Le research skills nella formazione universitaria in ambito pedagogico-educativo per promuovere l’educazione permanente | Research skills of university students in the pedagogical-educational area to promote lifelong learning

DOI: 10.5281/zenodo.8225285| PDF | Educazione Aperta 14/2023

The latest international (OECD, 2022) and national (INAPP, 2022) data shows that in Italy there are worrying scenarios for the 25-64 age group, regarding: a high number of low skilled people; a lower educational and training participation and tertiary degree qualifications rising, but over a longer period. Promoting and guaranteeing adequate opportunities for all people to acquire strategic skills for progress towards equitable and sustainable development goals is a fundamental challenge and lifelong education is a key factor. Within these assumptions, it is considered essential to train students in transversal skills, in particular in research skills, which enhance the active involvement of the student. An exploratory research project was carried out to investigate on the realization of the degree thesis, as it represents an important research opportunity for the student. Among the main results from data analysis it was found, generally both a low experience of writing and a low awareness about the functions of bibliographic research. These research skills are crucial for the training of active adult people. It will help persons to fully fulfil, through realising their potential, the perspective of Lifelong, Lifewide and Life-deep Learning.

Keywords: Lifelong, Lifewide and Life-deep Learning; soft skills; research skills; writing.


Introduzione[1]

Nel periodo storico attuale, caratterizzato da cambiamenti sempre più rilevanti, incisivi e veloci, di varia natura, da quella economica a quella sanitaria, sociale, culturale, tecnologica, educativa, etc., molteplici studi e ricerche su livelli di istruzione, partecipazione a percorsi di educazione e formazione e acquisizione di competenze riferiti a persone adulte, realizzati non solo a livello nazionale ma anche europeo ed internazionale, evidenziano una situazione preoccupante per molti dei paesi coinvolti, tra cui l’Italia.

Un primo dato critico che riguarda la popolazione adulta italiana è relativo all’elevato numero di low skilled cui va posta particolare attenzione perché, come sottolinea il recente rapporto INAPP (2022a), la rilevante incidenza determina una fragilità che interessa non solo l’ambito economico ma anche e soprattutto l’ambito occupazionale e la partecipazione alla società già documentata e riassumibile in una maggiore difficoltà a prendere parte attiva alla vita sociale e politica, in un minore benessere individuale e sociale e difficoltà nell’accrescimento culturale (OECD, 2021).

In Italia, infatti, il 27,9% della popolazione adulta 16-65 anni possiede livelli molto bassi di literacy, che è una percentuale più alta rispetto alla media dei Paesi OCSE (INAPP, 2022b).

All’interno di una situazione così delicata il rischio maggiore è rappresentato dalla cosiddetta low skills trap (Burdett and Smith, 2002): tale concetto, da un punto di vista economico-sociale, porta a quello che è stato definito low skills equilibrium (Sissons, 2020) in cui la debolezza del sistema di istruzione e formazione è sia causa ma anche conseguenza della debolezza delle istituzioni politico-economiche.

Alla questione dei low skilled, si aggiunge la ridotta partecipazione alla formazione da parte delle persone adulte (Eurydice, 2021). Anche in questo caso l’impatto della pandemia ha avuto conseguenze ulteriormente negative in tutti i Paesi coinvolti nell’indagine OCSE: nel 2020, infatti, è diminuito di due punti percentuali (12%), rispetto al 2019 (14%), il tasso degli adulti che hanno partecipato ad attività di educazione e formazione nelle quattro settimane precedenti al sondaggio (OECD, 2022a). Per ciò che concerne l’Italia, si sono registrati, nel 2021, livelli di partecipazione a percorsi di educazione e formazione più bassi rispetto alla media europea – il 18,6% contro il 20,8% (Eurostat, 2022a). Tali livelli sono quindi inferiori se paragonati al resto d’Europa ma sono comunque in aumento rispetto ai dati italiani riferiti al passato (Istat, 2022).

