Intrecci tra filosofia e scrittura per educare a pensare a scuola | Interweawing Philosophy and Writing to educate thinking at school
DOI: 10.5281/zenodo.14603016 | PDF
Abstract: Filosofare è in primo luogo uno strumento di educazione del pensiero che chiama in causa le abilità cognitive del soggetto, favorendo la ristrutturazione o riorganizzazione delle proprie conoscenze. È, anche, soprattutto funzionale alla formazione di disposizioni verso la ricerca e allo sviluppo della capacità di interrogarsi su se stessi e sul mondo. Riguarda non tanto il cosa, quanto il come, cioè il modo in cui il soggetto si pone innanzi ai problemi, trasformandosi nel tempo in un habitus mentale che investe la qualità del pensiero. Fare filosofia con i bambini significa tenerli per mano sul sentiero non ovvio della conquista di sé e della propria coscienza. Questo contributo integra l’esperienza della Philosophy for Children, un programma per fare filosofia con i bambini ideato da Matthew Lipman, con un laboratorio di scrittura creativa. Tale intreccio mira a sollecitare nei bambini il bisogno di capire, organizzare e confrontare posizioni e punti di vista divergenti. La scrittura permette di alleggerire la memoria dal compito di trattenere ogni dettaglio, contribuendo allo sviluppo di linee di pensiero e di modelli di ragionamento. Le attività di scrittura sono complementari alle sessioni di discussione filosofica: entrambe le esperienze aiutano la mente dei bambini a immergersi profondamente nelle storie, con i loro personaggi, le loro dinamiche e problematiche. Questo approccio integrato favorisce una riflessione più profonda e strutturata, migliorando così la capacità dei bambini di pensare criticamente, emotivamente e creativamente.
Parole chiave: Philosophy for Children, comunità di ricerca, scrittura creativa, discussione, approccio problematico-esistenziale.
Abstract: Philosophising is first and foremost a tool for the development of thought that calls upon the cognitive abilities of the subject, encouraging the restructuring or re-organization of one's knowledge. Above all, it is also instrumental to the formation of
attitudes towards research and the development of the ability to question oneself and the world around us. It concerns the how, rather than the what, i.e. attitude with which the subject regards problems, transforming itself over time into a mental habitus that affects the quality of thought. Doing Philosophy with children means taking them by the hand through non-obvious paths of becoming aware of themselves and their own consciousness. This contribution integrates the experience of Philosophy for Children, a program of practicing Philosophy with children, as ideated by Matthew Lipman, within a creative writing workshop. Such a link aims at stimulating in children the need to understand, organise and compare divergent positions and points of view. Writing relieves the memory from the task of retaining every detail, contributing to the development of lines of thought and patterns of reasoning. Writing activities are complementary to the philosophical discussion sessions: both experiences help the children's minds to become deeply immersed in the stories, with their characters, dynamics and issues. This integrated approach encourages deeper and more structured reflection, thus enhancing the children's ability to think critically, emotionally and creatively.
Key words: Philosophy for children, research community, creative writing, discussion, problem-existential approach.
Il movimento educativo della Philosophy for Children
Il curriculum di Philosophy for Children (P4C), ideato dal professor Matthew Lipman, non è l'unico esempio di attività filosofica condotta con i bambini nella scuola[1]. Si conoscono numerose e multiformi traduzioni e interpretazioni applicative, realizzate in vari paesi del mondo, dall'America Latina alla Cina, dall'Europa, in cui si contano attualmente molti centri educativi impegnati nella promozione di questo curricolo (Lipman, 2005), all'Australia e Nuova Zelanda. Per questo motivo la P4C oggi è considerata, più che un metodo, un vero e proprio movimento educativo a livello internazionale (Santi, 2006) che promuove la filosofia come pratica di ragionamento comunitario, un'attività di pensiero che ognuno, in quanto essere pensante, può/deve esercitare, sviluppando un approccio problematico-esistenziale nei confronti della realtà.
Il filosofo e logico statunitense Matthew Lipman, a partire dagli anni Settanta, aveva messo a punto un programma per fare filosofia con i bambini, i cui principali obiettivi sono quelli di rinforzare le abilità di ragionamento in relazione all'area della comprensione, analisi e soluzioni dei problemi, all'area metacognitiva e a quella argomentativa.
Durante i corsi di Logica tenuti all'Università della Columbia, Lipman ebbe modo di confrontarsi con la fragilità nel ragionamento dei suoi studenti, ormai giovani adulti, un'esperienza che lo convinse dell’importanza di ideare un nuovo approccio all'educazione del pensiero critico rivolto però ai bambini. Rifacendosi al pragmatismo deweyiano (1975), Lipman considerava che l'apprendimento di un pensiero formalmente corretto, di alto livello, potesse diventare oggetto di interiorizzazione da parte dei bambini solo se questi avessero occasioni di provare ad esercitare il proprio pensiero, attivando processi di indagine razionale sul mondo, per dare ad esso un significato sempre superabile, a prescindere da ogni sistematizzazione di stampo accademico del sapere filosofico. Tale indagine nei bambini è stimolata attraverso una serie di racconti, di cui è costituito il curriculum, che vertono su differenti tematiche, tutte a sfondo filosofico, come la filosofia della natura, la filosofia dell'esistenza, della conoscenza, della politica, l'etica, la logica e l'estetica.
