Letteratura “per” chi? Un dibattito necessario | Literature “for” who? A needed debate
DOI 10.5281/zenodo.10647116 | PDF
Letteratura per l’infanzia è letteratura/7. A cura di Cristina Bellemo
Il “per” è una preposizione che indica cura, esprime un’attenzione e un’intenzione. Trovo bello che ci sia una letteratura “per l’infanzia”, uno sguardo verso i bambini e i ragazzi all’interno della letteratura tout court. Da bambina ho letto autori che mi vedevano e mi pensavano e, nel mio mestiere di libraia, quel “per” mi dà una direzione, una linea critica, un parametro che porta rigore sui miei scaffali e li rende autentici. Nel 2013 ho aperto una libreria “per l’infanzia” e quel “per” è il perno su cui ruota un pensiero che mi accompagna nel mio lavoro e che potrei definire come “la dignità del lettore”. Non si tratta di suddividere i libri per fasce d’età, né di tutelare il bambino da racconti più o meno vividi, piuttosto la dignità del lettore ha a che fare con la coscienza del bambino, il quale a tre anni ha un suo modo di vedere e abitare il mondo, a sette un altro e a dieci un altro ancora, ma non ha mai la coscienza di un adulto. La dignità del lettore è, nella mia visione, un concetto a due lenti: una lente si orienta verso ciò che il bambino ha davanti, l’altra rimane fissa su ciò che il bambino è o è ancora. In entrambi i casi il punto di partenza è sempre il bambino al tempo dei suoi anni.
La lente che guarda in avanti mi incoraggia a consigliare l’esplorazione della narrativa e della poesia già in tenera età, a favorire l’incontro con una grande varietà d’immagini e a promuovere la lettura di libri di divulgazione ricchi e articolati. Attraverso questa lente la dignità del lettore diventa per me l’occasione di mostrare un bambino che può essere un lettore avventuroso, curioso e capace di mettersi alla prova, di prendere gusto alla lingua e alle storie. Il “per l’infanzia” diventa quindi il metro con cui accostarmi alla qualità dei testi, la misura con cui capire se lo scrittore, prima ancora dell’illustratore, abbia riconosciuto il suo lettore e se, proprio in virtù di questo riconoscimento, la sua scrittura sia stata pervasa da quella letterarietà che sola identifica il libro come letteratura. È una lente da maneggiare con cura perché, se consiglio la narrativa o la poesia a tre anni, devo saper individuare quali storie e quali versi il bambino è in grado di attraversare, e quali scrittori hanno saputo orchestrare e amministrare il loro talento in una scrittura la cui semplicità non sia sinonimo di semplificazione. In quest’ottica, incoraggiare, incuriosire ed educare l’orecchio del bambino alla lingua e alle sue strutture, non è mai travalicarlo o esaltarlo.
Ed è per questo che la seconda lente, quella che guarda il bambino nel punto esatto del suo percorso, mi sprona ad avere un atteggiamento di vigilanza, e mi porta a considerare quel “per l’infanzia” come un margine poroso e fertile ma al contempo delicato e fragile. Parlare dunque di dignità del lettore attraverso questa lente significa smascherare atteggiamenti narcisistici da parte degli adulti che guardano al libro come ad uno strumento per esaltare intelligenze e sensibilità, e mi aiuta nell’identificare quei libri che, con un linguaggio ammiccante, conquistano gli adulti alludendo ad infanzie virtuose. Non è mia intenzione limitare l’accesso ad una libreria ai bambini, piuttosto porre pensiero sulle intenzioni e gli atteggiamenti che oggi il lettore adulto mette in atto nei confronti dei libri, posture che determinano sempre di più la qualità, la ricerca e, in buona sostanza, la letterarietà dell’attuale mercato editoriale.
Se si desidera dare alla letteratura per l’infanzia lo statuto di letteratura, bisogna riportare l’attenzione su quel “per”, osservando ad un tempo la qualità dei libri editati e chi effettivamente acquista e alimenta uno dei settori più floridi dell’editoria italiana. Non si tratta più solo di un pubblico pagante che recapita senza troppa attenzione il libro nelle mani dei bambini, ma di un adulto che si appassiona al genere e ne influenza gli esiti.
