Potenzialità educative del museo naturalistico | Educational potentiality of naturalistic museum

DOI: 10.5281/zenodo.10644431 | PDF

Educazione Aperta 15/2024

No longer an exclusive place for scientists, the naturalistic museum has changed its ways of exhibition and has opened up to society to provide scientific and environmental education to a large number of citizens. In addition to this, the naturalistic museum is a place of social and cultural growth for the whole community, a place of civil and democratic self-awareness, as it is a precious heritage of community; therefore, it should be better thought of in a formative and pedagogical sense.

Keywords: community, culture, museum, nature.

Premessa

Per la sua specificità, il museo naturalistico è un luogo tradizionalmente capace di attirare il pubblico, quindi può essere pensato come risorsa per la crescita culturale della comunità. È necessario perciò riflettere sul suo ruolo sociale e pedagogico, sulla filosofia che ne sta alla base, sulle potenzialità formative, specie in ordine all’educazione ambientale. La riflessione va svolta in senso sia museologico, sia pedagogico, per salvare le ragioni del mondo scientifico e quelle socio-culturali. Insomma, bisogna pensare a un museo naturalistico aperto alla società civile, quale luogo di educazione permanente, di produzione culturale, integrato nel territorio, purché se ne preservi, con una gestione avanzata, quella cifra classica relativa a custodia, esposizione e ricerca scientifica. Da sempre l’organizzazione museale ha vissuto l’antitesi fra conservazione e comunicazione, cioè tra la funzione scientifica e quella educativa, anche se oggi, all’alba del terzo millennio, l’emergenza ambientale induce a ripensare l’antinomia, così da preferire un museo dinamico, legato al mondo reale, attivo socialmente e produttore di cultura; dunque, un luogo privilegiato in cui l’intera comunità compie un’esperienza formativa. La presente riflessione prende le mosse dalla concezione tradizionale del museo naturalistico, per mostrarne l’evoluzione e dare qualche spunto propositivo.

Il museo naturalistico

Concepito per esporre reperti di botanica, zoologia, paleontologia e mineralogia, il museo naturalistico[1] ha sempre svolto più d’una funzione scientifica, favorendo lo studio e la ricerca nonché la didattica, in quanto consente l’osservare diretto, di là dalla raffigurazione libresca. Questo museo è un luogo elettivo per studiare il mondo naturale, grazie alle sue collezioni di minerali, animali, fossili etc., ordinati in serie prestabilite per l’esposizione[2]. Più in generale, quello del museo è un mondo vario, complesso, per cui sono sorte discipline come la museografia e la museologia; inoltre, pone problemi di conservazione, restauro, custodia, allestimento, gestione e marketing. Giova delineare l’immagine classica del museo naturalistico, per coglierne i tratti di sostanziale chiusura e staticità, così da evidenziare, per contrasto, il museo contemporaneo e le sue potenzialità pedagogiche.

Del museo naturalistico va richiamata l’idea tradizionale, quella dell’immaginario comune, che per molto tempo lo ha identificato in qualcosa di solenne e sacrale, confermando l’etimo Μουσεῖον (luogo consacrato alle Muse). Museo, quindi, come torre d’avorio per pochi eletti, chiuso in sé stesso, immobile, silenzioso, con le sue sale, teche e vetrine; un museo distante dalla vita reale, finalizzato a ricerche e studi i più impegnativi; dunque, un luogo di cifra collezionistica, segnato da accademismo, dedicato alla conservazione, alla tutela, all’esposizione e, perciò, rivolto a studiosi e ricercatori, sia del museo, sia della comunità scientifica.

