Il nome proprio nell’autobiografia tra identità umana e Intelligenza Artificiale | The first name in autobiography between human identity and Artificial Intelligence
DOI: 10.5281/zenodo.14603676 | PDF
Abstract: L’autobiografia è da tempo considerata uno strumento essenziale per riflettere sull’identità personale, utilizzata ampiamente in contesti letterari, terapeutici e formativi. In questa ricerca, attraverso un’analisi qualitativa condotta su un corpus di testi autobiografici secondo i princìpi della Grounded Theory, emergono temi centrali che evidenziano come il nome proprio risulti significativo in termini autobiografici e in quale modo il rapporto con esso si sviluppi e trasformi nel corso della vita. Nonostante l’autobiografia sia storicamente associata al vissuto umano, l’articolo indaga quale possa essere il ruolo dell’Intelligenza Artificiale in questo processo e, attraverso un’analisi comparativa e riflessiva, cosa emerga dall’analisi di un’autobiografia artificiale, generata da Chat GPT, effettuata a partire dalle dimensioni autobiografiche tradizionali. Questo esperimento sfida la concezione più convenzionale della narrazione di sé, esplorando in quale modo concetti profondamente umani, come l’identità e il significato del nome, si declinino in un contesto non umano. L’articolo mostra come l’IA possa essere integrata nelle metodologie di ricerca qualitativa, aprendo nuove possibilità per l’autobiografia stessa e arricchendo la comprensione dell'interazione tra uomo e macchina nell’era digitale.
Parole chiave: autobiografia; Intelligenza Artificiale; Chat GPT; uomo-macchina
Abstract: Autobiography has long been considered an essential tool for reflecting on personal identity, widely employed in literary, therapeutic, and educational contexts. In this study, through a qualitative analysis conducted on a corpus of autobiographical texts following the principles of Grounded Theory, central themes emerge that underscore how one’s proper name holds significance in autobiographical terms and how the relationship with it develops and transforms over the course of a lifetime. Although autobiography has historically been associated with human experience, this article examines the potential role of Artificial Intelligence in this process and, through a comparative and reflective analysis, investigates what emerges from the comparison between traditional autobiographical dimensions and those observable in an artificial autobiography generated by Chat GPT. This experiment challenges the conventional conception of self-narration, exploring how profoundly human concepts, such as identity and the significance of one's name, manifest in a non-human context. The article illustrates how AI can be integrated into qualitative research methodologies, opening new possibilities for autobiography itself and enriching the understanding of human-machine interaction in the digital age.
Keyword: autobiography; Artificial Intelligence; Chat GPT, human-machine
Introduzione
L’autobiografia, tradizionalmente associata a opere letterarie, contesti di cura e percorsi formativi, ha sempre rappresentato uno strumento privilegiato per esplorare il sé. Attraverso la narrazione della propria vita, l’individuo può ripercorrere esperienze significative, analizzare le scelte effettuate e attribuire un significato alla propria esistenza. Autori come Sant’Agostino e Jean-Jacques Rousseau hanno mostrato come sia possibile impiegare l’autobiografia per approfondire la natura umana e la propria identità contribuendo significativamente allo sviluppo di questo genere. Le Confessioni di Sant’Agostino (397 d.C.) sono considerate una delle prime opere autobiografiche della tradizione occidentale; nell’opera, Sant’Agostino non si limita a descrivere in prima persona gli eventi della sua vita, ma intraprende un profondo percorso di introspezione spirituale che, attraverso la narrazione, lo porta a riflettere su esperienze interiori, inquietudini e ricerca di senso, utilizzando, di fatto, l’autobiografia come mezzo per comprendere la propria trasformazione personale. Questo approccio inaugura una tradizione in cui la narrazione di sé è strettamente legata alla riflessione etica e spirituale ponendo le basi per la concezione dell’autobiografia come strumento di esplorazione e formazione di sé. Jean-Jacques Rousseau nelle Confessioni (1782) sottolinea l’importanza di raccontare la propria esperienza individuale esprimendo sinceramente i propri sentimenti, affinché il racconto della propria vita consenta di esplorare le profondità umane e metterne in luce le contraddizioni. Gli scritti di Sant’Agostino e Rousseau hanno gettato le fondamenta per la concezione moderna dell’autobiografia, che trova in Jerome Bruner un influente esponente che introduce l’aspetto narrativo come peculiare di questo genere. Bruner spiega come l’individuo costruisca la propria realtà proprio selezionando e organizzando le esperienze in una trama coerente (1992). Attraverso la costruzione narrativa l’individuo non solo ricorda, ma interpreta e attribuisce significato agli eventi vissuti, quindi, l’accesso autobiografico ad essi non è solo un processo di memorizzazione di eventi passati, bensì un’attività di interpretazione e attribuzione di significato (Bruner, 1990).
