La pluridirezionalità educativa in un contesto interculturale. Il ruolo dell’educatore professionale nelle comunità per minori stranieri non accompagnati | Multidirectional education in an intercultural context. The role of the professional educator in unaccompanied foreign minor communities
DOI: 10.5281/zenodo.14603779 | PDF
Abstract: Numerose sono le sfide attuali e le opportunità poste dai flussi migratori che, in ambito educativo, occorre affrontare con maggior consapevolezza e grande apertura. Questo articolo propone una riflessione sulla pluridirezionalità educativa in ambito interculturale e, nello specifico, analizza le prassi educative di professionisti e professioniste dell’educazione impegnati nelle comunità con i minori stranieri non accompagnati (Msna) nel contesto calabrese. La sfida educativa consiste nel rendere le comunità per “Msna” luoghi in cui si insegna e si impara la vita tramite la vita stessa. L’educazione pluridirezionale valorizza la reciprocità nei processi educativi, in una dimensione inclusiva, dove ognuno può sentirsi accolto e trovare le opportunità per esprimere le proprie potenzialità.
Parole chiave: Msna, professionisti dell’educazione, pluridirezionalità, reciprocità, intercultura.
Abstract: Migration flows currently pose many challenges and opportunities which, in the educational sector, must be approached with greater awareness and openness. This article offers a reflection on multidirectional education in the intercultural field and, more specifically, analyses the educational practices of educators involved in communities with unaccompanied foreign minors (UFM) in the Calabrian context. The educational challenge is to create communities for unaccompanied foreign minors in places, where a life lesson is taught and acquired throughout life itself. Multidirectional education highlights the value attributed to reciprocal vision in educational processes, as well as inclusion perspective, where everyone can feel welcomed and find the opportunity to express their potential.
Keywords: UFM, education professionals, multidirectional, reciprocity, interculture.
Introduzione
La pratica pedagogica con soggetti provenienti da varie realtà culturali, in particolar modo i minori stranieri non accompagnati (Msna), pone al centro dell’attenzione le esigenze di relazione e di reciprocità. Tuttavia, si verifica talvolta che gli interventi educativi rivolti a questi minori si basino su una visione stereotipata dell’altro, carica di pregiudizi e, nel contempo, contribuiscano ad alimentare subordinazione, emarginazione e dipendenza. Davanti a tale complessità ci si chiede: quali sono le determinanti della relazione educativa? In che modo è possibile stabilire delle connessioni con persone di altri luoghi e con riferimenti culturali diversi? Sono gli interrogativi da cui sono partita per riflettere sulla pluridirezionalità educativa in un contesto interculturale. Mi sono soffermata nello specifico sul ruolo dell’educatrice e dell’educatore professionale nelle comunità per minori stranieri non accompagnati. Numerose riflessioni di autori e autrici hanno costituito una fonte di ispirazione nella trattazione di questo tema. In particolare, Paulo Freire (2014), principale esponente della pedagogia critica, sostiene che nei processi educativi, l’educatore educa e allo stesso tempo è educato nel dialogo con l’educando. Sono anche significativi i contributi di Mariateresa Muraca (2023) sull’educazione pluridirezionale, intesa come un cammino di apertura e di crescita reciproca di ogni soggetto della relazione.
Nel presente articolo, sviluppato in quattro parti interdipendenti, ho cercato di analizzare le prassi educative di professionisti dell’educazione, rispetto alle quali essi hanno un mandato etico volto a potenziare nei confronti dei Msna opportunità di una vita piena. Nella prima parte, ho ritenuto imprescindibile ripercorrere l’inquadramento legislativo italiano sui Msna. La mia esperienza sul campo mi ha condotto, da un lato, ad apprezzare la normativa giuridica e l’evoluzione del sistema di accoglienza e di protezione e, dall’altro, a evidenziare alcune criticità dei provvedimenti amministrativi in relazione alla pratica professionale.
Sulla base della normativa giuridica, intesa come un presupposto ineludibile per le figure educative, ho innestato la mia indagine, di cui nella seconda parte presento la metodologia. Partendo da un approccio qualitativo, che ho ritenuto pertinente per dare fondatezza alla dimensione della reciprocità e alle dinamiche interculturali nei processi educativi, ho analizzato le esperienze educative di professionisti e professioniste impegnati nel contesto calabrese. Con loro ho realizzato delle interviste semi-strutturate costruite sulla base di quattro nuclei tematici, con domande adattabili a ogni stimolo degli intervistati (Campenhoudt, Marquet e Quivy 2017).
Seguendo l’analisi ermeneutica, ho illustrato, nella terza sezione, alcuni tratti della relazione educativa, che riguardano la dimensione emotivo-affettiva, l’incontro con l’alterità, l’approccio multidisciplinare e l’orizzonte della trasformazione sociale. Le riflessioni critiche emerse dalle interviste sono state messe in dialogo con i contributi di autori e autrici, sia della pedagogia occidentale che del pensiero pedagogico maturato in altri luoghi del mondo.
Nell’ultima parte, quindi, ho sviluppato i modelli teorici dal carattere emancipativo che hanno inspirato la mia analisi della prassi educativa: la filosofia dell’Ubuntu, la pedagogia popolare, gli studi culturali e postcoloniali. Tali proposte e prospettive possono rivelarsi utili per affrontare le sfide educative poste dalla relazione educativa in un contesto interculturale e in particolare con i minori stranieri non accompagnati.