Questa immagine antica, elitaria, dall’aura ideale, non è priva di fascino, ma è quella di una realtà pensata per una cerchia ristretta di specialisti, aperta sì alle visite del pubblico, ma incapace di coinvolgere la collettività, di renderla partecipe del patrimonio conservato; quindi, non aperta a nuove prospettive culturali, né a promuovere esperienza sociale e civile, ma sostanzialmente chiusa al territorio. Insomma, un museo statico, rivolto agli scienziati, ma non alla comunità. Ma quella museale non è una realtà data für ewing e deve adeguarsi ai tempi; perciò le giova la riflessione critica, il vivificante dibattito fra più posizioni nonché l’atteggiamento di apertura al mutamento. È una dinamica, questa, ben rilevata da Adalgisa Lugli (2023, p. 83) là dove nota che,

come è necessario tenere continuamente attivo il registro della storicizzazione accanto ad ogni manifestazione del fenomeno museo o collezione, anche recentissima, per quella complessa catena di rapporti con l’ambiente politico, sociale, culturale e scientifico che lo esprime, così vanno tenuti aperti ad ogni mutamento grande o piccolo i concetti di museologia e museografia.

Come altre istituzioni culturali, anche quella museale è stata posta in questione e indotta all’autocritica, a rivedere cioè il suo ruolo nonché i criteri di comunicazione e il rapporto con la società. Anche in Italia vi è stato, dagli anni sessanta, un vivace dibattito sulla funzione sociale del museo, nel tentativo di rompere con la museologia del passato. Nuove idee, nuove concezioni hanno posto l’accento sull’uso collettivo, sull’abolire la distanza con i visitatori, sul promuovere l’autocoscienza comunitaria. Particolarmente vivo in Francia e Inghilterra, questo dibattito (Marini Clarelli, 2021, pp. 23-30) ha caldeggiato formule inedite, come quella del museo aperto al mondo esterno, in quanto museo della e per la comunità. Dunque, il polveroso mondo museale ha dovuto confrontarsi con movimenti quali Le Musée de voisinage, The New Museology, The Neighborhood Museum, nonché la “musealizzazione totale” (da cui il concetto di “ecomuseo”). Le nuove idee hanno perciò contestato lo statu quo, sparigliandone le carte, specie nei paesi d’oltralpe. Prima di vedere le nuove linee di sviluppo, è bene notare alcuni elementi che hanno modificato il museo tradizionale.

Premesso che ogni museo è una realtà a sé, irripetibile, un unicum, con la sua storia e la sua fisionomia culturale, è pur vero che alcune tendenze sono pressoché generalizzate. Per esempio, la realtà italiana è sempre più segnata dal tratto aziendalistico e commerciale[3], con diffusa apertura di bar, ristoranti e negozi per libri, cataloghi, gadget e quant’altro; benché utile, questo servizio è affidato al privato e perciò, se valutato come complemento del museo, non è esente dal destare qualche perplessità. Bisogna insomma vigilare affinché il museo non si sbilanci sul versante “market”, tanto da avvicinarsi al modello del centro commerciale (Brambilla, 2021, pp. 33-35), né privilegi propositi di mero svago e meraviglia, con finale banalizzazione della divulgazione scientifica; su ciò, è bene riferire le parole di Giovanni Pinna (2006, p. 16)[4], promotore di

un’idea più forte, basata sul ruolo sociale e sulla forza identitaria del patrimonio culturale, un’idea che contribuisca a formare una visione della museologia più attenta ai contenuti che all’estetica formale, al monumentalismo e al sensazionalismo.

Dunque, si conferma che è bene tutelare la cifra naturalistica nonché aprire il museo al territorio.