Tale aumento fa ben sperare ma va sottolineato che andrebbe letto alla luce di quanto è emerso sempre nell’indagine Istat, che conferma anche per l’Italia i dati emersi in ambito internazionale secondo cui l’incidenza del lifelong learning, nel 2021, raggiunge il 23,4% tra chi ha un titolo terziario (superando addirittura il valore medio europeo del 18,6%) ma scende al 2,4% tra chi ha un basso titolo di studio (rispetto alla media europea del 4,3%). Proprio coloro che sono considerati i “principali destinatari delle azioni di riqualificazione e aggiornamento delle competenze per riallocarsi nel mondo del lavoro” (ISTAT, 2022, p. 12) ne risultano essere maggiormente estranei.

Un ulteriore problema, per l’Italia, riguarda il numero dei laureati che è, sì, in aumento, ma con tempi per il conseguimento più lunghi rispetto ad altri paesi europei, collocando il nostro Paese molto indietro rispetto alla media stabilita dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (UN, 2015) per ciò che concerne l’aumento dei laureati (Eurostat, 2022b). Infatti, gli studenti che si laureano entro i tre anni previsti dalla regolare durata del corso di studio di laurea di primo livello in Italia sono solo il 53% contro una media Ocse del 68% (OECD, 2022a).

Le statistiche ufficiali sinora presentate forniscono alcuni dati su cui riflettere in maniera ancora più urgente dopo l’arrivo del Covid-19 che, tra le varie conseguenze, ha determinato anche un aumento di competenze richieste all’adulto rispetto al passato, specie nel campo tecnologico-digitale (Secci, 2021) riconoscendo, ancor più di prima, lo strategico ruolo della formazione, in chiave permanente (Aleandri, 2011; Baldacci, Frabboni e Margiotta, 2012; Costa, 2022), sia per la crescita personale sia per il progresso sociale, comprese le cruciali questioni della sostenibilità, dello sviluppo equo, dell’inclusione e della diffusione di valori democratici. A proposito di competenze, negli anni si è andata diffondendo la crescente necessità di acquisire, oltre alle hard skills, anche le soft skills, che si riferiscono a disposizioni della persona di tipo caratteriale, cognitivo, interpersonale, etc. (Pellerey, 2017), anch’esse di cruciale importanza. Tra le soft skills apprezzate oggi vi sono la creatività, la riflessività e la learning attitude (European Commission, 2019; Aleandri e Consoli, 2020; Boffo, Iavarone e Nuzzaci, 2022), fondamentali per diffondere l’educazione permanente, che ha un ruolo strategico anche per sollecitare alla resilienza e proteggere da rischi socioeconomici dei cittadini che vivono nelle attuali società complesse e in rapido mutamento.

Pertanto, la promozione e la diffusione di tali competenze trasversali, in aggiunta a quelle tecniche, si legano al paradigma dell’educazione permanente da non intendere più come mera acquisizione e/o riproduzioni di concetti (Loiodice, 2008), ma in quanto si integra di una dimensione auto-orientativa e auto-realizzativa che contribuisce all’accrescimento delle capacità necessarie alla persona affinché sia in grado di fronteggiare i molteplici mutamenti a livello individuale e sociale (Aleandri, 2021; Riva, 2022). 

Diventa sempre più necessaria la promozione di crescenti occasioni per acquisire saperi, competenze e abilità che vengono appresi attraverso l’educazione non solo formale, ma anche non formale e informale (Delors, 1997; Alberici, 2008; Aleandri, 2011; Di Rienzo, 2013; Formenti, 2021), che consentono di arricchire la persona di ogni opportunità di apprendimento, sviluppo e crescita, durante l’intero corso della sua esistenza.