Msna e inquadramento normativo-giuridico italiano: tra definizioni e prassi
Le disposizioni relative ai Msna in Italia sono raccolte nel Testo Unico sull’immigrazione che, con il decreto legislativo del 25 luglio 1998 n. 286 e il decreto del Presidente della Repubblica del 31 Agosto 1999 n. 393, riconosce la condizione minorile e approva il diritto all’inespellibilità del Msna. Tali disposizioni sono specificate nella legge del 7 aprile 2017[1] – chiamata “legge Zampa” – che dispone delle misure di protezione del Msna e, come tale, rafforza il quadro normativo, per cui, accanto all’inespellibilità del minore, sancisce l’impossibilità di applicare provvedimenti amministrativi di respingimento alla frontiera.
Una conoscenza di base delle leggi di riferimento è indispensabile per lavorare con i Msna, soprattutto per le figure educative la cui vita professionale è caratterizzata da un continuo confronto con un sistema normativo segnato da fondamenti giuridici e linguaggi propri. Ciò spinge ad assumere nei confronti degli stessi minori una posizione di advocacy (Perlino, 2013) e di non neutralità, cioè a non accettare la trasgressione dei loro diritti (Freire, 2014a), ma piuttosto a tutelarli e facilitare la loro integrazione, impegnandosi a eliminare pregiudizi e ingiustizie che potrebbero ostacolarne l’inserimento sul territorio.
Sulla base di questi due divieti di inespellibilità e respingimento, si attiva il sistema di accoglienza del minore e, di conseguenza, si applica il procedimento per regolarizzarne la permanenza. In Italia, l’accoglienza dei Msna si organizza su due livelli, cioè nelle strutture governative di prima accoglienza e nelle strutture di seconda accoglienza. Le prime sono finalizzate all’accoglienza temporanea e al trasferimento del minore, mentre le seconde, comprese nel Sistema di Accoglienza e Integrazione (Sai), forniscono in modo graduale degli strumenti adeguati al fine di orientare, sostenere e accompagnare i Msna nella costruzione di percorsi di integrazione e autonomia.
La mia esperienza, in qualità di tirocinante e ricercatrice, dal 4 gennaio al 21 ottobre 2022, presso la casa “San Martino”, in provincia di Catanzaro, una struttura destinata all’accoglienza di Msna e richiedenti protezione internazionale, è stata ricca di scambi reciproci, nonché della scoperta di realtà diverse, che si scontrano e si incontrano[2] in una cornice di complessità. In effetti, i ragazzi, originari dell’Egitto, del Bangladesh, del Pakistan, della Somalia e dell’Eritrea, arrivati da poco in Italia, manifestavano comprensibili difficoltà quando provavano a interloquire tra di loro o con le figure educative. Trovavano più semplice riunirsi con i connazionali che con altre persone di lingue diverse. “Capivo questa difficoltà e mi ricordavo della mia esperienza quando ero arrivata in Italia sei anni fa, ecco perché ero fiduciosa che dopo poco tempo, anche loro si sarebbero espressi in italiano”[3]. Progressivamente, si sono coinvolti nelle dinamiche relazionali, con tutti i rischi di incomprensioni, utilizzando la comunicazione non verbale e la traduzione telefonica nei momenti in cui non era possibile la mediazione linguistico-culturale. Nonostante percorsi molto impegnativi, spesso accompagnati da sofferenze e traumi, i ragazzi erano mossi da forti desideri e aspettative rispetto allo studio, alla formazione professionale e all’inserimento lavorativo. Erano dinamiche che cambiavano la vita nella casa “San Martino” costituendo spazi di dialogo e ascolto, che, in un movimento circolare, consentivano a tutti i suoi membri (educatori e ragazzi) di realizzare la dimensione del donare e del ricevere (Castellazzi, 2012).
Pur considerando i passi innovativi introdotti dalla legge Zampa associati all’impegno delle figure educative, è importante evidenziare alcune criticità che caratterizzano la sua attuazione sul piano nazionale, poiché spesso contrasta con l’interesse dei minori. Ad esempio, dal report del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 31 gennaio 2023, si osserva una distribuzione squilibrata nel numero dei Msna concentrato in alcune regioni e province autonome: Sicilia (19,1%), Lombardia (14,6%), Emilia-Romagna (9,2%), Calabria (8,6%), Campania (6,1%), Molise (0,8%), Umbria (0,8%), Trento (0,4%), Bolzano (0,4%), Valle D’Aosta (0,1%). D’altro canto, taluni contesti istituzionali, segnati da lunghe attese, condizioni di precarietà, sovraffollamento e promiscuità, contraddicono il principio della tutela dei minori. Si rileva anche una mancata uniformità nel rilascio del permesso di soggiorno sul territorio nazionale. Tra l’altro, la legge Zampa definisce il diritto al permesso di soggiorno anche in assenza di passaporto o di altro documento, ma questo diritto, approvato dal Ministero dell’Interno, non sempre viene rispettato nelle diverse questure. Riflettere sui dati associati alla prassi istituzionale e educativa solleva interrogativi che necessitano di uno studio sistematico.