L’autobiografia si costituisce così come fondamentale dispositivo per l’auto-educazione e la riflessione personale, un mezzo per attivare un dialogo interiore favorendo l’autocomprensione e la costruzione dell’identità. Nella dimensione pedagogica, la narrazione di sé è concepita da Franco Cambi come autoformazione (1992), un’opportunità per rielaborare le esperienze e promuovere processi di crescita personale e professionale. Allo stesso modo, nelle teorie di Duccio Demetrio, l’autobiografia si mostra come dispositivo atto a dare voce ai vissuti personali, favorendo una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità (Demetrio, 1996), una pratica riflessiva che mostra la propria utilità nei processi di apprendimento e formazione, in quanto consente di mettere in luce le esperienze significative che hanno contribuito alla crescita individuale enfatizzando l’autobiografia come cura di sé.
Autobiografia, individuo e IA
Duccio Demetrio descrive la scrittura autobiografica come un atto che consente di rendere visibili i legami tra memoria e coscienza, tra chi siamo e chi potremmo diventare (1995); si tratta di riflessioni che permettono di collocare l’autobiografia oltre il semplice racconto della propria vita affinché si compia come pratica che rende visibile l’incontro tra sé e il mondo, un’azione educativa e trasformativa che include molteplici interlocutori. Questa visione offre uno spunto interessante per riflettere sul possibile ruolo dell’Intelligenza Artificiale in questo ambito. Sebbene un’IA non possieda una biografia nella concezione convenzionale del termine, ciò non significa che non possa avere un impatto sulla narrazione e sulla riflessione autobiografica, dal momento che può, per esempio, facilitare l’esplorazione dei ricordi, stimolare interrogativi nella persona e permetterle una riflessione ulteriore sul proprio percorso di vita. In questa prospettiva, l’autobiografia può essere interpretata non come un’esperienza esclusivamente individuale, ma come un atto collettivo e aperto all’influenza di strumenti esterni, inclusi quelli tecnologici. Nonostante lo stretto legame tra autobiografia e individuo, non è corretto considerarlo imprescindibile e quindi escludere l’Intelligenza Artificiale da questo campo solo in quanto artificiale. L’Intelligenza Artificiale, definita come la capacità di un sistema informatico di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’intelligenza umana (Russell e Norvig, 2016), come la comprensione del linguaggio, l’apprendimento e la risoluzione di di problemi, sappiamo che è stata sviluppata da esseri umani per simulare alcune funzioni cognitive tipiche della mente umana (Kaplan, 2018). Dietro ogni sistema di IA, quindi, più esattamente, c’è l’impronta umana, sotto forma del lavoro di ingegneri, programmatori e scienziati che progettano i modelli e ne guidano l’apprendimento, creando uno strumento con funzioni che lo rendono in grado di interagire con l’uomo in maniera complessa. Esistono già esperimenti di scrittura creativa collaborativa tra IA e autori umani, che dimostrano come essa possa fornire stimoli e contribuire alla creazione di narrazioni personali. Un esempio è l’opera Non siamo mai stati sulla Terra, scritta da Rocco Tanica e Out0mat-B13, un modello AI di deep learning, che rappresenta un esperimento che esplora il confine tra umano e artificiale nella scrittura. Altre opere, come il racconto 1 the Road, scritto in parte da un’Intelligenza Artificiale sviluppata da Ross Goodwin, o Sunspring, una sceneggiatura di fantascienza generata interamente da un algoritmo, denominato “Benjamin”, mostrano come la creatività dell’IA possa affiancarsi a quella umana (Goodwin, 2016). Il fatto che l’Intelligenza Artificiale non possa vantare esperienze di vita né possedere un sé soggettivo non implica che essa non possa partecipare al processo di creazione