Un museo per la cittadinanza

Con il passare del tempo, il museo naturalistico ha saputo recepire, almeno in parte, l’esigenza di coinvolgere maggiormente il pubblico, di modernizzarsi (Hooper-Greenhill, 1999, p. 238-240) con l’adozione di schemi più liberi e funzionali, nonché di proporre una visione del mondo naturale più attrattiva, meno dogmatica e meno sistematica. A questo scopo il museo ha modificato ambienti interni, percorsi e modalità espositive, seguendo criteri più moderni, com’è il caso del diorama, della vetrina tematica, nonché dell’esposizione che ricostruisce ambienti naturali; alla base vi è sempre l’interrogativo su quale immagine della Natura e della Scienza offrire al visitatore. La più recente museologia scientifica è orientata a dare, della Natura, l’immagine di una realtà molto varia, complessa, dalle molte interazioni, preferendo quindi l’allestimento in chiave ecologica e biogeografica, dando inoltre il dovuto spazio all’educazione ambientale. Per di più, a fianco dell’aspetto cognitivo, va curato quello emotivo, in quanto l’esperienza estetica è sempre da promuovere, come nota Maria Vittoria Marini Clarelli (2021, p. 66): “La meraviglia, la curiosità, l’evocazione hanno da sempre aleggiato intorno alle collezioni scientifiche e/o esotiche e gli stessi allestimenti museali hanno cercato solitamente di preservare questa suggestione”. La moderna museologia è quindi critica verso l’impostazione positivista del passato, che separava le discipline, postulava verità assolute, esponeva la Natura sistematicamente, cioè in senso linneano[5], con disposizione fissa, in sequenza graduale, dall’organismo più semplice al più complesso; una presentazione, questa, monotona, noiosa, poco gradita all’odierno pubblico. Non è tutto. Nel proporsi in veste più moderna, il museo punta a far partecipare il pubblico, coinvolgendolo anche fisicamente, in quanto non è più il tempo del “visitatore” passivo, ma del “cliente” attivo, una diversità lessicale, questa, precisata da Eilean Hooper-Greenhill (1999, p. 251):

I "visitatori" sono presenti in uno spazio perché ne hanno avuto il permesso, ma vi entrano da estranei, come si entra in casa altrui. Il "cliente", invece, pretende di esercitare i suoi diritti e si aspetta un buon servizio; contratta per ricevere beni o servizi e si pone in un rapporto di potere paritario.

Al giorno d’oggi, il museo naturalistico promuove attività culturali del tipo più vario, come conferenze, proiezioni, esposizioni temporanee, incontri scientifici, convegni didattici e d’informazione; dunque, ogni museo allestisce le sue esposizioni con finalità anche divulgative, mirando a interagire con la società. A ben valutare, tutto ciò è senz’altro un passo avanti rispetto allo staticismo del passato, ma ancora non soddisfa a pieno le nuove esigenze culturali e sociali. Vi è perciò da pensare a ulteriori aperture in direzione pedagogica, non solo nei termini di Lifelong Learning, ma anche volte a rendere il museo naturalistico un patrimonio di autentica condivisione, un luogo di autocoscienza culturale e comunitaria, senza mai trascurare l’obiettivo, sempre nevralgico, dell’educazione ambientale. Quindi, questa realtà va pensata incrociando le due dimensioni, pedagogica e museologica, senza perdere di vista il contesto sociale, territoriale, sul cui sfondo va pensato ogni progetto di educazione attiva. Pertanto, è bene rifiutare ogni slancio retorico e celebrativo, puntando invece all’impegno culturale e formativo.

Aprire il museo alla comunità è una tendenza che accomuna pressoché tutti i musei (naturalistico, d’arte, storico, etnoantropologico). Bisogna ripensare il ruolo culturale del museo, per orientarlo in senso pienamente educativo e sociale, tenendo comunque in conto la sua missione istituzionale che resta la conservazione, la tutela e la ricerca. A tal fine va svolta un’analisi preliminare, per conoscere le esigenze sociali e le potenzialità culturali del territorio; non è meno decisiva un’attenta riflessione pedagogica e museologica. Ancora, è molto utile l’iniziativa in sede politica; infatti, c’è da far maturare una nuova sensibilità museale, sicché andrebbero coinvolti non solo scienziati e direttori di museo, ma anche decisori politici e amministratori pubblici, la cui scelta è decisiva per aumentare gli stanziamenti ad hoc e destinare i fondi statali negli investimenti museali.