Metodologia dell’indagine
Per la mia indagine ho adottato un approccio qualitativo, incentrato sull’analisi ermeneutica di interviste, che ho analizzato, selezionato e approfondito (Trinchero, 2004). Un approccio basato sulla comprensione, infatti, mi è sembrato appropriato per esplorare la prassi educativa relazionale-comunicativa dei soggetti coinvolti nel lavoro con i Msna, riguardo alle questioni legislative, politiche e sociali.
La ricerca ha messo al centro la dialogicità (Muraca, 2023) sulla base della quale ho realizzato quattro interviste semi-strutturate, attorno a una traccia articolata in quattro nuclei tematici: la dimensione emotivo-affettiva, l’incontro con l’alterità, l’approccio multidisciplinare e l’orizzonte della trasformazione sociale. Sul piano teorico e metodologico, l’attenzione alla pluridirezionalità mi ha spinto a mettere in dialogo le pratiche degli educatori incontrati con i contributi di autori e autrici della pedagogia, appartenenti a vari luoghi e contesti, che hanno in gran parte assegnato un posto particolare alla relazione e alla reciprocità nei processi educativi, nonché all’approccio interculturale: Paulo Freire, Danilo Dolci, Gayatri Spivak, Mariateresa Muraca, Davide Zoletto, Duccio Demetrio, Desmond Tutu e Mungi Ngomane.
Per raccogliere gli elementi necessari, ho individuato quattro soggetti privilegiati: tre educatori professionali (Tonino, Claudio e Elena), titolari di una laurea in Scienze dell’educazione, e un mediatore linguistico culturale (Modou) in possesso di un diploma in Mediazione linguistico-culturale[4]. Tutti risiedono nella regione Calabria, a Catanzaro (Tonino), Lamezia (Modou) e Reggio Calabria (Elena e Claudio). Data la loro esperienza lavorativa, Elena, Claudio e Modou mi sono stati segnalati da figure professionali competenti incontrate nel corso di laurea che ho frequentato all’Istituto Universitario don Giorgio Pratesi, mentre Tonino è stato un punto di riferimento durante il mio tirocinio nella comunità “San Martino”.
Le interviste sono state realizzate tra gennaio e febbraio del 2023, in presenza con Tonino e da remoto in video-chiamata con Modou, Claudio e Elena, nella fascia oraria concordata con loro. La durata degli incontri ha oscillato tra i 50 min e 1 ora e 10. Gli intervistati hanno manifestato un grande interesse verso i temi affrontati, per cui le conversazioni sono state molto arricchenti e hanno permesso di condividere sentimenti di gioia e, a volte, anche di tristezza e preoccupazione. Ho avuto l’impressione di avere di fronte figure educative che, pur riconoscendo i propri limiti, si sono mostrate appassionate del loro lavoro e pronte a mettersi in discussione. L’analisi delle trascrizioni mi ha permesso di mettere in evidenza gli elementi chiave delle interviste, rilevando convergenze e divergenze tra di esse (Campenhoudt, Marquet e Quivy, 2017).
Le dimensioni del lavoro educativo nelle comunità per Msna
Nella prassi educativa si entra in contatto con la globalità della persona, legata a diversi aspetti affettivi, cognitivi, relazionali e sociali. Di seguito espongo e commento i quattro principali aspetti del lavoro educativo con i Msna, che ho identificato grazie all’analisi delle interviste: la dimensione emotivo-affettiva, l’incontro con l’alterità, l’approccio multidisciplinare e l’orizzonte della trasformazione sociale.
La dimensione emotiva e affettiva coinvolge le figure educative in una sorta di vicinanza e di contatto frequente con i Msna e, come afferma l’educatrice Elena:
Ti trovi davanti a realtà completamente diverse […] non solo a livello culturale, ma anche come storia di vita e del percorso per cui sono arrivati qui, con tanta sofferenza che non ti aspetti, che devi fronteggiare, un carico emotivo che non è facile soprattutto in alcune situazioni.
Anche Modou sperimenta i legami affettivi con i ragazzi e così esprime i suoi sentimenti:
Mi sento come zio, come fratello, come papà […], perché avendo vissuto in famiglia con zii, fratelli, tutti quanti, c’è chi ci guarda come fratello, come zio […] è un rispetto che ti riconoscono, sapendo che sei operatore, sei una figura importante per loro.
Emerge che la dimensione emotiva e affettiva consente all’educatore di condividere un orizzonte di senso con l’altro. Riguardo a ciò, le parole di Modou sono significative:
Capisco che il ragazzo ha difficoltà […]. I ragazzi attraversano paesi dove vedono persone morire; in Libia, hanno vissuto torture, delle cose terribili […]. E se arrivano qua, i pensieri rimangono, il dolore, tutto questo ritorna sempre.
Tuttavia è importante riconoscere che la relazione educativa si contraddistingue da altre relazioni umane e va vissuta in un sano rapporto educativo (Milani, 2020), senza sostituire le figure genitoriali o familiari, ma con la possibilità, in alcune situazioni, di compensare a qualche mancanza – come suggerisce ad esempio Tonino, il quale afferma che
essendo minori stranieri, lontano dalle famiglie, [occorre in quanto educatori] avere un atteggiamento paterno e materno per poter aiutare loro a sentirsi a casa […] creare un clima familiare per compensare una mancanza che hanno […] per abbassare un po’ la loro diffidenza […], l’importante è essere empatici (dall’intervista a Tonino).