La struttura dei racconti è dialogica, nel senso che i personaggi affrontano i contenuti presentati dal racconto all'interno di discussioni innescate dalla problematicità e dalla concretezza di episodi di ogni giorno. L’instaurarsi di un dialogo continuo tra diversi interlocutori voleva offrire, nelle intenzioni dello studioso, un modello esemplificativo del metodo dialogico-argomentativo della filosofia, perseguibile da un punto di vista didattico in classe.
Il “dialogo euristico” e la “comunità di ricerca” sono i due concetti portanti su cui si fonda la dimensione metodologica del filosofare nella P4C: insieme alludono alla messa a punto di pratiche di ricerca che fanno della discussione (del dialogo) uno strumento olistico, orientando gli sforzi intellettuali dei membri della comunità verso la definizione di giudizi ragionevoli e intersoggettivamente negoziabili. Di conseguenza, l'obiettivo più lungimirante della P4C è quello di trasformare il gruppo classe in una comunità di esseri pensanti-parlanti, entro la quale ognuno possa fornire un suo contributo alla ricerca di una “verità”, nel rispetto di una logica della scoperta, dell'invenzione di cui, in linea teorica, ciascuno si assume la responsabilità. Oltre ai racconti, il curriculum della P4C prevede dei manuali di accompagnamento rivolti all'insegnante, per aiutarlo a stimolare, gestire e orientare in senso produttivo il dialogo filosofico. In ogni manuale, sono presentate idee-guida per individuare i nuclei filosofici più rilevanti, piani di discussione per agevolare l'approfondimento delle tematiche ed esercizi di rinforzo delle abilità cognitive messe in atto dal ragionamento filosofico. L'uso di questi strumenti è a discrezione di ogni docente e si declina in funzione delle esigenze concrete di volta in volta rilevate nell'ambiente di apprendimento. Per scelta, le autrici di questo contributo hanno contemplato, nella pratica, delle variazioni rispetto a un'applicazione ortodossa del programma, per strumenti impiegati, tempi e frequenza delle sessioni di dialogo e modalità operative adottate nelle fasi di svolgimento delle discussioni vere e proprie. In queste deviazioni di percorso si può leggere in parte il bisogno di adattare il lavoro alle esigenze del contesto, a partire dalla relativa assenza delle pre-condizioni (socio-comunicative) necessarie alla realizzazione di una comunità di ricerca e alle perplessità che, a tratti, trapelavano dai commenti o dai suggerimenti dei colleghi.
La filosofia con i bambini
Filosofia e formazione sono due parole che alludono a campi di sapere vasti e a pratiche eterogenee, ma che presentano nel contempo numerosi punti di contatto, soprattutto sul piano teorico. Generalmente si pensa alla filosofia come ad un sapere “meta”, di natura speculativa, interdisciplinare, che interrogandosi sull'uomo, ha spesso affrontato questioni inerenti all’educazione dell'essere umano, mettendo a punto proposte fortemente ancorate a un sostrato concettuale inerente alla natura dell'uomo e della società. Raramente però si è pensato alla filosofia come ad una pratica, uno strumento per perseguire specifici obiettivi in campo formativo, ad eccezione della conoscenza della storia dei pensatori occidentali dall'antica Grecia ad oggi, che si affronta in alcuni ordini della scuola secondaria superiore a partire dall'età di sedici anni circa; ma, come dimostrato dalla P4C (Santi, 2006), questo non è l'unico possibile modo di guardare e pensare alla filosofia oggi. Negli ultimi cinquant’anni si sta facendo strada un approccio più concreto, che non vede nella filosofia un sapere altamente razionale a cui pochi possono volgere il proprio interesse, ma pratiche di vita che prescindono dal detenere conoscenze specifiche in questo ambito disciplinare, che può profondamente modificare la percezione che l'uomo ha di sé, degli altri, del mondo che lo circonda. Quindi non più e non solo una filosofia oggetto di contemplazione di riflessione al cospetto dei sistemi speculativi dei grandi pensatori (Martens, 2007), ma la filosofia agìta che si avvicina sempre più alla sua natura originale quale andò concretizzandosi nel V secolo a. C., come pratica di incontro, di inter-scambio nei discorsi tra cittadini liberi delle polis greche: in particolare ad Atene, dove Socrate ricorse ampiamente nelle sue lezioni al dialogo, quale fondamentale strumento funzionale all'educazione dei giovani della città. Hadot sottolinea come gli Ateniesi fossero profondamente orgogliosi del fermento intellettuale, dell’interesse per la scienza e della vivace cultura che fiorivano nella loro città. A riprova di questo, Hadot ricorda che nel discorso funebre scrittogli da Tucidide in onore dei caduti in battaglia, Pericle lodava il modo di vivere dei suoi concittadini, sottolineando come essi riuscissero ad apprezzare la bellezza con sobrietà e a coltivare il pensiero filosofico senza mai rinunciare alla fermezza morale (Hadot, 2010).