Dalla mia esperienza in libreria posso affermare che sono sempre meno gli adulti che sanno riconoscere la qualità di un testo, e sempre di più gli adulti che parlano del libro per bambini come di un libro che li emoziona, li affascina e li aiuta. Tutte caratteristiche di cui la letteratura tout court può farsi carico (ciascuno di noi può dire che un libro lo ha emozionato o addirittura è stato utile in un determinato momento della vita), ma che non ricerca in modo esplicito, specialmente in fase creativa, subordinando alla forma i suoi contenuti e l’eventuale piacere del lettore, di cui peraltro non ha necessità di essere informata. Nell’editoria attuale, invece, il compiacimento del pubblico adulto sembra soggiogare, travalicare e, nel peggiore dei casi, ignorare la forma in favore del messaggio, finendo per consegnare ai bambini storie vacue, senza nerbo, senza ombre – se non quelle tollerate nell’ottica di una facile catarsi – e testi così ridondanti e piatti che ascriverli nell’ambito della letteratura è per me impossibile.
Stabilendo quindi che esista una letteratura per l’infanzia e che quel “per” non sia né asfittico né superfluo ma fondamentale per dirimere la questione, si pongono, secondo il mio punto di vista, due quesiti importanti.
Il primo discende direttamente da ciò che ho affermato fino ad ora in merito alla dignità del lettore: se il mercato editoriale attuale rende interscambiabile il lettore adulto con quello bambino, a quale letteratura dobbiamo fare riferimento? La risposta a questa domanda sembrerebbe risolutiva: non esiste più una letteratura per l’infanzia, ma una letteratura, illustrata e non, che si rivolge a tutti con un linguaggio ibrido capace di emozionare, intrattenere e convincere sia adulti che bambini. Il “per” potrebbe dunque essere percepito come irrilevante soprattutto da un adulto che trova piacere e meraviglia nel leggere e collezionare i libri dedicati ai più piccoli e che forse, identificandosi con quelle storie, desidera essere riconosciuto come un lettore a tutti gli effetti. Questo mi porta al secondo quesito: siamo certi che l’adulto non voglia scambiare per letteratura tout court una parte di editoria per bambini che commuove e affascina lui per primo? Una simile domanda potrebbe mettere in luce una sorta di infantilismo da parte dell’adulto nei confronti del mercato attuale, mercato che, d’altra parte, sembra assecondare questa propensione.
Per riflettere su questo secondo quesito, vorrei concentrarmi solamente su quei libri che possiamo unanimemente considerare dei capolavori, ma che sono stati scritti, con cognizione di causa, per dare luce ad una coscienza bambina, e che solo a latere riverberano, in virtù del loro linguaggio letterario, nel cuore del lettore adulto.
Come libraia e come lettrice riconosco che Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak sia una pietra miliare della letteratura per bambini, e lo affermo per la sua struttura perfetta che misura il tempo della storia con il metronomo di una scrittura limpida ed essenziale; e non da meno sono le illustrazioni, straordinarie nel descrivere e contemporaneamente ampliare l’ordito del testo. Convengo dunque sulla potenza di questo libro e ne assaporo la maestria ogni volta che mi capita di leggerlo, e non vedo il motivo per cui una studentessa non possa costruirvi intorno una tesi di laurea anche in un percorso universitario non legato ad un ambito educativo. Ma se devo scegliere una lettura per me, scelgo altro.
Leggendo Il giardino segreto di Burnett mi sentirò una lettrice appagata e, attraverso la mia coscienza di adulta, entrerò nella trama espandendo tutti i significati, nascosti o rivelati, in quel susseguirsi esatto di parole; so però che leggendo La perla di Steinbeck troverò anche di più. Mi rendo conto che qui esprimo una riflessione al limite del soggettivo, perché probabilmente per molti di voi Il giardino segreto è una lettura imprescindibile a qualsiasi età. Aggiungo che mi emoziono quanto voi nel leggere, per esempio, Piccole donne, tuttavia questo non mi vieta di riconoscere che in altri romanzi, come Al faro di Virginia Woolf, ritrovo una complessità che spalanca la mia esistenza di quarantenne con una potenza che è oltre, e altra, dal romanzo di Louisa May Alcott. Altra, senza dubbio, e non di minor valore.