Un altro passo importante è quello di informare la comunità, di consapevolizzarla dell’esistenza, nel suo territorio, di luoghi in cui è custodito un patrimonio di pubblica fruizione, di cui è importante chiarire il significato. La comunità deve capire l’importanza non solo culturale, ma anche sociale, politica ed economica di quanto è custodito nel museo. Non è un luogo preposto solo a istruire, ma va ben oltre, in quanto è capace di recuperare il concetto stesso di cultura, di ripensarla in senso interdisciplinare, di promuovere una nuova coscienza identitaria. Del resto, il museo educa alla coscienza civile nonché alla cittadinanza più ampia, quella dell’intero pianeta. Anche il museo naturalistico può venire inserito nel quadro più esteso di politiche territoriali finalizzate a promuovere coesione sociale e nuove esperienze culturali. Ciò rilevato, non va comunque dimenticato che si è davanti a processi graduali, da pensare con attenzione, in vista di un’utenza la più ampia. Coinvolgere un alto numero di visitatori significa rivolgersi, oltre al pubblico effettivo, a quello potenziale, cioè ancora da avvicinare; inoltre, va considerato quello “a distanza”[6], che ha conosciuto il museo naturalistico solo mediante cataloghi oppure internet.

Potenzialità formative

Da sempre il museo naturalistico è un luogo d’istruzione fruttuoso, che completa il libro e la lezione svolta in aula. Le cognizioni scientifiche qui apprese sono senz’altro formative sia per il giovane studente, sia per l’adulto. Considerare il museo naturalistico come luogo destinato per lo più ai bambini è un preconcetto, e anche in questo, peraltro, si riflette il dualismo fra cultura umanistica e scientifica. Come rileva Pinna (2006, p. 201), questa separazione è evidente

nel diverso linguaggio che musei d’arte e di scienza adottano e nel diverso pubblico a cui fanno riferimento: i musei umanistici (d’arte e di storia) tendono verso contenuti e linguaggi elitari, quelli scientifici rischiano di cadere nella semplificazione infantile, e vengono perciò spesso considerati musei per bambini.

A ben vedere, l’obiettivo politico è quello di promuovere l’educazione scientifica nei cittadini tutti, senza distinzione d’età; quel che più conta è formare una coscienza ecologica la più diffusa; infatti, se l’adulto dispone di questa cultura può intervenire con più cognizione in molte questioni della vita politica. Nell’esaminare i musei scientifici italiani, Emanuela Reale (2002, p. 175) ha difeso questa cultura, che è da promuovere

per ragioni politico-sociali, poiché un sistema democratico richiede che i cittadini, specie quelli coinvolti nell’azione di governo, capiscano gli aspetti scientifico-tecnologici connessi ad alcune decisioni che debbono essere prese, sollecitino e partecipino al pubblico dibattito su questi temi.

Va poi considerato che i problemi dell’ambiente recano non poche conseguenze di tipo etico, sociale ed economico; si pensi solo al mutamento climatico e alle conseguenze migratorie, demografiche, energetiche, produttive e professionali, che riguardano ogni cittadino, inducendolo a riflettere criticamente su valori, doveri, diritti civili e politiche mondiali. Dinanzi a scenari solo in parte prevedibili, al crescente inquinamento, alla velocità dei mutamenti in corso, all’insicurezza sociale, la visita al museo naturalistico è dunque un’occasione di feconda riflessione. Davanti alle questioni ambientali sono implicate più discipline, sia scientifiche, sia umanistiche, ciò che rende la visita al museo un proficuo, autentico, vissuto approccio interdisciplinare. A ben considerare, nel museo naturalistico si creano quindi le condizioni ideali per riflettere criticamente sul problema ecologico, tematica di grande rilievo sociopolitico, poiché coinvolge, più o meno direttamente, l’intera comunità.

È bene segnalare ora qualche aspetto didattico. Nel museo naturalistico si svolge una didattica attiva, coinvolgente, ben diversa da quella “frontale” e libresca; una didattica che, specie con i bambini e le bambine richiede però peculiari cautele (Balboni Brizza, 2007). Ancora oggi, nell’era del computer e delle tecnologie più avanzate, la pedagogia guarda con pieno favore la realtà museale; fare osservare l’oggetto di studio in vivo, nella sua concretezza, senza la mediazione cartacea, dà più forza all’insegnamento, in quanto lo studente è più attivo, curioso, motivato. Nel museo si esercita di continuo l’attenzione, si educa alla riflessione, al metodo critico, al pensiero creativo. Ben poco nozionistico, questo modo d’insegnare promuove il dialogo, solleva curiosità e problemi, favorendo perciò un approccio interattivo, quello con cui, per dirla con Anna Dipace (2021, p. 99),

insegnanti e studenti discutono, si ascoltano l’un l’altro, si scambiano idee, punti di vista e valutano alternative sulla base dell’ascolto delle molteplici prospettive e possibilità emerse e quindi avanzano ipotesi, cioè attivano il pensiero critico e il ragionamento logico.

