Introduzione. Musei, comunità e ricerca pedagogica
Il Primopiano del numero 15 di “Educazione Aperta” mette al centro il costrutto ‘museo’, con una particolare attenzione ad una visione ‘ecologica’ che lo colloca in senso transdisciplinare nel processo di costruzione di un immaginario in grado di riconfigurare paesaggi, saperi e sensibilità. Da tempo istituzione che interpreta la sua funzione educativa facendo emergere il nesso tra arte, cultura, scienze, ambiente, educazione, formazione e salute, il museo, negli ultimi anni, è diventato terreno fecondo di attivazione sociale ed ecologista, affermandosi come strumento per lo sviluppo locale a partire dal recupero, la ridefinizione e la rigenerazione dei luoghi. L’estensione degli spazi alla crossmedialità e il potenziamento dei linguaggi in senso laboratoriale, in collaborazione con istituzioni culturali, editoria e comunicazione, inoltre, hanno reso possibile nuove forme di interazione, al crocevia tra il fare esperienza e il fare conoscenza. In questa ottica, il museo è direttamente legato alla comunità e permette di riconfigurare il ruolo della popolazione, non più consumatrice o fruitrice, ma effettiva co-organizzatrice, in un percorso che unisce la dimensione materiale a quella immateriale dei beni culturali. La ricerca pedagogica, pertanto, incontra lo spazio-museo come parte di un sistema di politiche territoriali che lavorano sulla cittadinanza, sull’immaginario sociale, sull’identità e sono in grado di attivare partecipazione e collaborazione. Gli scritti pubblicati forniscono dunque anche uno sguardo più in profondità di diverse esperienze museali che hanno in comune la ricerca di pratiche e metodologie che rispondono alle sollecitazioni innovative dell’ICOM (International Council of Museum) e lasciano emergere l’importanza di una riflessione pedagogica rispetto alla auspicata funzione sociale ed educativa dei musei e della loro connessione con le altre istituzioni territoriali. In particolare si tratta di testi ed elaborazioni di pensiero politico-educativo che provengono da esperienze comunitarie e movimenti che dal basso si organizzano per costruire reti di solidarietà e di trasformazione sociale. Il museo non è certo una collezione ma piuttosto luogo di pensiero e di progettazione politico-educativa di cui la rivista “Educazione Aperta” con questo numero si fa testimone. Nell’ambito di una filosofia dell’educazione Chiara Agagiù porta un caso di studio nato dal dramma ecologico della Xylella in Salento e dalla necessità di utilizzare il mezzo artistico come strumento pedagogico e di sensibilizzazione e rigenerazione comunitaria di un uliveto. Richiamando l’ambito etico-estetico di matrice lacaniana e affiancando a esso la prospettiva ecologica di derivazione heideggeriana della lotta tra Terra e Mondo, il contributo offre un interessante sguardo sul dialogo tra arte ed ecologia, partendo dal basso e da esperienze informali che ri-configurano il significante ‘Museo’ inteso come prodotto di un discorso culturale, nella dialettica tra soggetto e istituzione, e a fronte delle emergenze contemporanee. Valentina Berardinetti e Giusi Antonia Toto concentrano la loro riflessione sul ruolo del museo come spazio didattico-educativo che può assumere grande rilevanza nella costruzione delle identità culturali dei futuri cittadini di oggi, attraverso la sperimentazione di nuove strategie didattiche attente alla cura della casa comune e al dialogo con le potenzialità digitali che amplificano in senso didattico le potenzialità comunicative del patrimonio culturale e artistico. Infatti, il soggetto museo – in un paesaggio contemporaneo in cui la scuola non è più certamente l’unico avamposto del sapere – può rappresentare un ecosistema della conoscenza, luogo immersivo e di apprendimento attivo che favorisce lo sviluppo di conoscenze e competenze. Analizzando le discrepanze tra le attese e le concrete declinazioni odierne dell’istituzione museo Alessia Iotti e Irene Culcasi si concentrano sul ruolo della mediazione e outreach, quel processo fuori dallo spazio museale di coinvolgimento di comunità esterne che passa attraverso la riduzione della distanza tra museo e comunità nel contesto sociale. Le autrici descrivono un duplice intervento in un contesto periferico di Brescia in cui la mediazione artistica – attraverso il laboratorio d’arte, inteso come racconto collettivo al cui centro vi sono i nodi di connessione del tessuto esistente tra partecipanti e luogo – ha permesso l’ascolto delle peculiarità di gruppi comunitari specifici, ricostruendo insieme a loro la dimensione della partecipazione di un Museo fuori dalle sue mura, dove interazione, educazione e promozione del patrimonio hanno preso le forme di espressione della comunità coinvolta. L’intervento descritto offre uno sguardo sulle potenzialità dell’arte come forza propulsiva per la giustizia sociale e la mediazione partecipata, un mezzo per coltivare il fiorire delle identità personali, contribuendo al contempo a rafforzare i legami e la resilienza di ecosistemi complessi dove spesso le strade delle opportunità culturali si interrompono. Michele