Se si rinuncia ad una visione ormai datata e statica del far filosofia, è possibile cogliere le numerose implicazioni positive a cui la filosofia allude, integrandola all'interno di curriculi formativi, come strumento di mediazione del processo di co-costruzione delle conoscenze (De Vecchi e Carmona-Magnaldi, 1999; Nigris, Teruggi e Zuccoli, 2020) e metodologia didattica trasversale ai diversi ambiti disciplinari.
Ma cosa significa concretamente fare filosofia con i bambini? È realmente possibile pensare di realizzare attività di stampo filosofico con soggetti che non hanno ancora sviluppato pienamente abilità cognitive e capacità di astrazione proprie del pensiero ipotetico-deduttivo che, stando alla teoria stadiale di Piaget (1952), dovrebbe comparire non prima degli undici anni di età? Se si prendono in considerazione le numerose esperienze didattiche che alcuni docenti hanno realizzato in questi ultimi decenni nelle loro classi (Waksman e Kohan, 2013), non si può che dare risposta affermativa all’ultimo degli interrogativi precedentemente posti.
Le teorie psicopedagogiche di riferimento, a cui volge la propria attenzione chi ritiene la filosofia una disciplina insegnabile a bambini (Zoller, 1996), rinunciano a una rigida interpretazione della psicologia piagetiana, abbracciando i contributi del pensiero costruttivista, nella sua formulazione americana (Bruner, 2003), e della psicologia culturale vygotskjiana. Mentre Vygotskij (2022) rimette in discussione il rapporto che sussiste tra i processi di sviluppo e di apprendimento, sottolineando il ruolo determinante che l'ambiente e l'interazione sociale hanno nel progresso cognitivo del bambino, il costruttivismo (Bruner, 1999) ci offre l'immagine di quest’ultimo come essere cognitivamente competente, il cui processo cognitivo non risulta scandito rigidamente da stadi di sviluppo qualitativamente eterogenei e progressivi. Infatti, la concezione evolutiva dello sviluppo elaborata da Piaget (1983) implica l'esistenza di una differenza qualitativa tra il pensiero adulto e quello infantile, il cui scarto può colmarsi solo con il trascorrere dell'età. Rinunciare a questa concezione significa pensare all'attività cognitiva infantile in modo inedito, considerando i fattori esterni allo sviluppo come possibili cause determinanti nell'acquisizione di strutture cognitive, nella consapevolezza che differenze di modalità di pensiero possono essere riscontrate non solo tra soggetti in via di sviluppo, ma anche tra adulti, molti dei quali carenti delle capacità inferenziali tipiche del pensiero ipotetico-deduttivo. Ci riferiamo di conseguenza ai risultati degli studi della ricerca psicologica contemporanea (Nelson, 1999; Kuhn, 2009), che hanno ipotizzato una sostanziale omogeneità qualitativa tra il pensiero infantile e quello adulto, giustificando le differenze esistenti come una diversità nelle quantità e nella tipologia di informazioni a disposizione, organizzate in memoria. Se si accetta una concezione reticolare dell'intelligenza si comprende come l'adulto, disponendo di una mole di informazioni superiore a quella del bambino, sia contraddistinto da processi cognitivi più complessi perché articolati, risultanti dai numerosi collegamenti sinaptici tra le informazioni detenute in memoria; queste ultime sono strutturate secondo complessi schemi (script) tra loro relazionati, unità conoscitive di base che hanno origine da esperienze episodiche concrete di vita, situate in specifici contesti spazio-temporali, ripetute nel tempo, e perciò progressivamente decontestualizzate e raccolte in medesime categorie. Il bambino perciò non è mancante di questa capacità di astrazione, ma la sua breve esperienza di vita fa sì che non abbia acquisito ancora sufficiente dimestichezza con questo tipo di procedura di pensiero. Fondamentale allora è la predisposizione di contesti stimolanti, in cui i bambini possano procedere nella costruzione delle proprie conoscenze giovandosi delle idee, degli stili cognitivi e delle capacità argomentative altrui. In un ambiente di interazione sociale, contraddistinto da continui scambi socio-comunicativi tra i partecipanti, il punto di vista degli altri e le loro reazioni cognitive diventano progressivamente oggetto di appropriazione da parte dei singoli, favorendo lo sviluppo di competenze intellettuali, secondo un processo che va dall'interindividuale all'intraindividuale (Vygotskij, 2022). Dall'altra parte le stesse capacità argomentative, su cui si fonda il pensiero critico e ragionevole, sono parzialmente già detenute dai bambini che ad esse ricorrono ampiamente in contesti di vita informale di natura profondamente sociale, durante le interazioni di gioco, che vedono i bambini coinvolti nel fornire numerose spiegazioni e giustificazioni al fine di promuovere un cambiamento nel proprio interlocutore (Harris, 2008). Pensiamo che tecnicamente fare filosofia con i bambini sia possibile, a