La didattica museale si vale di laboratori, visite guidate, percorsi ad hoc, ma è bene farla precedere, in classe, da un’apposita preparazione atta a incuriosire e motivare ancora più gli studenti; inoltre, dopo l’esperienza sul campo è bene che il docente richieda di svolgere una relazione sulla visita, su quanto appreso e sulle emozioni provate; questa didattica, quindi, completa e rende più ricco il curricolo formale. Per facilitare l’apprendimento, è bene che la relazione fra docente e studente, oltreché dialogica, si svolga sullo stesso piano; come precisa Hooper-Greenhill (1999, p. 253): “L’atto del conoscere prende forma nel momento in cui esperienza, attività e piacere si coniugano in un luogo in cui il soggetto che apprende e il soggetto che insegna hanno uguali poteri”. A ben pensarci, l’ambiente museale, se ben predisposto, è l’ideale per una didattica attiva, coinvolgente più dimensioni della persona. Per di più, queste lezioni vanno ben oltre il sapere scientifico tout court; si pensi alla sfera estetica e all’educare al gusto del bello. La visita al museo naturalistico ben si presta ad affinare nello studente la capacità di percepire quei rapporti che destano un’intima corrispondenza fra immagini e sentimenti. Quella estetica è un’esperienza di alto valore formativo (Bertin, 1974; Santoni Rugiu, 1975); dinanzi alle collezioni zoologiche, botaniche e di minerali, lo studente vive esperienze sensoriali, razionali e immaginative, facendo così sua la realtà naturale, con una piena partecipazione percettiva, emotiva e cognitiva; tutto il contrario, insomma, dello studio passivo e nozionistico. Non è fuori luogo ricordare come alcuni grandi pedagogisti – Decroly, Dévaud, Ferrière, Lombardo Radice – abbiano considerato lo studio della Natura centrale e unificante le altre conoscenze. Inoltre, durante la visita museale il gruppo classe vive un’esperienza quanto mai socializzante. Altro punto a favore è la possibilità d’istituire nessi interdisciplinari i più diversi, si pensi solo a quelli con la bioetica e con l’ecologia. Sullo sfondo, com’è chiaro, vi è sempre l’educazione ambientale, obiettivo didattico al giorno d’oggi cruciale, molto ben perseguibile in forza della suggestione museale. Per fare un esempio, si pensi all’impatto emotivo suscitato dal mostrare animali di specie ormai estinte o in via d’estinzione. Quello museale è, quindi, un luogo ottimale per svolgere lezioni di educazione scientifica e ambientale; i reperti e le collezioni mostrano la grande varietà del mondo naturale e sollevano domande sulla Natura, la sua vita, i suoi equilibri, il rapporto delicato e sempre più problematico con l’uomo. Del resto, la questione ecologica è più che mai attuale e ogni museo, non solo quello naturalistico, deve tenerla sempre in conto, di fianco ad altre priorità; difatti, come rileva Marini Clarelli (2021, p. 56),

il museo può giocare un ruolo attivo nelle politiche di recupero del degrado urbano, di rivitalizzazione del territorio, di cooperazione allo sviluppo, di gestione del tempo libero, di sviluppo del volontariato, come pure nella valorizzazione della dimensione umanistica accanto a quella scientifica e del patrimonio immateriale rispetto ai beni materiali.

Del tutto condivisibili, queste parole indicano possibilità formative ulteriori rispetto al mero piano naturalistico e scientifico. Questa didattica non solo coinvolge più livelli educativi, ma avvicina la scuola al territorio e contrasta la discontinuità “orizzontale”, realizzando così (Frabboni e Pinto Minerva, 2012, p. 203)

un rapporto di interazione dialettica tra la cultura del dentro/scuola e quella del fuori/scuola, secondo linee di complementarità delle reciproche risorse educative. […] Una relazione di “scambio” e “comunione” dei reciproci beni culturali, secondo la felice immagine di una scuola che esce quotidianamente nell’ambiente per elevare i patrimoni-risorse di questo ad aule didattiche decentrate.