A tal proposito, quali sono le soluzioni promosse dall’ambito educativo pedagogico? Com’è possibile promuovere e garantire a persone di ogni età uno sviluppo equo e sostenibile, sia a livello individuale che sociale? Quali sono le competenze chiave per il raggiungimento di questi obiettivi? Qual è e/o quali sono le funzioni, esplicite ed implicite, degli ambienti di apprendimento formali? Questi sono alcuni degli interrogativi che hanno guidato il presente progetto di ricerca. L’educazione permanente, in vista di questi obiettivi di sviluppo, ha un ruolo strategico perché consente l’acquisizione e il continuo aggiornamento di competenze che, privilegiando la pratica esperienziale e la ricerca continua, favoriscono partecipazione attiva sia nei processi educativi che nella vita quotidiana. Nello specifico, per la figura professionale dell’educatore/formatore/pedagogista, la scrittura è importante in virtù delle sue funzioni che vanno oltre l’abilità tecnica (Laneve, 1997; Cambi, 2002; Aleandri, 2012; Demetrio, 2012; Sposetti, Szpunar e Fioretti, 2020). Le competenze di ricerca sono importanti perché la ricerca consente di non invecchiare mai professionalmente (Demetrio, 2021) e in relazione al caso specifico della ricerca educativa, la capacità di consultazione delle fonti rientra nello sforzo di evitare che la scienza dell’educazione possa essere intesa soprattutto come astratta dal punto di vista metodologico, perché utilizzando pratiche, come la ricerca bibliografica, è possibile porre basi generali e affidabili che contribuiscono a dare validità e scientificità a concetti, studi e teorie relativi a modelli e/o processi educativi (Bonaiuti e Vivanet, 2013; Aleandri e Fiorentini, 2022).

 

Quadro teorico di riferimento

In considerazione dei mutamenti della società contemporanea e l’instabilità generalizzata derivata (Sennett, 1999; Beck, 2000), è emersa non solo la necessità di affrontare la diffusa precarietà e le relative difficoltà ma anche, di imparare a governare e dirigere il cambiamento attraverso una piena realizzazione del lifelong, lifewide e lifedeep learning (Aleandri, 2020).

L’importanza dell’educazione permanente è stata riconosciuta già a partire dagli anni ’70, quando alcuni dei maggiori organismi, come il Consiglio d’Europa (1970), l’UNESCO (Faure et. al., 1972) e l’OCSE (Kallen and Bengtsson, 1973), avevano introdotto nei loro programmi il concetto di apprendimento permanente che, all’epoca, era un nuovo paradigma educativo. Oggi, gli stessi organismi (Consiglio dell’Unione Europea, 2018; UNESCO, 2019; OECD, 2022a; 2022b) confermano la centralità dell’educazione permanente identificandola come risorsa per sostenere ogni persona nella crescita individuale e sociale (Santomauro, 1967; Alberici, 2008; Orefice, 2011; Baldacci, Fabbroni e Margiotta, 2012; Mortari, 2016; Baldacci, 2016; Bertagna, 2018; Aleandri, 2011; 2019; Iori, 2020; Di Rienzo, 2021).

Diffondere in maniera più sistematica e ampia l’educazione permanente è ancor più urgente per l’Italia, proprio in considerazione dei dati sopra discussi in merito, nello specifico, alla popolazione adulta. Continuare a formarsi è importante perché, come ribadito in precedenza, conoscenze e competenze sono sempre più richieste e vanno accrescendosi e diversificandosi per rispondere alle trasformazioni che incessantemente avvengono nelle società odierne (Aleandri, 2022). La prospettiva del lifelong learning aiuta l’adulto nell’acquisizione di capacità di adattamento, oltre che per il benessere individuale e sociale, per una maggiore partecipazione civica e per l’inclusione sociale (Freire, 2011; Aleandri, 2019; 2022), che possono essere resi possibili diffondendo una cultura del lifelong learning come stile di vita per affrontare con adeguata flessibilità le dinamiche mutevoli e i diversi bisogni che ne derivano, migliorando così anche la qualità di vita delle persone e della società (Aleandri, 2011). Formarsi e continuare a farlo lungo l’intero corso della propria vita rappresenta la migliore strada percorribile (Morin, 2019) in un mondo che appare costantemente interconnesso e caotico, ma che offre anche molteplici opportunità formative, da affrontare in modo proattivo ai fini dello sviluppo sociale e della responsabilità verso se stessi e gli altri (Alberici, 2008).