Questo valore – che potrei ascrivere sempre sotto la voce letterarietà – non mi impedisce di apprezzare e amare un certo tipo di letteratura che io chiamo letteratura per ragazzi. Mi piace leggere e rileggere Bambole giapponesi di Rumer Godden, ma ritengo che Il fiume, della stessa autrice, sia una lettura molto più complessa e pregna per la coscienza di un lettore adulto.
Molti sono gli adulti che incontro in libreria che mi confessano di aver (di nuovo) iniziato a leggere da quando, grazie ai figli, hanno scoperto i libri per bambini.
Ma chi è questo adulto?
Il pubblico che si appassiona all’editoria per bambini è un pubblico costituito per la maggior parte da donne. Un dato inequivocabile che potrebbe qualificare l’editoria per bambini come “un’editoria femminile”, e questo, paradossalmente, proprio nel momento in cui si tenta di liberare la letteratura “per l’infanzia” da ogni aggettivo: madri che acquistano libri per i loro figli, e insegnanti che dal nido alle scuole medie comprano libri per proporli, in vario modo, ai propri alunni. Su dieci persone che entrano in libreria, solo due (e voglio essere ottimista) sono uomini. È un fatto che qualsiasi libraia specializzata vi potrà confermare, e non credo sia una questione insignificante in un contesto in cui si cerca di stabilire se la letteratura “per” bambini possa fare a meno della propria specificità. I mercati che funzionano raramente agiscono inconsapevolmente. Le case editrici, grandi o piccole che siano, sanno certamente che i bambini sono i loro fruitori finali, ma sanno anche chi sono le loro principali acquirenti, cosa cercano, cosa desiderano e di cosa non vogliono sentir parlare, e sarebbe un errore pensare che gli editori non tengano conto, magari loro malgrado, di quali sentimenti si muovano oggi intorno ai libri che le donne scelgono per i loro figli o alunni.
Ha a che fare questo con il fatto che si parli o meno di letteratura? Secondo me sì.
Se quel “per” nel mio essere libraia mi spinge a riflettere sulla dignità del lettore, cioè su quanto sia preso in considerazione il bambino da chi scrive e da chi edita, e quindi su come poter valutare la qualità della scrittura, non posso fare a meno di notare quanto spesso questo lettore di riferimento sia confuso con colei che acquisterà il libro e come, di conseguenza, i temi e i contenuti graditi a questo pubblico tenderanno a prevalere sulla forma, dando adito ad un’editoria di stampo più manualistico che letterario. La forma, la qualità della scrittura, sembrerebbe superata a favore dei messaggi e dei contenuti che un libro, con una scrittura che potrei definire più “di servizio” è in grado di veicolare.
E qui il punto: porre attenzione su un codice letterario che sa pensare e vedere il suo lettore come un lettore che guarda il mondo con consapevolezze differenti da quelle di un adulto, ci aiuta a capire la qualità di quel codice. La letteratura per l’infanzia, più di altre, è una letteratura dalle molte soglie, e per quanto l’adulto possa attraversarle tutte con soddisfazione, è il bambino ad essere il viaggiatore; un bambino che ha bisogno di essere visto, sostenuto e incoraggiato e che, al tempo stesso, non deve essere travalicato o manipolato.
Quel “per” è una bussola.
I linguaggi che incontriamo se parliamo di letteratura per l’infanzia partecipano di una fantasia, di un’inventiva e di una semplicità che non possono essere paragonati a quelli della letteratura per adulti. Ed è dentro a questa alterità che occorre interrogare gli scrittori, ancor prima degli illustratori, e capire se abbiano o meno saputo dare vita ad un’opera letteraria; e subito dopo interrogare gli editori per vedere se abbiano saputo o meno riconoscere, oltre alla qualità letteraria, uno sguardo autentico sull’infanzia.