È inoltre essenziale spiegare allo studente che il museo scientifico è un luogo di formazione (e non di sola informazione), ma è anche un’istituzione pubblica, un patrimonio di fruizione collettiva, una risorsa preziosa dei cittadini e per i cittadini. Inoltre, il museo naturalistico è un luogo di cittadinanza attiva e responsabile; qui l’adulto può realizzare un’educazione permanente, può fare conoscenza ed esperienza, può acquisire cultura naturalistica e scientifica, può affinare il senso estetico, sviluppare la sensibilità ecologica, riflettere sui problemi del territorio, sugli spazi urbani, sulla fruizione pubblica degli stessi, esercitando perciò il suo pensiero critico e autocritico. Ancora, nel favorire l’immaginazione, il museo naturalistico evita all’adulto i rischi dell’alienazione e della standardizzazione cognitiva. A conti fatti, la realtà museale offre grandi possibilità formative e, perciò, va pensata pedagogicamente, sia per evitarle staticità e isolamento, sia per dare più spazio all’educare la collettività, non solo in senso scientifico ed ecologico, ma pure in quello della crescita democratica e della responsabilità civile. Per di più, la riflessione pedagogica è preziosa in quanto critica, problematica, tesa a difendere la cifra educativa, di contro a eventuali derive privatistiche; anche qui, come nell’istruzione pubblica, vale il monito a tenere alto il livello di guardia, poiché, come nota Franco Cambi: “De-pedagogizzando la formazione si apre un varco (che può diventare una falla) alla sua ingegnerizzazione (che è già in atto), con alcune perdite secche: nella qualità dell’istruzione, nel diritto di cittadinanza, nella stessa tenuta non formale della democrazia” (Cambi e Toschi, 2006, p. 97).

Per concludere, è bene che il museo naturalistico divenga sempre di più una grande opportunità per educare giovani e adulti in una prospettiva culturale più feconda, legata tanto al contesto territoriale, quanto alla grande sfida ecologica del terzo millennio.

Note

[1] La locuzione “museo naturalistico” è qui preferita a “museo di storia naturale” che rimanda all’impostazione positivista.

[2] Sugli aspetti organizzativi, la ricerca e la promozione culturale si rimanda a Reale, 2002.

[3] La diffusione dei servizi aggiuntivi è dovuta alla legge n. 4 del 1993 (più conosciuta come legge Ronchey, dal nome del Ministro proponente) che prevede nuove misure per il funzionamento dei musei statali, delle biblioteche e degli archivi di Stato.

[4] Direttore del Museo di Storia Naturale di Milano dal 1981 al 1996 e conservatore di paleontologia nello stesso museo dal 1964 al 1981.

[5] Si fa riferimento al sistema classificatorio di Carl von Lineé (1707-1778), medico e naturalista svedese, ideatore della classica nomenclatura binomia in latino (es. Felis catus), con cui diede identità a migliaia di specie vegetali e animali.

[6] Le questioni relative alla comunicazione online e alla trasformazione tecnologica e digitale dei musei sono ben illustrate in Mandarano, 2021.

Riferimenti bibliografici

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L’autore

Michele Zedda è professore associato all’Università di Cagliari, dove insegna Pedagogia generale. Ha svolto ricerche sull’educazione corporea, l’autobiografia, la pedagogia di Leopardi. Tra le sue pubblicazioni: Pedagogia del corpo, ETS, Pisa 2006; Corpo e autobiografia, Carocci, Roma 2010 (XXI Premio “Raffaele Laporta”, 2010); Pagine di pedagogia leopardiana, Carabba, Lanciano 2020 (Premio “E. Frauenfelder”, III Edizione); Nuovi studi di pedagogia leopardiana, Carabba, Lanciano 2021 (Premio Siped 2023).