Questo avvicinamento deve essere bilanciato anche da un’altra competenza specifica che sta nella capacità dell’educatore di conservare una giusta distanza (Perlino, 2013). Gli intervistati sottolineano la criticità di questo spazio: “è molto difficile mantenere questa distanza, perché comunque condivido con loro tutto, la colazione, il pranzo, il dopo pranzo, la notte […], questa relazione può essere una risorsa, a volte può essere invece una bastonata” (dall’intervista a Elena), o perché “torni a casa con i problemi del ragazzo che hai lasciato in comunità” (dall’intervista a Modou), e questo “non va tanto bene, perché rischi di fare del male a loro e rischi di fare del male a te stesso” (dall’intervista a Claudio), oppure perché “l’educatore si sente talmente tanto vicino che lo asseconda in tutto” (dall’intervista a Tonino) .
Alimentare una distanza-prossima, come dice Tonino, permette
di arrivare al cuore dell’altro, senza farsi invadere. Se riesci a creare un legame empatico con il ragazzo e assumi la parte dell’educatore distaccato, [allora coltivi atteggiamenti attivi e contenitivi], consapevole che con [lui] oltre quel limite non devi andare, perché perdi l’attenzione all’aspetto educativo.
Questo è il motivo per il quale Claudio spiega nell’intervista:
utilizzo il tragitto, dal lavoro a casa, per analizzare la mia giornata: cosa ho fatto? Potevo fare di più? Ho dato il meglio di me? Non sono riuscito a raggiungere l’obiettivo? Bene, domani ci riproviamo […]. Una volta arrivato a casa, io voglio dedicare quel tempo alla mia famiglia, perché non mi farebbe bene se io lavorassi h24 con il cervello […] cerco di staccare.
Questi sono processi autoriflessivi che aiutano le figure educative a prendere le distanze dal vissuto, cioè “analizzare le situazioni e trovare possibili soluzioni” (dall’intervista a Tonino), formulare alcune domande, ad esempio: “cosa posso fare, come lo posso fare, che si può fare, per quanto tempo si può fare?” (dall’intervista a Elena). In effetti, le relazioni sono attraversate da emozioni spiacevoli – amarezza, distacco, dolore, senso di fallimento o insuccesso, rimpianto, sconforto, scoraggiamento – legate a difficoltà, conflitti e eventi che l’educatore può controllare.
Da quanto appena espresso, si comprende bene come le dinamiche emotive e affettive siano realtà molto complesse, che possono facilitare od ostacolare la relazione tra i soggetti, oppure generare frustrazione e demotivazione (Perlino, 2013) per cui, nell’incontro con l’altro, è indispensabile vigilare sulle rappresentazioni fantasmatiche inconsce e sulla propria sfera emotiva (Oggionni, 2014).
Nell’ incontro con l’alterità, l’analisi delle interviste mi ha permesso di identificare alcuni verbi significativi per caratterizzare l’esperienza degli intervistati, come: accogliere, conoscere, apprendere. Accogliere necessita un’apertura che comprende accettare, accompagnare e sostenere i ragazzi nel percorso di vita. Accettare l’altro è prima di tutto riconoscerlo nella sua dignità e rispettare i suoi diritti, attraverso l’ascolto dei suoi bisogni. Ad esempio “il primo approccio con il ragazzo – da qualunque parte del mondo egli venga – [è di accoglierlo] con le mani, le braccia aperte […] capendo che ha delle difficoltà […] e arriva in un paese dove non capisce la lingua […], la cultura” (dall’intervista a Modou).
Il verbo “accompagnare” designa un “camminare a fianco… farsi compagni di viaggio” (Perlino 2013, p. 92). E se pensiamo ai Msna, “sono ragazzi che hanno subito una migrazione, cioè qualcosa che sconvolge gli equilibri della vita e hanno bisogno necessariamente di tempo per interagire e integrarsi con le nuove regole” (dall’intervista a Claudio). Accompagnare determina anche un modo di adattamento che consente al professionista di vigilare sulla propria attitudine rispetto ai fantasmi di onnipotenza (Milani, 2020) per non sostituirsi al minore ma, insieme a lui, condividere il suo percorso di integrazione. Il verbo sostenere indica la necessità di utilizzare tutti gli aiuti possibili, pedagogici, psicologici, didattici e lavorativi per l’integrazione dei ragazzi. In effetti, le parole di Tonino lo confermano: “io posso avere la mia idea, ma la devo condividere con il ragazzo per vedere se accetta quell’idea o se lui ha la sua idea di percorso che vuole fare, e insieme fare il cammino per poi lasciarlo camminare da solo”. Quindi, come dice Freire, non si tratta di
trasferire, depositare, offrire, donare l’intelligibilità delle cose, dei fatti, dei concetti, all’altro considerato come una sorta di paziente del suo pensare, [ma di sfidarlo] a produrre una sua comprensione di quanto gli viene comunicato (Freire 2014 a, p. 36).