Esiste per me una letteratura per bambini e ragazzi che è letteratura quando la sua scrittura apre la porta al mistero, rivolgendosi alla coscienza dei propri lettori senza sminuirla mai, senza assecondarla con facili rispecchiamenti e senza oltrepassarla.
È innegabile che negli ultimi anni il discorso sulla letterarietà sia diventato debole o sia stato avvertito come anacronistico. Da quanto posso constatare a contatto con i clienti in libreria, appare chiaro che l’elemento testuale, la scrittura, è valutata molto poco quando si tratta di scegliere un libro, a favore invece di un approccio più emozionale, terapeutico e funzionale del libro destinato ai bambini, libro che spesso parla un linguaggio adulto (un po' come sta capitando ai film d’animazione). Un cortocircuito, questo, tra emozione, funzione e linguaggio, che in una libreria per bambini riesce a far vendere molti titoli senza troppa fatica. Perché spesso non è facile per una libraia far incontrare il suo pubblico adulto con una storia che sembra non raccontare l’infanzia che sta cercando, o non farlo arretrare davanti a trame che si svelano attraverso una scrittura ricca, complessa e piena di inventiva. E se continuo a insistere sul testo è perché, se è vero che esiste una letteratura per l’infanzia fatta d’immagini, è anche vero che se discutiamo di letteratura lo facciamo soprattutto in riferimento alla scrittura, alla parola che si fa trama e ordito per accendere in noi combinazioni di senso e di sentimenti; insomma se è letteratura dobbiamo poterne analizzare il codice, testuale prima che visivo, in un’ottica di letterarietà, anche quando il testo, come in Dove sono tutti? di Charlip, è ridotto all’osso.
È letteratura se leggo Mary Poppins della Travers, Viaggio sul pesce di Seidman-Freud, Fiabe incatenate di Solinas Donghi, Storia di orsetto di Minarik, Alessandro e il topo meccanico di Lionni, Il narratore di Saki, Mentre tutti dormono della Lindgren, La tigre in vetrina di Zei, Atalanta di Rodari… E mentre li cito mi accorgo che sono tutti libri sopravvissuti al tempo. Alcuni non hanno mai smesso di essere pubblicati, altri, per fortuna, sono stati rieditati o addirittura riscoperti di recente, ma indubbiamente tutti questi libri hanno saputo travalicare le loro infanzie contemporanee per collocarsi in un’infanzia archetipica che da sempre, probabilmente ancor prima che la parola infanzia fosse coniata, possiamo dire che riguardi i bambini. I libri che oggi mi fanno esclamare “che scrittura meravigliosa!”, mi rammarica dirlo, sono davvero pochi e confesso che mi ritrovo ad aspettare con fiducia che qualche editore riporti, o pubblichi per la prima volta in Italia, un libro del passato che splenda ancora come un diamante (ed è davvero questa la tendenza degli ultimi anni). Certo, quali libri pubblicati oggi sopravvivranno domani non lo possiamo sapere, ma la velocità con cui vengono lanciati nuovi titoli e la poca propensione da parte delle case editrici a consolidare i propri cataloghi, mi dà l’impressione che un mercato tanto bulimico da un lato, e un pubblico tanto famelico dall’altro, non daranno il tempo nemmeno alle buone storie di sedimentare e sopravvivere. Anzi, le buone storie in un simile panorama sono le prime a venire travolte e dimenticate, perché un’editoria così rapida privilegia, neanche a dirlo, linguaggi altrettanto rapidi in linea con la capacità di attenzione e di comprensione dei suoi lettori (adulti), scritture poco articolate e forbite, un periodare paratattico, punteggiature che assecondano più la voce del lettore che il ritmo della scrittura… E così le poche storie nuove scritte bene vengono percepite come complesse, difficili, lunghe e poco immediate, cadendo presto nel dimenticatoio.
