bell hooks in Italia: alcune considerazioni sulla sua pedagogia critica | bell hooks in Italy: some considerations on his critical pedagogy

DOI: 10.5281/zenodo.8225345 | PDF | Educazione Aperta 14/2023

Era il 16 dicembre 2021 quando bell hooks moriva lasciandoci una preziosa, plurale e precisa eredità intellettuale.

A dicembre quando si avvicinava il primo anniversario della sua dipartita, io stavo finendo di leggere il secondo volume della trilogia dedicata dalla docente alla pedagogia e in modo particolare all’insegnamento universitario: Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, tradotto in italiano nel 2022, da feminoska per Meltemi e inserito all’interno della collana Culture Radicali. Recentemente è stato anche tradotto e pubblicato il terzo libro della trilogia Insegnare il pensiero critico. In attesa di leggerlo vorrei soffermarmi, appunto, sul volume Insegnare comunità. Svilupperò alcune brevi considerazioni personali sulla sua collocazione all’interno del contesto culturale e sociale italiano.

Il titolo originario dell’opera in inglese è Teaching Community. A Pedagogy of Hope, pubblicata nel 2003. Segue e approfondisce l’altro noto e fondamentale libro di hooks: Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà. Tradotto in italiano sempre da feminoska, nel 2020. Il testo originario, del 1994 è Teaching to Transgress: Education as the Practice of Freedom.

Ho detto fondamentale perché Insegnare a trasgredire è un vero e proprio manifesto di quella che è la pedagogia critica, impegnata e decoloniale. Al suo interno hooks mette in luce i rapporti di forza nei contesti formativi, nelle relazioni educative e le varie strutture oppressive presenti nella società americana: ma ravvisabili anche nella nostra, seppur in modo diverso.

Letto da solo tuttavia non è sufficiente, ma parziale. Nel loro insieme Insegnare a trasgredire, Insegnare comunità, Insegnare il pensiero critico, invece, possono rappresentare un vero e proprio percorso a tappe di formazione critica e decoloniale per chi si occupa di processi educativi e formativi, anche al di fuori dell’aula universitaria.

In generale le riflessioni scritte da hooks, non solo all'interno di questa trilogia, ci portano a far i conti con i nostri privilegi e con i nostri aspetti più intolleranti, razzisti, misogini, eterocentrati, nonché con le opportunità di vita impari di soggettività sub-alternizzate immerse nel capitalismo. I vari problemi sono nominati e analizzati. Tuttavia quello che rimane sullo sfondo in Insegnare a trasgredire è: come affrontarli? Come superare le fratture, le disparità, i confini e le violenze nelle nostre società?

bell hooks risponde a questi come educando a partire dall'aula universitaria, vero “luogo di speranza” (p. 28), ma non solo…

In Insegnare Comunità, infatti, sviluppa dei consigli operativi consapevole che:

Quando nominiamo esclusivamente il problema, quando ci lamentiamo senza focalizzarsi sulla soluzione, soffochiamo la speranza. La critica diventa semplicemente l’espressione di un profondo cinismo, funzionale a sostenere la cultura dominante. (p. 28).

In questo secondo volume indica nuovi modi di pensare, di insegnare e di educare "affinché il nostro lavoro non rafforzi i sistemi imperialisti di dominio e razzismo, sessismo o di privilegio di classe” (p. 28), ma anzi sia un vero aiuto alla vita; e sia una possibilità di espansione e liberazione reciproca. Il richiamo al pensiero del pedagogista brasiliano Freire Paulo è molto vivido. Anche per l’intellettuale afro-americana la pedagogia è una pedagogia della speranza: ossia dialogica e cooperativa. Quella di hooks è una pedagogia che parte dall'esserci qui e ora per cambiare il futuro. Per bell hook è il presente ad essere il momento migliore per apprendere e cambiare e non quello che verrà. Ferma è l'opposizione della docente all’idea di progresso tipica della mentalità capitalistica che pone l’accento sul domani, negando l’importanza del presente: è nell’oggi che può imparare a mettere in discussione le condizioni reali in cui viviamo.

hooks è convinta che l’apprendimento formale o non formale sia possibile sempre, nonostante le complessità: in qualsiasi contesto, anche quello più segregato e marginale.

Per la studiosa nulla può frenare una mente aperta. Una mente aperta è sempre capace di trovare il modo di conoscere, di superare anche la pericolosa frammentazione personale, socio-culturale e il collegato “senso di perdita” che caratterizza la nostra società. Per la studiosa è sempre possibile ricreare anche una “connessione reciproca” nuova.