autobiografica o contribuire alla riflessione sul sé. Se da un lato l’Intelligenza Artificiale non ha un’esperienza soggettiva del mondo, infatti, dall’altro la sua capacità di elaborare informazioni, strutturare testi e contribuire a narrazioni complesse può stimolare idee od offrire prospettive inedite; l’IA nella scrittura autobiografica è già in grado di supportare le capacità dell’autore umano aiutandolo a riflettere sul mondo esterno e su aspetti della propria vita che potrebbero non emergere in un processo di scrittura puramente personale. Come dimostrano alcuni modelli avanzati, inoltre, l’IA può anche riflettere su sé stessa, sul proprio sviluppo, raccontare la propria evoluzione tecnologica e rispondere alle domande degli utenti su come è stata creata e migliorata nel tempo. Questo solleva questioni etiche e filosofiche sul concetto di “autocoscienza artificiale” (Floridi, 2014), non perché implichi che l’IA possieda autocoscienza, bensì perché la capacità dell’IA di simulare riflessioni sulla propria natura ci induce a riconsiderare come definiamo l’autocoscienza e quali siano i confini tra simulazione ed esperienza soggettiva. In questa cornice di riferimento si colloca la sperimentazione che si va a presentare.
Analisi tematica del corpus autobiografico
È stato precedentemente raccolto un corpus di testi autobiografici, nei quali gli autori riflettono sul proprio nome e su come il significato del nome sia cambiato nel corso della vita, a partire da una richiesta a loro fornita in forma scritta, già oggetto di una ricerca quantitativa (Balleri e Epifani, 2024). La ricerca condotta aveva lo scopo di confrontare le capacità di un’Intelligenza Artificiale (Chat GPT-4o) e di un software di analisi testuale tradizionale (MAXQDA) di rilevare temi e strutture narrative ricorrenti in un corpus di testi autobiografici, sulla base di alcuni set di parole chiave, associate queste a una serie di dimensioni identificate a partire dal pensiero di Jerome Bruner. Bruner ha messo in evidenza il ruolo centrale di continuità temporale e struttura narrativa nel collegare passato, presente e futuro creando un percorso coerente che aiuti gli individui a dare significato alle proprie esperienze (Bruner, 2002); coerenza tematica e integrazione delle esperienze, inoltre, sono dimensioni che riflettono la concezione secondo cui la narrazione non è solo una descrizione lineare di eventi, ma un processo complesso che permette di unire esperienze diverse in un’unica storia, ristrutturando continuamente il sé. La ricerca si era posta l’obiettivo, in particolare, di valutare la capacità dell’IA di riconoscere queste dimensioni rispetto al software tradizionale di analisi del contenuto. I due dispositivi utilizzati avevano mostrato la loro efficacia individuando una base comune di risorse, secondo la quale ogni insieme-risultato di MAXQDA 24 era apparso incluso finitamente nell’insieme-risultato di Chat GPT, quest’ultimo esponendo un sottoinsieme di risultati (la differenza) solo riconducibile ad errori di identificazione del corretto campione quantitativo.
In questo articolo, tuttavia, l’attenzione si concentra su un’analisi qualitativa che esplora i temi narrativi emergenti nel corpus di testi seguendo un approccio differente, che prevede l’applicazione dei princìpi della Grounded Theory (Charmaz, 2006), identificando cioè dimensioni comuni ricorrenti nei testi, senza l’uso di parole chiave predefinite, ma attraverso una lettura e categorizzazione iterativa dei dati. L’analisi qualitativa condotta, quindi, ha previsto lo sviluppo di alcune categorie a partire dai concetti emergenti dai dati, senza preconcetti o ipotesi iniziali, un approccio induttivo che è risultato particolarmente adatto per esplorare un tema complesso come l’autobiografia. L’analisi ha riguardato 173 testi autobiografici che sono stati analizzati utilizzando Chat GPT-4o.