partire dal momento in cui si sviluppa una teoria della mente intorno a stati mentali propri e altrui, sia di natura epistemica che di natura emotiva-affettiva, in concomitanza all’affinarsi del pensiero narrativo (Bruner, 2003, 2006). Quest'ultimo permette al bambino di comprendere, interpretare la realtà quotidiana, episodica, attraverso la narrazione idiografica, procedendo da una parte verso la costruzione del proprio sé, dall'altro mettendo appunto script (Nelson, 1996), sotto forma di storie sugli eventi del mondo reale, strutture di base nel processo di concettualizzazione caratterizzato dalla formazione di categorie in via di continua strutturazione in base alle esperienze concrete. In realtà, stando alla teoria elaborata da Jerome Bruner (2003), sulle due tipologie di pensiero compresenti in ciascuno di noi e tra loro complementari, verrebbe da pensare che il discorrere filosofico sia un'attività cognitiva che, richiedendo operazioni concettuali quali la capacità di astrazione, di generalizzazione, di inferenza deduttiva, si avvale principalmente del pensiero logico-scientifico, di natura sillogistica. Eppure quanti sostengono questo tipo di lavoro con i bambini sono attenti nel sottolineare come il filosofare non possa essere pensato riduttivamente come l’esplicitarsi di un pensiero logico formale decontestualizzato, costituito da operazioni di inferenza, fondate sulla correttezza nell'applicazione di connettivi logici, verso la definizione di verità universalmente valide (Santi, 2006). La concezione della filosofia oggi si è ampiamente trasformata, passando da un esercizio razionale e formale della ragione a verità assolute che trovano nella correttezza del ragionamento il loro fondamento ultimo, a un pensiero debole, tipico delle epistemologie della complessità (Morin, 2000). Per pensiero debole (Vattimo e Rovatti, 1983) si intende un pensiero che ha abbandonato la pretesa di conoscenza di verità ultime e indiscutibili da parte del cogito cartesiano (Descartes, 2014), per abbracciare sistemi epistemici probabilistici ed ermeneutici, che fanno valere la loro temporanea validità sulla attività interpretativa della mente umana, da parte di una molteplicità di soggetti che discorrono insieme progredendo nella co-costruzione di significati negoziati e condivisi. Quindi la filosofia può essere pensata come la capacità da parte di ciascuno di adottare un atteggiamento critico e autonomo dell’esperienza, di sé e del mondo, alla ricerca di orizzonti linguistici comuni, entro cui definire la verità relativa dei saperi progressivamente costruiti, contro l’adesione incondizionata a sistemi di conoscenza e di vita precostituiti, imposti dall’alto, da chi detiene il potere, sia esso politico, economico e socio-culturale. Si tratta di abituare i bambini a pensare con la propria testa (Morin, 2000), ma insieme, sviluppando capacità di ascolto e di accettazione critica nei confronti di punti di vista divergenti, nella comune volontà di scambio reciproco e di condivisione, alla ricerca di soluzioni mai univoche e definitive, e nella consapevolezza che il contributo di tutti può far avanzare il pensiero euristico più di quanto non possa avvenire nella testa e nel corpo di colui che pensa da solo.
Perché un laboratorio di scrittura?
Nella filosofia antica, la trasmissione del sapere avveniva prevalentemente attraverso la parola parlata. Come testimonia la struttura delle opere filosofiche, la filosofia era, in primo luogo, un fenomeno orale: "Più di tutte le altre, le opere filosofiche sono legate all'oralità, poiché la stessa filosofia antica è prima di tutto un fenomeno orale" (Hadot, 2012, p. 42). Questa forte connessione con l’oralità sottolinea come la parola viva fosse considerata il veicolo principale per esprimere e articolare il pensiero.
Non di meno anche attività di scrittura in forma laboratoriale possono avere un'importanza cruciale nello sviluppo del pensiero. Oralità e scrittura sono due separate modalità della lingua, con specifiche caratteristiche sintattiche testuali (Ong, 2014). I suoni costituiscono la base del discorso orale, mentre la scrittura si basa sui segni grafici. Quest'ultima è più esplicita e, a livello strutturale, più complessa della lingua parlata. Uno dei contributi principali della lingua scritta nei confronti del pensiero è quello di alleggerire la memoria dal bisogno di tenere "tutto in testa”. Chi scrive è in grado, infatti, di sviluppare linee di pensiero, modelli di ragionamento, che chi parla spesso ha difficoltà a seguire. Scrivere lascia ampio spazio alla possibilità di rivedere, ampliare, correggere e interpolare. Questo processo ha un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo e della speculazione astratta in particolare. È un procedimento complesso, impegnativo per il bambino, ma importantissimo per la sua crescita: egli difatti deve fare attenzione non solo a cosa dice, ma anche a come lo dice.