Un altro punto di riferimento riguarda la conoscenza dell’altro: “chi è, da dove viene […] perché è qui […] come è cresciuto […] ha fatto la scuola” (dall’intervista a Modou), conoscere le “usanze, il linguaggio, la storia […] la cultura degli altri paesi” (dall’intervista a Tonino). Conoscere l’altro indica la capacità di organizzare le informazioni su di lui, non in modo approssimativo, ma nella sua esistenzialità (Milani, 2020). Alcuni interventi possono rappresentare
piccoli approcci che aiutano a entrare nel mondo del ragazzo, ad esempio come si saluta nella lingua oppure basta andare su Google […] e insieme al ragazzo scoprire il suo mondo; al ragazzo fa piacere, perché tu ti stai interessando […] non è che lui deve sempre ricevere, ma dare anche lui (dall’intervista a Modou).
L’incontro con l’altro si manifesta come un cammino di crescita interpersonale: “lavorare con i minori vuol dire crescere insieme” (dall’intervista a Modou). La professionalità educativa implica un continuo apprendere che non si basa solo sulla trasmissione dei contenuti, ma dà luogo a ristrutturazioni interne nel modo di pensare, di vedere, di rapportarsi, che a sua volta provocano dei cambiamenti. È una caratteristica distintiva del lavoro educativo, per cui i Msna non possono essere semplicemente considerati dei destinatari passivi di buoni propositi educativi (Muraca, 2023), ma come afferma Elena, persone da cui è necessario imparare:
io credo che, in questo lavoro, ho più appreso che dato, perché veramente i ragazzi di varie etnie, di varie culture […] mi hanno lasciato veramente tanto, mi hanno aperto un mondo che prima sembrava come se avessi un velo davanti e questo velo si è tolto. Ti fanno capire come il tuo modo di pensare non è necessariamente l’unico, ma ci sono tanti modi per poter fare una cosa anche in modo diverso […] c’è stato uno scambio reciproco importante.
Emerge dunque che i processi educativi nelle comunità per Msna sono influenzati da punti di vista e modi di vivere propri sia delle società di provenienza che della società d’accoglienza; per questo, è necessario un ascolto dialogico che trasforma e feconda l’incontro con l’altro (Castellazzi, 2012) e, di conseguenza “ognuno diviene per l’altro un seme di nuova vita” (ivi, 103).
L’approccio multidisciplinare è significativo nel lavoro con i msna. Per Oggionni (2014), i processi educativi non riguardano “il singolo operatore, ma l’intero gruppo di lavoro”. L’équipe, oltre a rappresentare il “contesto organizzato dell’operatività […] uno spazio metariflessivo [… facilita] un confronto critico sulla professionalità educativa” (p. 97) e tratta diversi aspetti espliciti e latenti relativi ai pregiudizi, all’immedesimazione e ai meccanismi di difesa (ibidem). A tale proposito Elena spiega:
quando non riuscivo a fargli capire [ai ragazzi] che lavoravo per il loro bene […] e si creavano situazioni un po’ spiacevoli, questo per me era un insuccesso […] in questo mi hanno aiutato tantissimo i miei colleghi […] le riunioni di équipe […], condividendo ognuno dava il suo per aiutarci a superare quel momento.
Secondo Tonino: “l’operatore, l’educatore, l’assistente sociale, se non hanno l’abilità di abbassare i muri e accettare il confronto, rischiano di non crescere professionalmente”.
Una delle tentazioni che può abitare nell’interiorità dell’educatore è di crearsi delle ali, di illudersi di spiccare il volo dell’autosufficienza rispetto alla quale ci si dovrebbe continuamente mettere in discussione. Gli interventi educativi sono frutto di un processo decisionale condiviso e realizzato all’interno dell’équipe (Perlino, 2013). In effetti, lavorare in équipe fa parte dell’etica professionale dell’educatore che si interfaccia con i pensieri emersi da altre figure professionali e istituzionali coinvolte nei processi di programmazione e di progettazione (Oggionni, 2014). Ad esempio, “l’aiuto degli enti locali, che hanno la possibilità di reperire le risorse può essere da stimolo agli assistenti sociali dei Comuni, suggerendo idee e collaborazioni per creare attività e risposte per il territorio” (dall’intervista a Tonino) e sostenere la costruzione di un’alleanza interdisciplinare in vista della trasformazione sociale.
Ogni agire educativo è portatore di un pensiero di sviluppo, un orizzonte volto a promuovere processi di cambiamento e trasformazione sociale. Nonostante le difficoltà osservate, dovute a pregiudizi, stereotipi e paura dell’altro, soprattutto nelle prime fasi di inserimento del Msna, gli intervistati evidenziano che il lavoro educativo produce delle trasformazioni nella realtà sociale. In questa direzione, si può affermare che “la riflessione e la prassi educativa intenzionale non possono non costituirsi attorno a delle ipotesi trasformative dei soggetti e dei contesti verso i quali si indirizza” (Tramma, 2018, p. 78). Rispetto a ciò, Elena racconta:
il territorio è cambiato. Molte persone che prima erano molto titubanti, anche loro, si sono messe in gioco e hanno voluto entrare nella struttura e vedere i ragazzi, conoscerli e questo ha permesso anche di aprire strade diverse al volontariato.