Zedda, parlando delle potenzialità del museo naturalistico, ci fa notare quanto sia importante che la comunità ne comprenda l’importanza non solo culturale, ma anche sociale, politica ed economica di quanto vi è custodito; infatti, i musei scientifici – spesso considerati inclini alla semplificazione infantile – non sono luoghi preposti solo a istruire ma capaci di recuperare il concetto stesso di cultura, di ripensarla in senso interdisciplinare, di promuovere una nuova coscienza identitaria. Inoltre, nel museo naturalistico si creano le condizioni ideali per riflettere criticamente sul problema ecologico, tematica di grande rilievo socio politico, poiché coinvolge, più o meno direttamente, l’intera comunità. Sullo sfondo vi è sempre l’educazione ambientale che trova una via ben perseguibile in forza della suggestione museale. Alessandra Landini presenta un progetto educativo di un Istituto Comprensivo di Reggio Emilia sul paesaggio storico-culturale e sociale della città, quale esempio di scuola in ricerca che traccia nuove vie per una cittadinanza diffusa, lontano dalla solitudine sociale e dall’isolamento che spesso caratterizza il mondo dell’educazione. Il progetto, realizzato in rete con il territorio, si nutre delle suggestioni di entità come gli “ecomusei”, percorsi di crescita culturale delle comunità locali e fa dell’interconnessione l’assetto didattico per la valorizzazione e la cura del patrimonio intrinseco ed estrinseco della città. Se la scuola si fa “porosa” rispetto ai suoi paesaggi naturali e culturali può divenire contesto di identificazione che innerva cultura, simboli e valori di una comunità, mentre promuove un’educazione autentica. João Gabriel Pinheiro Huffner e Maria Terezinha Resende Martins presentano l’esperienza dell’Ecomuseo situato in alcune isole e distretti del municipio di Belém, capitale del Pará, uno degli Stati brasiliani che fanno parte della regione amazzonica. Gli autori analizzano in particolare le dimensioni educative dell’ecoturismo comunitario, che, in contrastato alle logiche dominanti del turismo predatore, favoriscono il protagonismo e l’emancipazione delle popolazioni di aree di difficile accesso, caratterizzate da significativi problemi socio-ambientali. L’articolo Ecomuseu Urbano: incursão existencial de um pensamento infinito em percurso si incentra su un’altra città brasiliana, Porto Alegre, localizzata questa volta nel Sud, soffermandosi sulla piantumazione di specie arboree nelle ventisei piazze del centro storico e altre iniziative educative a essa connesse. È stato a partire dagli incontri quotidiani necessari per la manutenzione del primo albero, una Caneleira ferrugem, infatti, che ha preso forma l’idea di un museo decentrato caratterizzato da un patrimonio vivo. A seguire, Emanuele Liotta argomenta la specificità dell’ecomuseo nel mettere al centro del processo educativo l’esperienza diretta, la partecipazione attiva e la co-creazione di conoscenza da parte delle persone che vivono e lavorano in un certo territorio, illustrando la costruzione di una rete di ecomusei in Sicilia. Tale rete mira a favorire lo scambio di buone pratiche e la collaborazione, configurandosi come una risposta significativa nel contrasto alle povertà educative. Lo scritto di Chiara Di Carlo propone di rileggere le aree interne abruzzesi come ‘ambienti culturali’ di cui i monasteri sono stati originario attivatore e attuale presidio territoriale che tiene insieme arte, agricoltura e pastorizia. La fragilità e la marginalità di quelle aree geografiche sono le premesse di una ricerca-intervento che prova a fare proprio il paradigma Unesco relativo al valore dei patrimoni immateriali delle comunità. In questa direzione l’autrice ci conduce e fa conoscere le potenzialità dell’ecomuseo, ovvero del museo diffuso, realizzato in forma partecipata e integrata nel comprensorio della Valle Siciliana nella provincia di Teramo, in Abruzzo, come esperienza di rigenerazione attivata intercettando la creatività e la diversità culturale insieme alla comunità locale come risorse strategiche. Con Antonio Saccoccio l’esperienza dell’ecomuseo dell’Agro pontino diventa occasione per ritrovare il pensiero di Ivan Illich e leggerne i legami con quello di Paulo Freire e Danilo Dolci, a proposito coscientizzazione e di partecipazione delle comunità al governo e alle trasformazioni del contesto locale. Lo scritto si focalizza sulla dimensione viva del patrimonio culturale e quindi sulle pratiche formali ed informali di “educazione liberatrice” utilizzate per rendere le persone parte attiva delle politiche e del governo dei luoghi in cui vivono. Un testo che sposta l’attenzione dalle attività educative di un museo a quelle di esplorazione, incontro e comunicazione di un ecomuseo dove si mobilitano saperi e conoscenze relative ad ambiente e cultura e si chiamano in gioco, in senso maieutico, gli stessi abitanti come risorsa. Con il contributo di Alessia Rosa e Michela Bongiorno il concetto di ecomuseo viene ricondotto alla sua origine di “museo esploso” e ad una museologia sviluppatasi intorno alle questioni postcoloniali e il valore dei patrimoni culturali tra