più plurale, variegata, ma molto chiusa all’interazione positiva e paritaria con soggettività minorizzate. Le idee e le osservazioni di bell hooks in ambito pedagogico dovrebbero essere messe accanto a quelle di don Lorenzo Milani, di Maria Montessori, di Paulo Freire e di Hannah Arendt.

Le considerazioni sull’educazione come pratica della libertà di hooks sarebbero capaci di sfidare i nostri pregiudizi, aprici al dubbio, ma anche d’infondere gioia e senso di speranza; e quindi capaci d’ispirare parole, pratiche e teorie.

Per concludere io penso, come l’autrice, che “l’educazione come pratica della libertà dovrebbe essere normalizzata” (p. 59). Leggere i pensieri di quest’accademica nera non dovrebbe essere riflesso di un posizionamento culturale radicale, come indica anche la collana in cui questa trilogia è stata posta. Leggere bell hooks dovrebbe essere uno dei tanti riflessi del nostro ordinario essere nel mondo e col mondo.

Riferimenti bibliografici

Adichie C.N., Il pericolo di un’unica storia, Einaudi, Torino 2020.

hooks b., Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà, Meltemi, Milano 2020.

hooks b., Insegnare Comunità. Una pedagogia della speranza, Meltemi, Milano 2022.

hooks b., Insegnare il pensiero critico. Saggezza pratica, Meltemi, Milano 2023.

Nafisi A., Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2007.

Nafisi A., La Repubblica dell'Immaginazione, Adelphi, Milano 2014.

Ribeiro D., Il luogo della parola, Capovolte, Alessandria 2020.