Tutto ciò implica un’educazione basata su percorsi di sensibilizzazione e informazione, orientata in una duplice direzione: far “capire ai ragazzi che sono in un paese che ha una cultura diversa dalla loro e lavorare per fare capire a elementi del nostro paese che i ragazzi che incontrano hanno una cultura diversa” (dall’intervista a Tonino). Se consideriamo l’educazione come “un modo di intervenire sul mondo” (Freire, 2014 a, p. 82), la presenza delle comunità per Msna genera delle trasformazioni all’interno dei contesti di vita, contribuendo ad affermare nuovi modi di comprendere e vivere nel mondo.
Il ruolo dell’educatore professionale e della relazione educativa per l’emancipazione
L’analisi dei dati raccolti, a partire dalle esperienze degli intervistati, mi ha consentito di apprezzare la loro capacità critica e riflessiva in rapporto ai temi esposti in questo articolo. Pertanto, l’osservazione di alcune problematicità mi ha spinto a orientare lo sguardo verso prospettive e proposte di autori e autrici, che potrebbero rafforzare le pratiche educative degli educatori e delle educatrici alla luce della consapevolezza della pluridirezionalità educativa.
Il primo apporto è costituito dalle filosofie e dalle pratiche culturali e educative africane che, dal mio punto di vista, rappresentano una risorsa in genere poco valorizzata. Tra queste, la più conosciuta è probabilmente l’Ubuntu, che Desmond Tutu raffigura come: “uno dei più grandi regali che l’Africa ha dato a questo pianeta” (Mungi Ngomane, 2019, p. 16; traduzione mia). Secondo Ngubane e Makua (2021), l’espressione Ubuntu, appartenente al gruppo nguni delle lingue indigene isiZulu, isiSwati e isiNdbele, identifica un modo di vivere. In particolare, Ubuntu deriva dalla parola Umuntu, che designa il concetto proprio dell’umanità e traduce un senso collettivo dell’esistenza espresso in Xhosa e in Zulu dal proverbio “Umuntu, ngumuntu, ngabantu” (Mungi Ngomane 2019, 25). Questo proverbio rivela che “l’essere di ogni persona è intimamente connesso all’essere degli altri e della comunità: io sono perché noi siamo” (Fleuri, 2021, p. 115).
Una figura emblematica del pensiero dell’Ubuntu è Mungi Ngomane, nipote di Desmond Tutu che, nel suo libro, Ubuntu. Je suis car tu es. Leçons de sagesse africaine, riprende le caratteristiche peculiari dell’Ubuntu e sostiene che la vita di ogni umuntu si realizza nella relazione e ogni azione umana può avere delle ripercussioni sia su sé stessi che sugli altri. Secondo l’autrice, Ubuntu stabilisce alleanze tra gli esseri umani chiamati a vivere insieme, riconosce le differenze tra loro e ne celebra i valori. Il suo contributo, nella prospettiva interculturale, come potenziale teso a promuovere le conoscenze e le pratiche di diversi popoli e nello specifico dei Msna, è un invito per noi educatori “a guardare fuori di noi per trovare delle risposte, acquisire una visione globale, scoprire altre versioni della storia” (Mungi Ngomane, 2019, p. 25; traduzione mia).
Alcuni valori fondanti dell’Ubuntu ripresi da altri popoli Bantu di Burundi, Rwanda, Kenya e Malawi, esprimono il senso della generosità e della comunità (ibidem). Studiosi e attivisti come Mbigi, Broodryk, Letseka identificano alcuni principi che guidano l’Ubuntu, ossia l’umanità, la sopravvivenza, la solidarietà, la compassione, il rispetto, la dignità, la cura, la condivisione, la coesistenza, la cooperazione, la connessione, l’inclusione, la simpatia e la pace (Ngubane e Makua, 2021). Questi possono diventare per ognuno e ognuna la forza trainante e motivante che, sulla base di una relazione interattiva e dialogica, complementare e reciproca, facilita la condivisione di idee e potenzialità personali (Muraca, 2022). Quindi, un’indicazione che possiamo ricavare da questa filosofia per il lavoro educativo con il Msna è la necessità per l’educatrice e l’educatore di sperimentarsi, aprirsi alla diversità e, a partire da essa, creare dei presupposti di scambio tra culture.
La seconda proposta scaturisce dalle riflessioni di Danilo Dolci, un autore che ha riflettuto in modo approfondito sulla dimensione della reciprocità nei processi educativi e comunicativi. Per Dolci (2012), la reciprocità educativa va intesa come “interazione biunivoca, biiettiva, imparare ad assumere le proprie responsabilità senza sostituirsi alle responsabilità altrui” (p. 17). Con tale definizione, egli afferma che la relazione è una “condizione, modo e qualità del rapporto tra creature” (ivi, p. 175) che, pur complessa e contradditoria, esprime un reciproco adattamento creativo (Dolci, 2011). Inoltre, l’autore amplia la visione maieutica di Socrate aggiungendo l’aggettivo “reciproca”, a partire dall’idea che ci si educa insieme, cioè ogni attore della relazione – ad esempio in questo caso, educatore e Msna – collabora con le proprie risorse personali ed entrambi diventano potenziali maieuti nel processo di crescita. In questa reciprocità, le figure educative hanno il compito di fare “lievitare e maturare” (ivi, p. 43) ciò che è sconosciuto, attraverso lo scambio reciproco, affinché “ognuno possa risultare levatrice a ognuno” (Dolci, 2012, p. 109), ossia fare emergere o tirare fuori dai Msna le loro potenzialità. Il contributo di Danilo Dolci sprona particolarmente le figure educative impegnate nelle comunità per Msna a posizionarsi rispetto a quei meccanismi predisposti soltanto a fornire informazioni, dottrine, verità e credenze e le invita ad attivarsi per trovare delle vie altre in cui ci si possa arricchire reciprocamente (ivi). Un aspetto di grande rilevanza in quest’approccio è l’uso delle domande, perché grazie a esse, ogni soggetto della relazione si pone interrogativi, condivide idee e pensieri al fine di contribuire alla maturazione degli altri. È una pratica che consente anche di costruire ponti tra realtà culturali diverse e creare delle connessioni con nuovi significati.