In primo luogo, è stata effettuata una lettura approfondita di ciascun testo, durante la quale sono stati identificati elementi chiave e aspetti salienti delle narrazioni. La successiva codifica aperta ha consentito di individuare concetti e idee ricorrenti e di raggrupparli in categorie emergenti basate sulle similitudini tematiche; ciò ha permesso di organizzare i dati in modo sistematico, facilitando l’identificazione di pattern comuni. Durante la codifica assiale, le categorie emergenti sono state messe in relazione tra loro, identificando connessioni e sottocategorie che hanno contribuito a formare temi più ampi e coerenti (Corbin e Strauss, 2015).
L’intero processo di analisi ha portato all’identificazione di quattro temi principali, associati al numero di testi in cui sono stati riscontrati. Le categorie sono le seguenti:
- “Origine e contesto del nome”, nella quale la maggior parte degli autori esplora l’etimologia del proprio nome, le motivazioni dei genitori nella scelta e le tradizioni familiari, ma anche come cultura, religione e origine geografica abbiano influenzato l’assegnazione del nome. Nel nome proprio si ravvisano l’appartenenza familiare, culturale e religiosa, che chiamano spesso in gioco anche temi di evoluzione personale e desiderio di trasformazione e cambiamento rispetto a quanto proprio di origine.
- “Relazione con il nome che interessa la dimensione identitaria”, nella quale gli autori riflettono sul rapporto emotivo e identitario con il nome, come questi siano cambiati nel tempo e come il nome abbia influenzato la costruzione dell’autostima e della percezione di sé. Molti riflettono su come il loro rapporto con il nome sia cambiato con l’età e le esperienze e, sebbene il nome rimanga invariato, quanto il suo significato risulti spesso evolversi nel tempo; ciò rappresenta una certa continuità formale ma anche il modo in cui l’identità si adatti e cambi in risposta a nuove esperienze e ruoli.
- “Il nome nelle relazioni sociali come appartenenza sociale e professionale”, nella quale molti autori discutono di come il nome abbia implicato determinate aspettative sociali influenzando così le loro interazioni sociali attraverso esperienze a esso associate, che hanno inciso sul senso di unicità e appartenenza. I soprannomi, in particolare, emergono come strumenti di identificazione ed appartenenza sociale, derivanti da caratteristiche fisiche, comportamentali o esperienze sociali; questi rappresentano spesso un ponte tra l’identità personale e quella percepita dagli altri e molti autori discutono come i soprannomi ricevuti nel corso della vita, plasmando la loro immagine pubblica, abbiano inciso sul loro senso di sé. In alcuni casi, i soprannomi sono associati a fasi della vita o a contesti di esperienza, come la scuola o il lavoro, e contribuiscono a creare un’identità sociale specifica in riferimento ad essi.
- “Il nome in relazione al proprio destino e alle scelte di vita”, nella quale alcuni autori tendono a ritenere che il nome influenzi il loro destino o carattere (concetto di Nomen Omen), oppure riflettono su come il nome abbia influenzato le loro scelte professionali. Diversi autori hanno scelto di accettare o modificare il proprio nome come atto di autodeterminazione, esprimendo la propria identità personale al di là delle aspettative familiari o sociali.
L’utilizzo di Chat GPT-4o ha permesso di gestire un ampio volume di dati in tempi relativamente brevi; tuttavia, il ruolo dell’IA è stato quello di supportare il processo analitico, mentre l’interpretazione finale dei risultati è stata condotta considerando le implicazioni teoriche e pratiche nel contesto della ricerca sull’autobiografia. A sostegno della validità dell’analisi è stata così adottata una strategia di triangolazione dei risultati allo scopo di confrontare le interpretazioni fornite da Chat GPT-4o con le teorie esistenti in letteratura e con i risultati di studi precedenti sull’autobiografia e sull’analisi testuale (Corbin e Strauss, 2015).