Forse dovremmo ammettere che gran parte dell’editoria oggi non sia letteratura, a meno che, seguendo l’evolversi di questa “editoria per bambini e per adulti”, non si stabiliscano nuovi parametri per definirne la qualità. Parametri come la capacità di un libro di entrare velocemente in contatto con le emozioni del lettore, la sua utilità in ambito didattico o sociale, la sua pregnanza politica, il suo farsi specchio preciso dei valori che gli adulti desiderano trasmettere ai bambini. È anche chiaro che a fronte di questo nuovo orientamento, l’immagine tenderà a prevalere sul testo e che più il testo sarà rapido, immediato e al servizio del lettore, più farà breccia nella sua coscienza, emozionandolo e travolgendolo. L’esperienza davanti al libro diventa quasi psicoterapeutica e rivelatrice. Ma attraversare una foresta di parole non è come attraversare una giungla di immagini: per cogliere la magia di una forma che diventa contenuto, occorre impegno, forse una guida, e certamente un po' di fatica. I bambini, a questa forma d’arte che è la scrittura, si potrebbero allenare fin da piccoli, con minore fatica, se venissero messi a contatto con una letteratura che possa davvero definirsi tale. Si profila, invece, una via nuova che abdica alla critica letteraria, avvertita come obsoleta e limitante, per aprirsi ad un mondo di storie che sollecitino le esperienze personali, ponendo in essere elenchi di stati d’animo più che vere e proprie trame. In questo nuovo genere di letteratura, se vogliamo e decidiamo di definirla così, il fine è più importante del mezzo. Il libro per bambini diventa un libro con un codice misto e trasversale, ed è quindi logico che in uno scenario simile il mio approccio, come libraia, sia da considerarsi perlomeno retrò.
Non so se la studentessa, la cui vicenda è stata il grimaldello per queste riflessioni, portava una tesi in letteratura per l’infanzia o su questa nuova editoria, o su entrambe. In ogni caso sappiamo che c’è stato un rifiuto, un rifiuto che può essere un’occasione straordinaria per aprire un dibattito sugli ultimi vent’anni dell’editoria per bambini, un dibattito che si prefigga di indagare se i codici con cui definivamo la letteratura per l’infanzia siano ancora validi, e se un altro genere di letteratura si stia profilando all’orizzonte – considerando anche l’apporto sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale come ideatrice di trame, specie nel libro per ragazzi.
Riferimenti bibliografici
Charlip R., Dove sono tutti?, Orecchio Acerbo, Roma 2019.
Godden R., Bambole giapponesi, Bompiani, Milano 2017.
Godden R., Il fiume, Bompiani, Milano 2018.
Hodgson Burnett F., Il giardino segreto, Rizzoli, Milano 2023.
Holmelund Minarik E., Maurice Sendak, Orsetto, Adelphi, Milano 2013.
Lionni L., Alessandro e il topo meccanico, Babalibri, Milano 2019.
May Alcott L., Piccole donne, Rizzoli, Milano 2021.
Rodari G., Atalanta, Mondadori, Milano 2023.
Saki, Il narratore, Orecchio Acerbo, Roma 2022.
Seidmann-Freud T., Il viaggio sul pesce, Topipittori, Milano 2017.
Sendak M., Nel paese dei mostri selvaggi, Adelphi, Milano 2018.
Solinas Donghi B., Fiabe incatenate, Topipittori, Milano 2020.
Steinbeck J., La perla, Bompiani, Milano 2015.
Travers P.L., Mary Poppins, Rizzoli, Milano 2018.
Woolf V., Al faro, Feltrinelli, Milano 2014.
Zei A., La tigre in vetrina, Salani, Milano 2018.
Alessia Napolitano è libraia presso la libreria per l'infanzia Radice-Labirinto di Carpi. Conduce percorsi di formazione sulla letteratura per l’infanzia. Il suo ambito di ricerca è la relazione tra il libro e il lettore. Il suo studio sulle fiabe l'ha condotta ad un approfondimento della trasmissione dei saperi attraverso il racconto orale. Ha messo a punto la metodologia sperimentale del “Lettore custode” per incoraggiare la lettura come “un piccolo miracolo nato in seno alla solitudine”.