Dolci (2011) contrappone, inoltre, due modi di concepire l’educazione, fondati sul trasmettere e sul comunicare. Secondo l’autore, la trasmissione corrisponde al dominio e alla violenza; “dominare” è sinonimo di “sovrastare, reprimere, imporsi, prevalere” (ivi, p. 66). Mentre la comunicazione coincide con il “potere”, che si identifica con il verbo “potenziare”, ovvero “avere la facoltà, aver vigore ed efficacia, concreta possibilità di fare, forza, virtù, capacità di produrre o subire mutamenti” (ivi, p. 6). In effetti, si parla di comunicazione soltanto quando l’altro partecipa “come entità creativa” [e non come] “assorbente, esecutore, vittima” (ivi, p. 200); il potere appartiene a ogni attore del processo e segue una logica di reciprocità e di responsabilità di tutti (ivi). Per l’autore, il processo di trasmissione non è educativo ma passivizzante, invece nel processo di comunicazione, tutti i partecipanti, “emittente e ricevente sono entrambi partner attivi” (ivi, p. 203). Un ulteriore ispirazione che possiamo trarre in questo processo comunicativo per l’educatore e l’educatrice è l’invito a prendere coscienza delle asimmetrie di potere che avvengono nell’incontro con l’alterità, riconoscerle e riequilibrarle (Muraca, 2023). Ciò si può realizzare soltanto incoraggiando la partecipazione del migrante Msna come autore, protagonista e interlocutore.
Il terzo riferimento emerge dalle riflessioni di Gayatri Chakravorty Spivak, che ha contribuito all’elaborazione del pensiero postcoloniale, impegnandosi in pratiche educative come docente e formatrice. Il punto di partenza da cui muove Spivak per elaborare la sua proposta postcoloniale è la decostruzione della rappresentazione dell’altro, operata dal colonialismo e ancora presente in alcuni approcci multiculturali (Zoletto, 2012). Il concetto di “rappresentazione dell’altro” comprende due significati: parlare al posto dell’altro come fanno i rappresentanti politici e fissare l’immagine dell’altro come fanno gli artisti. Il pensiero coloniale di cui parla Spivak è basato “sul primato unilaterale della dimensione epistemologica, [ossia, sulla] costruzione dell’altro come oggetto di conoscenza” (ivi, p. 45). Esso alimenta il suo potere, producendo un sapere sull’altro che non gli permette di esprimersi in prima persona sulla propria esperienza e, di conseguenza, determina la sua subalternità. Le riflessioni di quest’autrice permettono di prendere coscienza e problematizzare il primato della dimensione epistemologica, al fine di ridurre gli “effetti di esclusione dell’alterità [… e] costruire [una pedagogia in chiave postcoloniale, in quello che chiama] la discontinuità tra l’etico e l’epistemologico” (ibidem).
Nel lavoro con i Msna, uno dei rischi che l’educatore corre è di identificare la rappresentazione che ha del ragazzo alla sua realtà autentica, riproducendo pertanto rapporti di potere di matrice coloniale. Per questo, senza pretendere di annullare la dimensione epistemologica, Spivak valorizza anche la componente etica della relazione educativa e, attraverso la formula “imparare a imparare dal basso” (ivi), rivolge l’attenzione alla reciprocità dell’apprendimento, per cui chi insegna si dispone anche a continuare a imparare, poiché “si impara insegnando e si insegna imparando” (Muraca, 2022, p. 105). Così, la relazione educativa viene vissuta nella sua autenticità, imprevedibilità e dinamismo, rendendo ogni sapere provvisorio e aperto al cambiamento. Per Spivak, lo scopo dell’educatore o dell’educatrice è di re-immaginare continuamente l’altro; pensando all’immagine dell’altro come migrante e Msna, si tratta di acquisire la consapevolezza dell’impossibilità di comprenderlo una volta per tutte e di disporsi a una riflessione auto-critica e a un ascolto costanti.
Conclusioni
La logica che mi ha orientato nell’elaborazione di questo articolo, incentrato sulla pluridirezionalità educativa in un contesto interculturale, mi ha condotto innanzitutto a delineare le cornici normativo-giuridiche che caratterizzano le comunità per Msna in Italia; quindi ho presentato la metodologia qualitativa della mia indagine basata su interviste semi-strutturate a professionisti dell’educazione, che mi hanno portato a rivisitare alcune dimensioni centrali della relazione educativa. Ciò che è emerso dalle esperienze dei soggetti intervistati è la complessità epistemologica e relazionale del lavoro con i Msna che rappresenta una delle principali sfide attuali nelle comunità multiculturali. Osservando le criticità emerse, ho ritenuto fondamentale proporre alcuni contributi culturali e pedagogici di carattere emancipatorio, che potrebbero orientare le politiche sociali e le pratiche educative rivolte ai Msna, a partire dall’apertura a un nuovo paradigma che guarda il Msna come “una persona con la sua dignità, le sue radici, la sua cultura, portatore di una ricchezza infinitamente più grande dei problemi che comporta…” (Papa Francesco, 2022).