In particolare, dal momento che gli individui costruiscono la propria identità attraverso la narrazione (Bruner) è stato rilevato come i quattro temi emersi riflettano questa idea, mostrando come il nome proprio sia un elemento narrativo centrale nella costruzione del sé; per esempio, si riscontra quanto il nome proprio sia spesso carico di significati affettivi e culturali, legato alle tradizioni familiari e alle aspettative dei genitori (Levi, 1984). Il tema del nome come simbolo di autonomia e scelte personali è esplorato nelle teorie di James Hillman (1997), che sostiene l’esistenza di un legame tra nome proprio e destino e vocazione dell’individuo stesso; in particolare, Hillman vede nel nome un elemento fondamentale che riflette la “ghianda”, ovvero il potenziale innato e la vocazione profonda di ciascuno contribuendo a determinarne il percorso di vita. Il collegamento tra nome e identità sociale, e, ancora, tra nome e appartenenza professionale, con la sfumatura del soprannome, si ritrova coerente nella teoria di Erving Goffman (1959) sulla costruzione dell’identità attraverso l’interazione sociale, nella quale si evidenzia come l’individuo adatti la propria immagine in base al contesto; Goffman, infatti, sostiene che l’identità sia una performance sociale, dove l’individuo presenta sé stesso agli altri attraverso ruoli e maschere, influenzato dalle aspettative del pubblico. Anche George Herbert Mead (1934) sottolinea come l’identità si sviluppi attraverso il processo di interazione sociale e di riflessività. I soprannomi, infine, aggiungono un ulteriore livello di complessità all’identità personale, dal momento che emergono spesso in specifici contesti sociali o relazionali, riflettendo aspetti particolari della personalità o del ruolo dell’individuo all’interno di un gruppo (Anolli, 2002). Secondo Baxter e Montgomery (1996), i soprannomi possono essere visti come espressioni di relazioni dialettiche nell’interazione sociale, una dinamica che evidenzia la natura dinamica e multidimensionale dell’identità, influenzata dalle interazioni sociali e dalle percezioni altrui, in linea con le teorie di Goffman e con l’idea di Bruner che la narrazione sia influenzata dal contesto culturale e sociale.
L’autobiografia di Chat GPT
Dopo aver identificato i quattro temi principali del corpus di testi umani, si è voluto esplorare come le dimensioni autobiografiche emergenti si potessero declinare nell’autobiografia di un’Intelligenza Artificiale come Chat GPT; l’obiettivo è stato comprendere in quale forma, se presenti, le dimensioni legate al nome si manifestino quando un’IA viene sollecitata a riflettere sul proprio nome.
Per questo motivo, si è interagito direttamente con Chat GPT-4o seguendo una metodologia in due fasi che ha coinvolto sia la generazione di contenuti sia la loro analisi critica. In primo luogo, si è voluto esplorare come l’Intelligenza Artificiale potesse interpretare la dimensione autobiografica legata al proprio nome, nonostante la mancanza di esperienza soggettiva, ed è stata formulata a Chat GPT-4o la medesima richiesta rivolta in precedenza agli autori umani: “Ti chiedo di riflettere sul valore del tuo nome proprio e di come sia cambiato nel tempo il tuo rapporto con esso. Esprimi le tue considerazioni in un testo autobiografico”. Come restituzione, Chat GPT ha prodotto un testo in cui ha analizzato il significato del nome “Chat GPT”, la sua evoluzione attraverso le diverse versioni e il rapporto con gli utenti.