L'essere umano divenuto adulto può usare la scrittura per affrontare importanti tematiche come la libertà, i conflitti e la condizione umana, per esprimere esperienze personali e sociali. La scrittura diviene per i bambini un mezzo per esprimere ed esplorare le ragioni degli eventi, i risultati delle azioni, le relazioni tra le persone e le domande fondamentali del mondo. I giovani scrittori imparano prima a comporre e successivamente a trascrivere: a questa seconda fase sono legati i maggiori problemi, relativi alla chiarezza, alla consequenzialità e alla completezza della scrittura.
Scrivere per pensare è uno degli obiettivi più importanti che si prefigge il laboratorio di scrittura, per sostenere e nel contempo abituare i bambini a chiarire ciò che è confuso, per raccogliere i pensieri e per esplorare idee che altrimenti andrebbero perdute.
Spesso nelle sessioni di P4C si constata negli alunni una discrepanza accentuata tra la presenza di un ricco e composito mondo interiore e la difficoltà di valorizzarlo, nonché di comunicarlo ordinatamente ed efficacemente. La scrittura può costituire, in tal senso, una soluzione fondamentale a questa difficoltà osservata, offrendo un mezzo concreto per organizzare e comunicare i propri pensieri in modo più coerente e incisivo. Sollecitando inoltre la loro fantasia e sensibilità si scopre come, in molti di loro, alberghi un variegato universo di immagini, associazioni di pensiero, considerazioni, sensazioni, emozioni, filtrati attraverso il vissuto. Tuttavia, nel momento in cui si chiede ai bambini di attingere a questo universo interiore per cimentarsi nella consegna assegnata, non di rado ne scaturisce qualcosa di freddo, come se fosse intervenuto un blocco a impedire il naturale rifluire di tale ricchezza. Viene a mancare spesso un anello di congiunzione necessario tra i due elementi menzionati, interiorità e comunicazione, ovvero la variabile motivazionale, ciò che fa scaturire il desiderio di esprimere, in forme esplicite fruibili da altri, tale mondo interiore, attraverso i diversi canali comunicativi.
Come in qualunque altro tipo di laboratorio, anche in quello di scrittura si determinano dinamiche di apprendimento e relazionali differenti rispetto alle modalità di didattica imperniate su metodologie essenzialmente trasmissive: in un laboratorio si agisce secondo regole precise, negoziate tra i partecipanti, in vista di obiettivi specifici stabiliti e monitorati dall'insegnante, ma lasciando la strada aperta a soluzioni nuove, originali, frutto della creatività, del gusto, della sensibilità degli alunni, assecondando la buona dose di imprevedibilità che nasce nel corso del lavoro in itinere.
La diversità tra gli alunni per livelli di apprendimento, capacità espressive, elaborazione creativa, gusti personali, in una dimensione laboratoriale diventa risorsa che si può incanalare costruttivamente, nel senso della varietà, della complementarietà, del riconoscimento delle proprie e altrui capacità (Zecca, 2016).
La gamma di percorsi di scrittura che si possono proporre è ampia, dalla scrittura autobiografica a quella creativa. Compito dell'insegnante è scegliere in base ai bisogni educativi e agli obiettivi formativi ritenuti prioritari, che possono cambiare di volta in volta.
L’incontro tra filosofia e scrittura
Si illustreranno di seguito le ragioni che hanno portato a ipotizzare un percorso didattico di incontro tra il far filosofia e l'attività dello scrivere. Spesso durante le sessioni di P4C si nota da parte dei bambini una certa difficoltà a condividere i propri vissuti. In altri casi, chi vi riesce produce narrazioni della propria esperienza così ricche da assorbire totalmente le facoltà mentali ed escludere significativamente la dimensione dell'ascolto. Si assiste alla trasformazione della dimensione dialogica in un monologo: ciascuno è una voce a sé, si chiede la parola per esprimere il proprio vissuto, senza interessarsi a quello degli altri, o meglio aspettando con ansia il proprio turno di parola, senza più preoccuparsi dei temi delineati insieme. Rispetto alla prima dinamica sopra individuata, riteniamo che i laboratori di scrittura, abbinati alle sessioni di P4C, possano costituire una strategia efficace, poiché fanno agire gli alunni su un piano più marcatamente concreto ed esperienziale e rappresentano perciò una sorta di gradino intermedio, alla portata anche di chi dispone di un passo più corto: dal racconto di sé, che ha un rapporto di analogia più o meno con il tema introdotto, nel rispetto dell'individualità di ciascuno, si può salire più naturalmente ad un piano di astrazione e generalizzazione. Nei confronti della seconda dinamica, la scrittura di sé esige e consente, nello stesso tempo, tempi più lunghi di elaborazione rispetto a un intervento orale necessariamente ridotto. In tal modo, ciascun alunno può concentrarsi in prima battuta sul racconto, per poi orientare l'attenzione, nel momento della restituzione reciproca, a ciò che hanno scritto i compagni e ai passaggi successivi suggeriti dall'adulto facilitatore. Anche prima delle sessioni di P4C, può essere efficace svolgere laboratori di scrittura creativa autobiografica, per tener conto della pluralità degli alunni, rispetto all'episodio su cui la comunità di ricerca si confronterà poi durante la discussione. Questo consente ai bambini di articolare pensieri che li aiutino a supportare le loro spiegazioni e a non arrivare totalmente impreparati al momento di interazione con gli altri partecipanti. Attraverso la scrittura, infatti, essi adottano una visione più articolata e multi-prospettica rispetto alla complessità dell'esperienza e della condizione umana. La condivisione poi degli scritti da parte dei bambini stimolerà in loro una sensibilità verso i sentimenti positivi e negativi, le speranze e le delusioni, i bisogni e le necessità che ci accomunano come membri di una medesima umanità. Si ritiene fondamentale tale scelta, affinché la dialettica filosofica non sia solo puro esercizio di speculazione razionale, ma si dispieghi come orizzonte etico che scaturisce da un senso di solidarietà umana ed immedesimazione nella realtà esistenziale degli altri (Massarenti, Morelli e Varzi, 2017).