tradizione e innovazione. In questo senso viene utilizzato il caso della Regione Piemonte per dimostrare che gli ecomusei possono rispondere ad una funzione educativa come ‘scuola di territorio’ in grado di tenere insieme cultura materiale e immateriale e integrare modelli come la ‘placed based education’ nella formazione dei cittadini, già dalla fase pre-scolare. Importante la dimensione esplorativa e multisensoriale di questi modelli che costituiscono una significativa offerta educativa territoriale di cui le autrici analizzano la cura nella progettazione attraverso quanto presente nei siti web istituzionali. Rosangela Ungaro propone di situare le esperienze e il valore educativo dei musei e dei musei diffusi tra gli elementi di costruzione di ‘comunità educanti’. Proprio la prospettiva delle ‘comunità educanti’ introduce alla dimensione partecipativa della possibile relazione con il patrimonio culturale, che è forma concreta di appartenenza al museo e indica il valore sociale dell’esperienza vissuta, che per questo non può limitarsi ad essere misurata in termini di sola soddisfazione nella fruizione/visita. Lo scritto è pertanto occasione per approfondire la prospettiva che guarda ai musei come ambienti di apprendimento per far emergere le responsabilità educative delle istituzioni culturali nei confronti dei cittadini. Scuola e realtà museali vengono lette, inoltre, come quel sistema territoriale in grado di rispondere con strumenti formali e informali insieme al bisogno di apprendimento e formazione continua. Con Franca Zuccoli si guarda alla specifica esperienza del Museo Diffuso Bicocca, nato tra i dipartimenti e le loro realtà di ricerca contribuendo alla riflessione sul ruolo e le attività dei musei e in particolare focalizzando sulla loro funzione di conservazione della memoria in rapporto alla costruzione del sapere e allo sguardo critico prodotto dalla conoscenza. Il campus universitario della Bicocca e l’idea del suo progettista diventano occasione per leggere il territorio nella sua specifica relazione tra sistema abitativo, produttivo, formativo e culturale. Si tratta per l’autrice di riconoscere il valore di un distretto culturale e dare maggiore visibilità e valore alla ricerca scientifica. A partire da un approccio etnografico, l’articolo A pesca artesanal como patrimônio cultural e espaço de circulação de saberes da ancestralidade: um “museu” aberto, Vigia-Brasil esplora la pesca artigianale a Vigia, nello Stato del Pará, in Brasile, sostenendo che rappresenti il presupposto per la costituzione di uno spazio-museo aperto di base comunitaria. Questo percorso implica il riconoscimento della pesca artigianale come pratica culturale orientata da saperi secolari strettamente legati ai territori di elevato valore ecologico in cui si realizza. Anche l’articolo successivo si riferisce a una realtà museale situata nello Stato del Pará e in particolare all’archivio didattico del Museo Emílio Goeldi della capitale, Belém. Adriele de Fátima de Lima Barbosa, Rodrigo de Cássio da Silva e Maria das Graças da Silva prendono in considerazione i giochi e i kit didattici finalizzati alla formazione scientifica di bambini e adolescenti e incentrati su temi specifici relativi all’Amazzonia nel pluralismo delle sue dimensioni culturali e sociali così come naturalistiche, mostrandone la rilevanza in una prospettiva di educazione interculturale critica.
La sezione Esperienze e Studi, come di consueto a tema libero, si apre con il saggio di Enrico Orsenigo, che mette in parallelo la realtà educativa con la “finzionalità”, esaminando due figure letterarie: L’idiota di Fëdor M. Dostoevskij e Tonio Kröger di Thomas Mann. L’autore argomenta che l’incontro con i personaggi costituisce un acceleratore esperienziale e allarga lo spazio immaginale, mettendo a disposizione delle persone un numero consistente di versioni del mondo per comprendere se stessi, gli altri e la realtà. La Shoah insegnata: la Giornata della Memoria in Italia prende avvio da una ricerca condotta dal 2021 al 2022 e basata sulla somministrazione di un questionario a insegnanti italiani, allo scopo di problematizzare l’impatto dell’introduzione del “Giorno della memoria” sulla realtà degli studenti. Nella parte conclusiva del saggio, Margherita Angelini formula alcune proposte pedagogiche orientate a porre la storia della Shoah al centro della programmazione della scuola secondaria di primo grado. L’articolo di Claudia Secci mette a fuoco la prospettiva della nonviolenza nella riflessione della nota filosofa femminista Judith Butler, esplorando il concetto di grievability, ovvero di dignità del lutto, come elemento fondativo della comprensione di ciascun soggetto come facente parte del genere umano e quindi presupposto della messa in atto di relazioni nonviolente a partire dai sistemi formativi. La sezione Voci, echi & dialoghi ospita gli articoli di Gaia Colombo; Chicca Cosentino, Irene Mottareale, Raffaella Quattrocchi e Caterina Strafalaci; Cristina Breuza; Paolo Vittoria; e altri tre contributi del ciclo Letteratura per l’infanzia è letteratura di Cristiana Pezzetta, Alessia Napolitano e Bruno Tognolini.