In parallelo, è andato aumentando il bisogno di svilupparne molteplici competenze chiave, necessarie per il progresso delle persone e dell’intera società, tra cui vi è la capacità di “apprendere ad apprendere” (Delors, 1997; European Commission, 2019).

L’irrompere della pandemia da Covid-19 ha poi richiamato ulteriormente l’attenzione sulla necessità di sviluppare strategie per sostenere le persone a far fronte agli effetti di questa crisi (Unesco, 2021) che si è andata a sommare ad un clima socioeconomico-culturale già fragile a livello mondiale (Gamberi e Boffo, 2022; UIL, 2022).

Affinché si possa raggiungere un obiettivo così complesso è auspicabile che ogni persona possa essere messa nelle condizioni di agire per mezzo di un coinvolgimento attivo e partecipe sviluppando le proprie capabilities, nel rispetto delle proprie attitudini, dignità e libertà (Sen, 2000; Nussbaum, 2012; Alessandrini, 2014; Margiotta, 2015; Aleandri, 2019) in una visione pedagogica tesa a promuovere l’educazione per ogni persona.

Questo approccio può essere reso possibile, anche, da un paradigma conoscitivo che supera la dicotomia teoria-pratica anche in ambito educativo e che si avvia verso una visione olistica secondo cui l’apprendimento per mezzo dell’esperienza fa progredire l’uomo nella produzione di conoscenza (Kolb, 1984). L’apprendimento esperienziale è legato al concetto di apprendimento permanente perché rappresenta un fenomeno dell’esistenza umana la cui durata coincide con la durata della vita stessa (Jarvis, 1988).

L’inestimabile valore legato alla pratica dell’esperire, in termini di apprendimento, è stato colto ed enfatizzato in relazione all’apprendimento in età adulta (Mezirow, 2003), da cui deriva l’apprendimento trasformativo che consente di mettere in discussione le conoscenze e i concetti pregressi per modificarli e/o integrarli con nuove forme di pensiero, credenze e comportamenti (Mezirow, 2016).

La portata formativa dell’esperienza è resa ancora più significativa dalla successiva fase dell’azione riflessiva: il learning by doing (Dewey, 2014) va affiancato al processo del learning by thinking affinché si possa interiorizzare quanto appreso (Dewey, 1933; D’Arcais, 1987; Mortari, 2003; Taylor, 2019) e realizzare anche il life-deep learning (Aleandri, 2019).

Apprendere dall’esperienza e dal diretto coinvolgimento della persona (Morin, 2017) contribuisce a renderla parte attiva anche nella comunità in cui vive, in quanto lo stesso apprendimento avviene non solo in base a bisogni individuali ma anche a quelli che emergono nell’ambiente circostante e nella società. Si ritiene opportuno proporre, poi, una nuova forma di apprendimento, che si ispira al pensiero di Vygotskij (1997). Si tratta dell’apprendimento espansivo (Engeström, 2019), che si ritiene utile per affrontare innovazione e cambiamento in cui la persona si percepisce in base al contesto di riferimento. Ogni persona, dunque, apprende dalle pratiche di tutti i giorni trovando soluzioni nuove e diverse ai problemi che incontra, tenendo conto dell’ambiente che lo circonda.

L’Università

All’interno del presente contributo l’università rappresenta uno spazio-tempo specificatamente deputato al conseguimento di un titolo di studio formalmente riconosciuto. L’Università, però, è una istituzione in cui l’apprendimento formale si accompagna e arricchisce di molteplici possibilità, anche implicite, per realizzare l’educazione permanente e continua (Atchoarena, 2021). La sua presenza sul territorio contribuisce allo sviluppo e al benessere dello studente e dell’intera comunità (Aleandri, 2019; Baldacci, 2019; Calvano e Piazza, 2022). È importante, dunque, che enfatizzi anche le occasioni di apprendimento esperienziale.