Il laboratorio di scrittura successivo ad una sessione di P4C può essere utile quando consente al facilitatore di riprendere tematiche interessanti emerse durante la discussione, che però la comunità di ricerca ha lasciato cadere, oppure temi la cui particolare complessità richiede un’ulteriore riflessione.
La scrittura creativa
Abbiamo visto come la P4C metta a disposizione materiali strutturati, racconti in forma dialogica che riguardano temi di diversa natura, indirizzati a bambini di differenti età. In genere, la lettura di un episodio è considerata sufficiente per dare avvio ad una discussione sui temi emersi dal brano proposto. Gli episodi possono essere trattati indipendentemente gli uni dagli altri e non è richiesta consequenzialità nella lettura. Riteniamo però che, per rendere più motivante questo percorso, le attività correlate alla lettura dei singoli episodi andrebbero integrate entro contesti di riferimento di più ampio respiro, in grado di fornire ulteriori spunti di riflessione e aggancio alla discussione. Per dare una risposta a questo bisogno, si può decidere di leggere ai bambini un racconto con nuclei tematici significativi e “problematici”. Nell’esperienza da noi condotta è stato scelto il testo D'un tratto nel folto del bosco di Amos Oz (2005). La favola, incentrata sul tema della diversità, invita il lettore a riflettere sulle conseguenze che l'ignoranza, il pregiudizio e quindi la paura nei confronti delle differenze intercorrenti tra esseri umani generano, suscitando comportamenti di discriminazione e di emarginazione, causa di sofferenza sia per coloro che li subiscono sia per chi li mette in atto. Protagonisti del racconto sono bambini residenti in un villaggio di montagna avvolto dalla desolazione e dalla solitudine, dopo che tutti gli animali domestici e selvatici hanno abbandonato la valle, trovando rifugio nei boschi adiacenti sotto la protezione di un demone, per sottrarsi alle crudeltà inflitte loro dagli uomini. Nel racconto lo scrittore pone particolare attenzione alle ingiustizie perpetrate dagli uomini sui propri simili, che si generano di generazione in generazione e che stanno all'origine di rapporti interpersonali conflittuali e individualistici, in cui non c'è spazio per l'accoglienza e l'accettazione dell'altro, dello straniero e del diverso, ostracizzato dalla comunità degli adulti. Ma la visione di Oz non è pervasa da un pessimismo irriducibile: in essa si aprono degli spiragli di speranza che preludono a una possibilità di cambiamento in vista di un'umanità rinnovata e che giacciono nella curiosità, nello stupore e nella voglia di conoscere delle giovani generazioni. Difatti sono proprio una bambina e un bambino, Maya e Mati, che sfidano i divieti imposti dagli adulti; animati da grande coraggio e curiosità, essi si avventurano nel bosco alla scoperta di verità sepolte, modificate dagli adulti per celare ai bambini il proprio ignominioso comportamento. E a questo punto la favola si arresta, consegnando nelle mani dei bambini l'avvenire del villaggio, della vita dei suoi abitanti presenti e futuri e di tutti gli altri esseri viventi temporaneamente assentatisi. Questo finale dalle possibilità aperte ha suscitato non poco sconcerto e malcontento tra gli allievi, abituati per lo più a generi testuali in cui l'intreccio degli episodi prevede sempre una chiusura netta che esclude ogni altra alternativa. I personaggi non sono costruiti sulla base di stereotipi fissi e codificati, ma svelano la loro identità gradualmente, lasciando trapelare connotati di sé opposti a quelli con cui erano entrati in scena inizialmente. Il fatto che i personaggi vengano progressivamente conosciuti come diversi da quel che in origine sembrano essere, è un elemento voluto dallo scrittore per creare un effetto di straniamento nel lettore. Inoltre, le tematiche di questo racconto sono sufficientemente vicine al mondo esperienziale di alunni di classe quinta, offrendo elementi cognitivi ed emotivi di interpretazione della realtà, che forniscono loro l'occasione di discutere su contenuti esistenziali di alto livello, per una riformulazione dell'immagine di umanità. Il fatto che questi contenuti etico-valoriali emergano in relazione agli episodi e personaggi narrati, aiuta i bambini a discorrerne più agilmente, senza esporsi in prima persona nel caso in cui non lo volessero, poiché il meccanismo proiettivo, che sta alla base del processo di identificazione del lettore con i personaggi, permette di prendere le distanze dal proprio vissuto, per portare la discussione su un piano di maggiore generalizzazione. A tal proposito, Marina