Questa nuova connessione reciproca può avvenire non solo attraverso uno autentico "scrutinio del sè”, ma soprattutto affidandosi “alla condivisione di racconti personali” senza alcuna presunzione di superiorità. Ciò aiuta a “creare fiducia” e a “scoprire che cosa abbiamo in comune con le altre persone, e allo stesso modo che cosa ci separa e ci rende diversi” (pp. 145-147), a partire dalle piccole cose, situazioni, esperienze ed emozioni della vita quotidiana.

In Italia le storie di vita sono ampiamente utilizzate non solo in ambito universitario, anche nei livelli precedenti d’istruzione per approssimarsi a questioni storiche o sociali importanti. Si potrebbe fare un passo in più, seguendo il posizionamento critico di hooks, anziché leggere parti dei discorsi di Martin Luther King, leggere anche Malcom X, anziché leggere solo il diario di Anna Frank, magari proporre anche Ceija Stojka, artista rom sopravvissuta ad Auschwitz. Forse così vari vissuti e sensibilità plurali verrebbero conosciute e capite.

Nominare i diversi luoghi della parola, riprendendo l’espressione della filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, non porta necessariamente al conflitto. Non sono i diversi posizionamenti ad essere problematici, ma anzi è la negazione delle differenze che “ha generato un conflitto senza fine” (p. 147), ricorda sempre la docente afro-americana. Per superare questo conflitto è necessario abbandonare i semplicismi, o i sentimentalismi e le ricette facili che in contesto complesso ed eterogeneo come il nostro finiscono per confermare lo status quo e i suoi sistemi oppressivi.

A tal proposito, voglio riprendere per intero questo passaggio:

dobbiamo imparare ad affrontare le nostre differenze, celebrandole quando possiamo, e a sfidare rigorosamente le tensioni quando si manifestano. Sarà sempre più importante, persino necessario, essere consapevoli che siamo più delle nostre differenze, che non è solo ciò che condividiamo senza fatica che può unirci, ma ciò che arriviamo ad avere in comune perché ci siamo impegnati a creare una comunità, a trovare l'unità nelle differenze, il che richiede solidarietà nell'ambito di una struttura di valori, credenze, aneliti che vanno sempre al di là del corpo, desideri che hanno a che fare con lo spirito universale. (p. 147)

Il frammento del libro che ho ripreso è molto spirituale. La spiritualità riveste, infatti, un posto importante nella proposta pedagogica di bello hooks. Così come in generale nel suo pensiero influenzato prima dal cristianesimo e poi dal buddismo.

Per la docente l’aula è spazio di possibilità,come ho già detto, è uno spazio aperto e dilatato. In questo spazio oltre a problematizzare le strutture oppressive è importante considerare questioni spirituali, ma non solo: anche sensuali e corporee.

La docente ricorda poi che per creare un'autentica connessione, cuore a cuore, è necessaria una predisposizione personale che è la volontà di imparare, ascoltando voci inedite, o non canoniche (p. 38), mettendosi in gioco: ponendo domande e ponendosi domande, non temendo le differenze per acquisire nuove consapevolezze.  bell hook ricorda poi anche la necessità di darsi delle pause, nel suo caso dall’insegnamento accademico, di sperimentarsi in contesti altri e nuovi.

Per l'intellettuale Afro-americana l'educazione, è educazione democratica. Si caratterizza per apertura radicale a tutte le pluralità incarnate in diverse soggettività. Questa non è circoscritta all'ambito formale scolastico. Abbraccia la vita quotidiana è utile e avviene "senza sosta". Anche quanto si apprende in un contesto specifico può, anzi deve, essere condiviso. Solo nella condivisione di informazioni, di idee e di vita, anche con "chi si trova in posizione subordinata" (p. 110) che si può modificare lo status quo.

L'educazione è anche un'educazione diffusa. Per bell hooks si apprende in momenti e modi differenti di conoscere. Il tutto avviene in maniera antiautoritaria, rispettosa e critica. Ed è, come sostiene anche il docente e scrittore ripreso da hooks Parker Palmer, orientata a rivendicare " il nostro posto nel mondo" in continua evoluzione (p. 79).