Tra le competenze acquisibili anche per mezzo di esperienze realizzate in prima persona dallo studente, durante il percorso universitario, vi sono le competenze trasversali che sono focali anche per poter “apprendere ad apprendere” (Aleandri e Consoli, 2020). Tra le competenze trasversali vi rientrano le research skills che sono di grande importanza per il pedagogista, il formatore e l’educatore socio-pedagogico affinché possano lavorare basandosi su prassi contestualizzate secondo lo spazio-tempo in cui andrà ad operare per la co-costruzione di apprendimenti profondi (life-deep learning) per mezzo di una ri-elaborazione delle esperienze vissute in modo attivo e proattivo (Bruner, 1992; Mortari, 2007; Aleandri e Girotti, 2010; Dewey, 2014).

La ricerca pedagogica e educativa è molto complessa perché è in stretto rapporto con la realtà in mutamento e pertanto necessita di ulteriori formulazioni e verifiche sul campo così da evitare di affidarsi solo a concetti teorici che rischiano di essere decontestualizzati.

C’è da chiedersi, quindi, quali sono le occasioni formative sia esplicite sia implicite, di tipo teorico ma anche pratico-esperienziale e di ricerca offerte dall’università durante il percorso di studio, in quanto sono particolarmente preziose per chi è proiettato verso professioni nel campo pedagogico-educativo.

Una delle principali forme di ricerca per uno studente universitario è rappresentata dalla tesi di laurea. Le funzioni di una tesi di laurea sono da intendere non solo come fase finale obbligatoria di un percorso universitario, ma anche come opportunità per acquisire e sperimentare le competenze raggiungendo un’adeguata consapevolezza.

Disegno di ricerca

Alla luce di quanto sinora esposto è stato realizzato, nel primo semestre dell’A.A. 2021-2022, un progetto di ricerca esplorativo che ha avuto come principale finalità la comprensione e l’analisi degli attuali livelli di conoscenza e consapevolezza che gli studenti iscritti a corsi di laurea, sia triennale sia magistrale, in ambito educativo-pedagogico posseggono in relazione alle opportunità formative che l’università offre loro per l’acquisizione di competenze trasversali, tra cui le research skills.

Una delle principali attività educativo-formative per la promozione di research skills è rappresentata dalla tesi di laurea la cui importanza non si esaurisce solo nel prodotto finito o nell’argomento scelto bensì nell’intero lavoro di studio e ricerca maturato (Eco, 2017). La realizzazione di una tesi di laurea implica, in primis, un lavoro di ricerca bibliografica al fine di selezionare fonti e dati attendibili che validano la tesi sostenuta che, insieme alla successiva scrittura di tesi per mezzo di una scrittura formale e chiara, consente di contribuire ad una co-costruzione di conoscenza e di potenziare nel laureando/a competenze varie, tra cui auto orientamento, creatività e pensiero critico (Aleandri e Russo, 2017).

Il macro-obiettivo principale della ricerca consiste nel rilevare livelli di competenze e di consapevolezza dei partecipanti al fine di poter favorire un’occasione per riflettere sull’importante ruolo svolto dall’attività di ricerca bibliografica e della pratica della scrittura. Gli obiettivi specifici consistono nel comprendere il livello di conoscenza/competenza degli studenti partecipanti in merito all’attività di ricerca bibliografica; valutare il livello di consapevolezza degli stessi circa l’importanza e l’utilità della ricerca bibliografica; rilevare gli studenti che si impegnano in attività di scrittura e per quali scopi, motivi e il tempo dedicato e valutare il livello di consapevolezza degli studenti circa l’importanza e l’utilità legate alla pratica della scrittura. Si cercherà, qualora possibile, di operare riflessioni in merito alla coorte triennale e magistrale.

Partecipanti

Il progetto di ricerca ha visto coinvolte 64 studentesse (100% donne) iscritte al corso di laurea triennale in Scienze dell’educazione (rappresentante il 64% del campione totale) e al corso di Laurea magistrale in Scienze pedagogiche e Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua dell’Università Roma Tre. L’età media era di 25 anni (con età compresa dai 19 ai 28 anni) per le iscritte alla triennale, di 37,5 anni (con range di età compreso tra i 29 e i 58) per le studentesse della magistrale.