Santi afferma che la scelta del racconto “...sfrutta il potere coinvolgente e motivante che le storie hanno per i bambini, ed in più la loro forte componente modellizzante e contestualizzante” (Santi, 2006, p. 129). Il concetto di contestualizzazione si richiama alla teoria degli script (Nelson, 1996), secondo la quale una delle modalità di organizzazione della conoscenza tipica dell'uomo consisterebbe nella messa in relazione di informazioni, che ricaviamo dal mondo, in schemi che deriviamo dalla realtà e di cui ci serviamo per risolvere situazioni di ambiguità conoscitiva, facilitando i processi di interpretazione e di significazione. Di conseguenza, il racconto, con i suoi protagonisti e l'intreccio degli eventi narrati, offre una cornice entro cui trattare determinati argomenti, fornendo al lettore delle coordinate di riferimento per orientarsi nel processo interpretativo, con il risultato finale di disporre nella propria mente di uno schema trasferibile a nuove situazioni di vita reale. Infine, un ulteriore motivo per cui si ritiene vantaggiosa la scelta di questo testo, è lo stile peculiare dell'autore nella scrittura della favola: in primo luogo, il racconto presenta una struttura snella, di trenta capitoli brevi, che si prestano facilmente ad essere impiegati nella fase di lettura propedeutica alla realizzazione di tutte le attività progettate; in secondo luogo, il carattere di sospensione con cui molti episodi narrati si chiudono è un allettante invito per l’insegnante ad intraprendere attività di scrittura creativa, che promuovono nel bambino lo sviluppo di una competenza linguistica non solo nella lingua orale, ma anche in quella scritta. La scrittura creativa (Balzaretti, 2001; Occhipinti, 2003) sollecita contemporaneamente il funzionamento dell'emisfero sinistro, sede del pensiero analitico, che sta alla base delle attività selettivo-combinatoria propria della lingua parlata e scritta, e il funzionamento dell'emisfero destro, sede del pensiero divergente e creativo, incrementando potenzialità espressive, creative, tra cui la flessibilità e la fluidità del pensiero, le quali sono uno dei requisiti che l'individuo deve padroneggiare per far fronte ad attività di problem solving della vita quotidiana (Dewey, 2019).
Sempre a riguardo delle attività di scrittura creativa legate al testo di Oz, si sottolinea come esse siano state svolte sulla falsariga di attività di anticipazione orale. In alcuni casi, si è concesso ai bambini maggiore libertà di inventiva, in altri è stato necessario imporre vincoli circa la scelta di alternative da rispettare nello sviluppo della storia. Generalmente, una volta resa nota ai bambini la consegna, lo svolgimento delle attività di scrittura è stata preceduta da un lavoro di brainstorming, che facilitasse la successiva composizione del testo, sostenendoli nel processo di ideazione: a fronte di bambini con una fervida fantasia, ve ne sono altri che a fatica riescono a inoltrarsi oltre i confini della realtà e ad immaginare mondi possibili, fantastici, ma pur sempre coerenti con le premesse del racconto. Infatti, la scrittura creativa, contemplata come la prosecuzione di un racconto, è un'attività didattica semi-strutturata, poiché per quanto il contenuto si fondi sulla capacità di immaginazione del bambino, essa chiama in causa anche abilità logiche necessarie a conferire un carattere a ciò che il bambino va scrivendo, in relazione al contenuto del racconto fin lì letto. Non tutti i bambini riescono contemporaneamente a padroneggiare questi processi di pensiero analitico e creativo, rischiando di cadere in contraddizioni di cui non sempre vi è piena coscienza. Per questo motivo occorre un adulto disponibile ad affiancare le richieste di aiuto, di chiarificazione poste durante il lavoro di composizione e di scrittura, fornendo ai bambini un supporto, attraverso domande capaci di orientare la loro attenzione e pensiero verso una maggiore consapevolezza delle criticità del testo, come la mancanza di coesione, o di coerenza. Gli interventi, coerentemente con una pedagogia dell'errore (Czerwinsky Domenis, 2005), devono essere il meno possibile intrusivi e correttivi, limitandosi a offrire al bambino un punto di vista diverso, quello stesso punto di vista divergente dal proprio di cui fa esperienza durante la discussione in una sessione di P4C, perché concretizzato nelle idee formulate dai compagni, ma che è del tutto assente nella pratica della scrittura, esistendo unicamente nella testa di colui che scrive e che sa rivestire, nel medesimo tempo, il ruolo di emittente del messaggio e di destinatario.