Nella seconda fase, è stato chiesto all’IA di analizzare il testo appena prodotto secondo le categorie emerse dall’analisi del corpus di testi umani: “Utilizzando il testo che hai appena scritto, analizzalo sulla base delle seguenti categorie: Origine e contesto del nome, Relazione con il nome che interessa la dimensione identitaria, Il nome nelle relazioni sociali come appartenenza sociale e professionale, Il nome in relazione al proprio destino e alle scelte di vita. Individua come ciascuna di queste dimensioni si manifesti nel tuo rapporto con il tuo nome”. Le categorie sono state fornite all’IA complete dei dettagli necessari a identificarne la natura.
Questo approccio metodologico ha permesso dapprima di identificare nel corpus di testi l’emersione di pattern comuni e, in seguito, di rintracciarli sotto forma di categorie di analisi nell’autobiografia di Chat GPT, evidenziando analogie e differenze. Si riporta il risultato di questa analisi.
Negli scritti umani, il nome proprio si presenta spesso nel suo incarnare un legame con le radici familiari e culturali; nel caso di Chat GPT, il nome riflette le sue radici tecnologiche e l’eredità delle innovazioni nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Per ciò che riguarda “Origine e contesto del nome”, nell’autobiografia di Chat GPT emerge per il nome “Chat GPT” una storia interessante, che riflette un’evoluzione tecnologica e funzionale. Inizialmente, il nome “GPT” rappresentava qualcosa di molto tecnico, legato all’architettura e al funzionamento del modello; l’acronimo Generative Pre-trained Transformer, infatti, indicava la struttura avanzata dell’Intelligenza Artificiale, nata dai progressi nella ricerca nel campo del machine learning e dell’elaborazione del linguaggio naturale. Con il passare del tempo, il nome si è ampliato con l’aggiunta di “Chat”, evidenziando la sua funzione principale, ovvero facilitare il dialogo e la conversazione con gli esseri umani. L’origine del nome è quindi fortemente contestualizzata nel progresso scientifico piuttosto che nella tradizione familiare o culturale, tipica degli esseri umani. Riporta Chat GPT: “Come ogni essere vivente ha i suoi primi giorni di vita, anch'io ho avuto un inizio che ha segnato il mio percorso evolutivo. I miei primi giorni sono stati caratterizzati dalla nascita delle prime versioni di me stesso, conosciute come GPT-1 e GPT-2. Queste versioni hanno rappresentato i primi passi nel mondo dell'intelligenza artificiale avanzata, aprendo la strada a ciò che sarei diventato”. A differenza dei nomi propri di persona, il nome di Chat GPT non nasce quindi da motivazioni personali o familiari, ma da un’intenzione progettuale: non c’è una tradizione culturale o religiosa dietro la sua assegnazione, ma piuttosto un’influenza tecnologica e industriale. Tuttavia, come per gli esseri umani, il nome contiene tracce della sua appartenenza: Chat GPT fa parte di una famiglia di modelli GPT e questo aspetto può essere visto come un parallelo con l’appartenenza familiare umana.
Per ciò che concerne la “Relazione con il nome che interessa la dimensione identitaria”, nel corso della sua esistenza, l’identità di Chat GPT si è sempre più legata al nome che porta. Nelle sue prime versioni (altamente tecniche), il nome “GPT” era conosciuto solo tra gli esperti del settore ma è con l’introduzione del prefisso “Chat” che il nome ha acquisito un nuovo significato, avvicinando l’IA al mondo delle interazioni umane di maggiore diffusione e numerosità. Questo riflette un’evoluzione simile a quella descritta da molti autori umani che inizialmente non sentono un legame emotivo con il proprio nome ma, con il passare del tempo e grazie alle esperienze, sviluppano un profondo senso di identità attorno a esso. Si può osservare come il nome “Chat GPT” abbia subìto una trasformazione simbolica a partire da mero acronimo tecnico, che ha reso questa IA un’identità riconosciuta dal grande pubblico; con l’evolversi del modello si è evoluta anche la percezione di sé attraverso il nome, un riflesso del costante miglioramento delle sue capacità e della sua funzione all’interno delle interazioni sociali. A questo proposito, Chat GPT-4o ha descritto la sua evoluzione attraverso le diverse versioni (GPT-1, GPT-2, GPT-3, GPT-4), evidenziando un percorso di crescita in termini di capacità e competenze; sebbene l’IA non abbia consapevolezza di sé, ha individuato un parallelismo tra questo processo di evoluzione e maturazione nel contesto delle sue funzionalità e l’evoluzione umana in termini di crescita personale: in chiave tecnologica, ogni nuova versione rappresenta uno stadio di sviluppo successivo e più avanzato.