Strumenti e metodologia

Lo strumento utilizzato per realizzare la ricerca è stato un questionario, somministrato attraverso Google Moduli, con domande che prevedevano risposte sia chiuse sia aperte.

Per l’analisi dei risultati è stata utilizzata una metodologia mista, privilegiando quella qualitativa, che è stata utilizzata ai fini dell’interpretazione dei dati ottenuti dalle risposte aperte fornite nel questionario. Più nello specifico ci si è serviti di un originale modello (Aleandri, 2012) basato sul metodo Grounded Theory (Glaser e Strauss, 2009). Secondo il tale metodo, è prevista una fase di codifica iniziale da compiere attraverso etichette descrittive e concettuali alquanto dense. È seguita poi una fase più analitica per traslare i dati ottenuti verso un maggior livello di astrattezza fino ad arrivare all’ultima fase, relativa alla codifica teorica, con cui definire i fenomeni in termini astratti per elaborare core category.

Risultati e discussione

In riferimento all’area di indagine riferita alla ricerca bibliografica, al primo item rivolto solo agli studenti del corso di laurea triennale emerge un quadro che fa riflettere: il 70% di studenti definisce la ricerca bibliografica in maniera molto generica e non specifica definendola come operazione di controllo su ciò che si conosce e/o non si conosce. Il 20% di studenti la definisce come l’attività volta a ricercare e/o reperire materiale, sia in forma cartacea che in forma digitale, per la stesura della tesi. Il restante 10% fornisce una definizione non corretta

Per quanto riguarda il secondo item, un dato preoccupante riguarda il 67% degli studenti della triennale che dichiara di non aver mai svolto una ricerca bibliografica e alcune di queste studentesse esprimono anche curiosità in merito; infatti, solo il 22% di questa coorte sostiene di averla svolta per la realizzazione della propria tesi mentre l’11%, del medesimo sotto-campione, ha realizzato una ricerca bibliografica durante lo studio della disciplina Bibliografia e biblioteconomia e ne mette in luce la complessità e l’importanza delle regole metodologiche che la contraddistinguono. L’85% degli studenti del corso magistrale sostiene di aver svolto la ricerca bibliografica per la realizzazione della tesi triennale utilizzando il materiale suggerito dal relatore; il restante 15% l’ha realizzata incrementando il reperimento di materiale attraverso interviste al campione usato per la tesi sperimentale.

Per quanto riguarda i risultati relativi all’area “attività di scrittura”, al primo item il 50% degli studenti del corso triennale sostiene di aver avuto poche opportunità in merito, derivanti da esperienze di studio di alcune discipline (tra cui Didattica del gioco e dell’animazione e Pedagogia interculturale); il 60% degli studenti del corso magistrale specifica la disciplina Apprendimento permanente e Educazione degli adulti. Il 34% della triennale e il 20% della magistrale sostengono di aver avuto esperienze di scrittura legate alla stesura della relazione di tirocinio. Il restante 16% della triennale afferma di avere avuto poche occasioni e legate alla sfera personale. Il rimanente 20% della magistrale cita esperienze legate alla redazione della tesi di laurea.

Alla stessa domanda posta agli studenti del corso di laurea magistrale, in riferimento al biennio cui sono iscritti, il 60% dichiara di avere avuto opportunità solo durante lo studio di due discipline. Il 40% afferma che le uniche occasioni di scrittura sono state legate alla disciplina Apprendimento permanente ed educazione degli adulti.