L'educazione è soprattutto ascolto attivo, attento, partecipato e apertura verso voci e corpi marginalizzati da vari processi di esclusione presenti nella società americana, ma anche italiana: come sessismo, razzismo, classismo, omofobia, l'intolleranza religiosa e silenziamento delle minoranze linguistiche.

Al cuore della pedagogia c'è la diversità e più precisamente:

"La diversità nel discorso e nella presenza" che diventa " risorsa che migliora qualsiasi esperienza di apprendimento" (p. 81). Il riconoscimento del pluralismo limita o elimina la svalutazione, l'umiliazione, il senso di vergogna e i molteplici traumi per chi proviene da contesti altri o marginali.

Le differenze diventano un modo per sviluppare la coscienza critica delle "strutture di dominio esistenti", al fine di abolirle .

In questo processo di abolizione, per lo meno nel contesto nord Americano, hanno avuto un ruolo fondamentale la lotta antirazzista e il movimento femminista. I movimenti di giustizia sociale hanno condotto ad una profonda trasformazione delle discipline accademiche, "colmato il divario tra il mondo accademico e il cosiddetto mondo "reale"  (p. 83).

Un altro concetto centrale nel libro è la supremazia bianca, connessa con eteropatriarcato capitalista.

In Italia restano ancora tanti passi da fare nella comprensione a proposito della stessa categoria della bianchezza (whiteness) che è alla base della supremazia bianca. Se negli USA è un concetto discusso e problematizzato, in Italia, invece, molto resta ancora da fare per sfidarla, così come per quanto riguarda la problematizzazione dell’eteropatriarcato. Questi concetti sono sicuramente approfonditi a livello accademico all’interno di dei studi post-coloniali e precisamente nei Critical whiteness studies, nel Queer studies e nel femminismo decoloniale intersezionale, ma al di fuori di cerchie attiviste, sono argomenti lontani dalla cosiddetta reale di cui parla bell hooks. Come pedagogista, che lavora nel sociale, sento vivo il rischio individuato da bell hooks della " perdita di un sentimento di connessione e vicinanza con il mondo al di fuori dell'accademia " (p. 29).

La traduzione di libri come questo di bell hooks permette di avvicinarsi a queste questioni e aiutarci a essere custodi della speranza, in tutti i luoghi in cui transitiamo.

Connesse all’idea di supremazia bianca, sono quelle razza e di razzismo. bell hooks approfondisce i processi di razzializzazione e il ruolo che ha avuto nella costruzione della razza il pensiero suprematista bianco.

Non solo, l'autrice affronta la questione della rappresentazione delle minoranze, portata avanti dalle medesime. Le quali nell'affrontare argomenti critici sono molto spesso liquidate come difensore del politicamente corretto, o come vittimismo: come “giocarsi la carta del razzismo”. Ciò succede spesso nel nostro Paese. Sopratutto quando a parlare di razzismo quotidiano sono persone nere o afrodiscendenti. Affrontare problemi personali legati alle varie forme di oppressione è invece un invito a coltivare la consapevolezza e alla decolonizzazione non solo delle nostre menti, ma anche del nostro modo di comportarsi e di agire. Solo così si potrà:

Abbattere la cultura del dominio [...] e cominciare a valorizzare tutti i membri di una comunità. (p. 71)

Anche da questo punto di vista, in Italia è ancora molto difficile affrontare certe discussioni soprattutto quando si parla di razza e di minoranze. Lo stesso concetto di decolonizzazione è molto distante per il pubblico italiano, a meno che la persona non abbia iniziato un processo di decostruzione anti-razzista e anti-imperialista. Ossia: stia intraprendendo, quello che l’autrice chiama, uno sforzo di cambiare (p .72) autentico.

Per concludere, la forza di questo libro sta nel rendere visibile la bianchezza, il suo pensiero binario e di come opera nelle nostre vite, o avvantaggia le vite delle persone bianche. Non fa sconti. È un volume molto diretto, schietto, denso che analizza la società americana con sguardo appassionato, molteplice, affilato ma mai tagliente.

Le riflessioni di bell hooks nello scenario culturale italiano riempiono un vuoto e i numerosi silenzi. Forse è per questo che pur essendo state scritte anni fa risultano attuali e sono state così apprezzate: mancava un punto di riferimento autorevole, capace di arrivare a tante persone diverse. Proprio per la loro capacità di far allargare lo sguardo e il cuore, possono essere utili strumenti di decostruzione e di ricostruzione. I quali interrogandoci sia personalmente, sia professionalmente ci invitano al cambiamento.