Conclusioni
Viviamo in un'epoca di notevoli cambiamenti, dove il mutamento si presenta come l'unica costante, riflesso chiaro del concetto di società liquida elaborato da Bauman (2002). In futuro, coloro che aspirano a vivere consapevolmente dovranno essere in grado di individuare percorsi personalizzati e innovativi, utilizzando contemporaneamente spirito critico e creatività. Alla domanda su quale fosse il senso dell’insegnare ai giovani a pensare in una società con ritmi sempre più frenetici, Lipman rispose con queste parole, che tanto attuali risuonano ancora oggi: “Io non so, e non credo, che la filosofia per i bambini sia un tentativo di insegnare a “fermarsi” per mettersi a pensare; essa può piuttosto insegnare a riflettere sul perché “andiamo di fretta” e se davvero ci vogliamo andare! Non trovo che ci sia incompatibilità tra il “riflettere” e “l’andare”; si può riflettere mentre si va e sul come si va” (Santi, 1991, p. 223).
La filosofia proposta dal curriculum della P4C non è la storia della filosofia, ma è l'atteggiamento filosofico carico di meraviglia e di problematizzazione sul mondo. Il bambino si meraviglia, si stupisce ed è questo a dargli il diritto e la capacità di filosofare. Come dicevano prima Platone e poi Aristotele, il primo gradino del filosofare è la meraviglia. Da quest'ultima nascono le domande e da queste, sostiene Lipman (2005), “il motore euristico della ricerca”. Chi fa filosofia con i bambini deve essere disposto a calarsi nell'universo delle domande, comprese quelle senza una facile risposta. Deve fare lo sforzo di guardare alle cose di ogni giorno come se le vedesse per la prima volta, proprio con gli occhi di un bambino, nella convinzione che quest’ultimo è un interlocutore che richiede da parte dell'adulto la massima serietà e rispetto. Questo sforzo implica l’abbandono della prospettiva abituale con cui ci rapportiamo alla realtà, per ritrovare uno sguardo originario e innocente. Come suggerisce Hadot (2008, p. 231), ciò significa “cogliere lo splendore del mondo che solitamente ci sfugge”.
Chi discute con i bambini e li educa, nel contempo educa se stesso a divenire un soggetto capace di pensare in maniera autonoma e personale, in grado di agire con coraggio e consapevolezza. Il laboratorio di scrittura creativa e le sessioni di discussione fanno toccare con mano come i bambini, se educati a pensare, siano in grado di riflettere sul mondo che li circonda, che può essere per loro carico di significato. Per tale motivo, è fondamentale permettere loro di “giocare” con il pensiero stesso, all’interno di esperienze laboratoriali adatte alla discussione, al confronto attivo nonché partecipato delle idee. Ma sono altrettanto importanti i momenti di solitudine e di silenzio che il processo di scrittura richiede. I bambini, in questi ambienti, imparano progressivamente ad interrogarsi, a formulare e sollevare questioni, a discutere, a scrivere, a sviluppare idee e posizioni autonome. Spesso dai loro discorsi nascono tesi e antitesi. E gli adulti imparano e crescono insieme a loro, sperimentando la complessità del navigare nelle acque del pensiero. Si percepisce a volte che l'isola dei filosofi è lontana, ma questo non blocca né impedisce di continuare il viaggio. Essere una comunità di ricerca, sentirsi membri dello stesso gruppo di lavoro, non fa perdere la fiducia dinanzi alle difficoltà, perché di fatto non si è mai soli. Adulti e bambini si tengono per mano, si impara tra pari anche dagli errori commessi, perché non li si percepisce come sconfitte, ma piuttosto come occasioni e spunti per imparare a riflettere (Czerwinsky Domenis, 2005). Con l’acquisizione di consapevolezza, ci si prepara persino ad affrontare le “tempeste del mare”. È un processo che richiede a tutti i soggetti coinvolti pazienza e fiducia, guidati dalla convinzione che il viaggio stesso, nonostante le sue insidie, sia prezioso quanto la meta, e che alla fine con determinazione si possa giungere all’isola della libertà di pensiero.
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Le autrici
Manuela Muraglia è docente di scuola primaria presso una scuola in provincia di Trento; si è laureata con lode nel 2007 in Scienze della formazione primaria all’Università degli studi Milano-Bicocca e ha precedentemente conseguito una laurea con lode in Filosofia all’Università di Pavia. Milena Masseretti è dottoranda in Scienze pedagogiche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Si è laureata con lode nel 2007 in Scienze della formazione primaria all'Università degli studi Milano-Bicocca, dove ha precedentemente conseguito una laurea in Sociologia. Nel 2008 ha conseguito il titolo di Teacher in Philosophy for Children all’Università degli studi di Padova. Dal 2013 è abilitata all'insegnamento della Filosofia e delle Scienze umane nella scuola secondaria di secondo grado.
Note
[1] L’articolo è da intendersi quale esito del lavoro congiunto delle due autrici. Tuttavia, a Manuela Muraglia vanno attribuiti i paragrafi 3, 4 e 5 e a Milena Masseretti i paragrafi 1, 2 e 6.