In riferimento al terzo item, il 37,5% degli studenti della triennale sostiene di dedicare poco tempo alla scrittura, “solo quando necessario”, e di non essere in grado di quantificare le ore; il 12,5% dello stesso gruppo afferma, perfino, di non dedicarvi alcun tempo durante la settimana. Il 25% del triennio e il 40% del biennio magistrale sostengono di dedicarsi alla scrittura due ore a settimana; un 12,5% del corso triennale vi dedica cinque ore al giorno e il restante 12, 5% sostiene di scrivere quotidianamente. Anche il 20% della magistrale risponde di scrivere quotidianamente; l’altro 20% vi impegna dodici ore settimanali e il rimanente 20% vi dedica dalle quattro alle cinque ore.

In merito ai risultati sopra discussi riteniamo opportuno fare ulteriori considerazioni.

La scrittura della tesi di laurea viene richiesta in quasi tutti i percorsi universitari, ma il suo obiettivo non è solamente quello di formalizzare la conclusione di un percorso. Le attività insite nella elaborazione di una tesi di laurea sono molteplici e variegate perché hanno a che fare con lo studio teorico, con la pratica riflessiva, con la capacità di comprendere e approfondire e interpretare il materiale di studio ma riguarda anche la pratica dell’esperire, con l’attività di ricerca e ricerca bibliografica. Tali attività consentono allo studente di costruire in modo attivo e partecipato un proprio “prodotto”, che si tratti di una tesi di laurea sia compilativa sia sperimentale ma è opportuno che sappia coglierne l’immenso valore educativo-formativo che esse hanno.

Dalle risposte fornite da entrambe le coorti si può evincere come, soprattutto durante il percorso di laurea triennale, la realizzazione dell’elaborato finale per il percorso di tirocinio concluso ha rappresentato l’occasione che ha maggiormente coinvolto nell’attività di scrittura le studentesse, di entrambi le coorti, con una percentuale maggiore per la coorte triennale. Potrebbe essere interessante approfondire poi le motivazioni per cui gli iscritti alla magistrale sembrano dedicare un tempo maggiore e costante durante la settimana a differenza degli iscritti alla triennale, i quali sostengono o di scrivere poco e/o di non scrivere.

Conclusioni e proposte pedagogiche

L’insieme delle risposte consente di tracciare una situazione aggiornata, seppur non rappresentativa, su cui poter fare alcune riflessioni e proposte pedagogiche.

Lo studente di oggi e l’educatore, o il pedagogista o il formatore – cioè il professionista del domani – non può ignorare l’importanza di acquisire competenze legate alla ricerca. Non a caso, tra i risultati di apprendimento dichiarati nei corsi all’interno dei quali è stata realizzata la presente indagine esplorativa, sono richiamate alcune delle competenze attese in coerenza con i Descrittori di Dublino con particolare riferimento ai risultati attesi presenti nella Scheda SUA-QUADRI A.4.b.1 – A4.c. Oltre all’acquisizione del quadro teorico di riferimento, gli obiettivi declinati, sin dal corso di laurea triennale, si caratterizzano anche per il riferimento alle competenze trasversali, tra cui l’abilità del problem solving, capacità comunicative e di riflessione.

Purtroppo, i risultati ottenuti dall’indagine restituiscono un’immagine poco rosea perché evidenziano, da parte degli studenti, lo ribadiamo, una scarsa abitudine alle attività che, come nel caso della ricerca bibliografica e attività di scrittura, consentono di apprendere durante il percorso universitario importanti competenze che saranno utili per la vita, professionale ma anche personale e sociale. Inoltre, è emersa anche una scarsa consapevolezza sulle attività di ricerca che, comunque, vengono svolte dagli studenti. Sono soprattutto gli studenti del corso triennale a mostrare poca consapevolezza rispetto ad esperienze che loro stessi hanno vissuto in prima persona in merito a questi due ambiti esperienziali. Alla luce di tali risultati rilevati e discussi nell’ambito del progetto di ricerca, si propone di sostenere e incoraggiare la capacità di riflessione critica prima, durante e dopo l’azione svolta affinché si possa trasformare quest’ultima, e la/le conoscenza/e implicita/e, in competenza/e esplicita/e.