Ho sostenuto che la consapevolezza della pluridirezionalità educativa è un presupposto fondamentale che consente all’educatore e all’educatrice di promuovere l’interazione con il Msna, affinché tutti, educatore e Msna, si sentano accolti e incoraggiati a generare correnti di comunicazione interculturale efficace. È nell’ascolto dialogico e nella dimensione della sinergia che si sperimenta la costruzione dell’essere un “noi” plurale, capace di un’autentica convivenza democratica (Demetrio, 2016), aperta all’incontro con l’altro e al rispetto delle differenze.
Riferimenti bibliografici
Campenhoudt L.V., Marquet J. e Quivy R., Manuel de recherche en sciences sociales, Dunod, Malakoff 2017.
Castellazzi V.L., Ascoltarsi, ascoltare. Le vie dell’incontro e del dialogo, Magi, Roma 2012.
Demetrio D. e Favaro G., Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Franco Angeli, Milano 2016.
Dolci D., Dal trasmettere al comunicare. Non esiste comunicazione senza reciproco adattamento creativo, Sonda, Milano 2011.
Dolci D., Palpitare di nessi, Mesogea, Messina 2012.
Fleuri R., Frontiere interculturali: dalle esclusioni alle connessioni, in M. Muraca, (a cura di), Conversazioni dal Sud. Pratiche politiche, educative e di cura, NeP, Roma 2021.
Freire P., Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, EGA, Torino 2014.
Milani L., Competenza pedagogica e progettualità educativa, Morcelliana Scholé, Brescia 2020.
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Report mensile minori stranieri non accompagnati, 31 gennaio 2023, url: https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/minori-stranieri/Documents/Report-MSNA-mese-gennaio-2023.pdf
Muraca M. (a cura di), L’altra intercultura. Visioni e pratiche politico-pedagogiche da Abya Yala al mondo, PensaMultimedia, Lecce 2022.
Muraca M., Una lotta che educa, un’educazione che lotta. Camminando con Paulo Freire nella prassi politico-pedagogico, in C. Ridolfi (a cura di), Paulo Freire: Educare alla partecipazione. Praticare la libertà. Materiali e riflessione dal convegno di studi, Cittadella, Assisi 2023.
Ngomane M., Ubuntu, je suis car tu es. Leçons de Sagesse africaine, Harper Collins, Paris 2022.
Ngubane N. e Makua M., Ubuntu pedagogy-transforming educational practices in South Africa through an African philosophy: from theory to practice, in “Journal Inkanyiso: Journal of Humanities and Social Sciences”, n. 13, n. 1, 2021, pp. 1- 12.
Oggionni F., Il Profilo dell’educatore. Formazione e ambiti di intervento, Carocci, Roma 2019.
Papa Francesco, Udienza generale, aprile 2022, url : http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2022/documents/20220406-udienza-generale.html
Perlino A., Competenza e deontologia degli educatori professionali. La ricerca di una soluzione sostenibile, Pensa Multimedia, Lecce 2013.
Tramma S., L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, Carocci, Roma 2018.
Trinchero R., I metodi della ricerca educativa, Laterza, Roma-Bari 2004.
Zoletto D., Pedagogia e studi culturali. La formazione tra critica postcoloniale e flussi culturali transnazionali, ETS, Pisa 2012.
L’autrice
Christine Sidonie Michèle Ngo Bayiha, religiosa delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, ha conseguito la laurea triennale all’Istituto universitario Don Giorgio Pratesi – affiliato alla Facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università pontificia salesiana. È laureanda magistrale in Pedagogia sociale e consulenza pedagogica all’Istituto universitario Progetto uomo – aggregato alla Facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università pontificia salesiana.
Note
[1] La legge n. 47 del 7 aprile 2017 contiene Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati e nell’articolo 2 definisce il Msna come un “minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano” (url: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sg).
[2] Durante l’esperienza, ho avuto varie occasioni di partecipare alla vita della comunità, tra i momenti di incontri e attività, sia con l’équipe multidisciplinare che con i ragazzi.
[3] Tratto dal mio diario del 04.01.2022.
[4] Per garantire l’anonimato e la privacy, tutti i nomi utilizzati sono pseudonimi concordati con gli intervistati. Tonino ha 26 anni di servizio durante i quali è stato impegnato con varie tipologie di utenza, lavora da diversi anni nell’ambito della migrazione con richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, nonché con i Msna. Modou ha un’anzianità di servizio di 12 anni come interprete e mediatore linguistico-culturale e da 10 anni lavora con i Msna. Claudio è impegnato in ambito educativo con i Msna dal 2017 e ha un’esperienza lavorativa nelle strutture governative di prima accoglienza. Elena svolge il ruolo di educatrice professionale dal 2013 e per due anni ha lavorato con i Msna.