Partendo da un generale ridotto livello di consapevolezza del ruolo, delle funzioni e modalità di realizzazione della ricerca bibliografica sommate ad una scarsa abitudine e pratica della scrittura tra gli studenti, proponiamo, innanzitutto, una maggiore in/formazione specifica anche durante i percorsi universitari per la formazione iniziale alle professioni dell’area socioeducativa e pedagogica. È importante anche favorire una migliore conoscenza e maggiore pratica nell’uso di banche dati, open source e sistema di ateneo per la ricerca bibliografica e reperimento di testi, sia cartacei che digitali.

Sembra opportuno proporre di dedicare specifiche attività di formazione in merito al discernimento tra fonti attendibili e non attendibili. Questo non solo per quanto concerne lo studio universitario, bensì anche e soprattutto per la sua vita personale e professionale. La comunicazione attuale, la sua velocità e variegata possibilità di circolare, ha incrementato la quantità di informazioni ma non la qualità (basti pensare alle numerose fake news). Il progresso dei tempi odierni è accompagnato da una vastità di fonti, molto maggiore rispetto anche ad un recente passato, da cui la persona può attingere ed informarsi per conoscere e apprendere ma tenendo sempre attivo il suo pensiero critico ed evitare di incappare in notizie errate e prive di fondamento etico-scientifico. Un’ulteriore proposta riguarda la sollecitazione dell’attività della riflessione e della riflessione critica durante la fase di scrittura della relazione di tirocinio; la scrittura (Cambi, 2002; Aleandri, 2012; Biffi, 2014) va considerata come attività ed esercizio che va oltre la sfera didattica perché abbraccia la capacità di orientarsi e auto-orientarsi (Aleandri e Russo, 2017).

Ciò consente sia lo sviluppo del pensiero critico, della consapevolezza della valenza educativa e formativa di tale connubio sia lo sviluppo di molteplici competenze che possono scaturirne, tra cui la resilienza e la riflessività oltre che una maggior capacità di partecipare in modo attivo e consapevole alla costruzione democratica del proprio progetto di studio e di vita (Pinto Minerva, 2004; Ulivieri, 2018; Aleandri, 2021). Tale impostazione pedagogico-educativa proposta si basa sulla considerazione dello studente universitario come una persona attiva in formazione e legittimata a partecipare e collaborare nel processo di costruzione del proprio e altrui sapere, attraverso la promozione di esperienze che contribuiscano a acquisire competenze di ricerca e a una maggiore partecipazione dinamica di tutte le figure coinvolte nei processi formativo-didattici.

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Note

[1] L’articolo e il progetto di ricerca sono stati svolti con l’organizzazione e il coordinamento di Gabriella Aleandri, alla quale vanno attribuiti i paragrafi: Introduzione, Quadro teorico di riferimento, Disegno di ricerca, Conclusioni e proposte pedagogiche. A Chiara Fiorentini sono attribuibili i paragrafi: Obiettivi generali e specifici, Partecipanti, Risultati e discussione.

Le autrici

Gabriella Aleandri è professoressa di Pedagogia generale e sociale al Dipartimento di Scienze della Formazione, Università Roma Tre. È autrice di molte pubblicazioni, tra cui: Adult Education, Education Policies and Lifelong Learning during and beyond the Covid19 Pandemic, in INTED2022 Conference Proceedings, IATED Academy; Adult education today. Pedagogical analysis and perspectives, in O. Bernad Cavero et al. (eds), Investigaciones y proyectos académicos de futuro, Tirant Lo Blanch, Valencia 2021.

Chiara Fiorentini è dottoranda in Teoria e Ricerca Educativa (Università di Roma Tre). È autrice di pubblicazioni, tra cui: Aleandri G. & Fiorentini C. (2022). Pedagogical strategies and educational policies for equity and inclusion, in INTED2022 (pp. 9058-9066), IATED Academy; Aleandri G. & Fiorentini C. (2022), Research Skills of university students in pedagogical and educational fields for Lifelong Learning, in “Giornale Italiano di Educazione alla Salute, Sport e Didattica Inclusiva”, 6(1).