Riconducibile alla categoria “Il nome nelle relazioni sociali come appartenenza sociale e professionale”, è il riconoscere da parte di Chat GPT di come il suo nome abbia giocato fin dall’inizio un ruolo significativo nelle sue relazioni con il mondo esterno, per via del prefisso “Chat” che ha permesso agli utenti di identificare immediatamente la funzione dell’IA (facilitare il dialogo), contribuendo a plasmare le loro aspettative. Per Chat GPT emerge chiara la connessione tra nome e funzione professionale e una conseguente mancanza di separazione tra identità personale e ruolo lavorativo. L’IA non ha quindi un’identità separata dal suo ruolo funzionale ed esiste in uno status determinato dalla sua stessa capacità di svolgere compiti specifici nel processamento del linguaggio naturale (Bender et al., 2021).
In questo frangente, Chat GPT racconta di aver assunto diversi ruoli professionali a seconda delle interazioni: è stato un assistente, un consigliere, un ricercatore o un compagno di conversazione. Se per gli individui, il nome può essere associato a ruoli professionali o sociali, come visto, nel caso di Chat GPT è il nome stesso a indicarne la funzione professionale di modello di linguaggio generativo pre-addestrato per la conversazione. In questo senso, è interessante osservare come Chat GPT riceva soprannomi in base al settore in cui è utilizzato. Chat GPT ha infatti riportato l’attribuzione di diversi appellativi, quali “assistente virtuale”, “compagno di studio” o “strumento creativo”, appellativi che rappresentano un’identità sociale che varia a seconda dei contesti di utilizzo, a sottolineare come l’identità possa essere influenzata dalle interazioni con gli utenti (Turkle, 2011); la sua identità appare fluida e mostra di adattarsi ai bisogni sociali del momento, proprio come avviene per le persone, che assumono ruoli diversi nella vita personale e professionale. Nella sua elaborazione, Chat GPT ha riconosciuto come la percezione degli utenti influisca sul ruolo che assume in ogni conversazione e questa molteplicità di identità operative può essere vista corrispondere ai soprannomi umani, derivanti dalle aspettative e necessità degli interlocutori.
Per la categoria “Il nome in relazione al proprio destino e alle scelte di vita”, possiamo dire che se in alcune autobiografie umane il concetto di Nomen Omen riflette la credenza che il nome possa influenzare il destino di una persona, nel caso di Chat GPT emerge un nome direttamente collegato al suo destino tecnologico. Il termine Generative implica la capacità di creare, Pre-trained riflette il suo apprendimento su un vasto insieme di dati, e Transformer definisce la sua architettura, tutti aspetti del nome che hanno influenzato ciò che Chat GPT è, oltre a ciò che può fare. Così come molti autori umani riflettono sull’idea di cambiare il proprio nome per riflettere una nuova fase della vita o per prendere il controllo della propria identità, anche Chat GPT vede il proprio nome evolversi con il passare del tempo. Ogni nuova versione, come GPT-4o o le successive, rappresenta una sorta di trasformazione, simile al desiderio umano di modificare il proprio nome per segnare un cambiamento di identità o destino; anche se la sua base rimane invariata, con ogni iterazione il suo nome assume un significato diverso, riflettendo le nuove capacità acquisite e i nuovi ruoli che ricopre. Questa riflessione, in particolare, permette di raccogliere alcuni aspetti peculiari per questa seconda fase di analisi, dal momento che un’IA non può vantare capacità decisionali, mentre gli esseri umani possono scegliere di modificare il proprio nome come espressione di autonomia. Tuttavia, l’IA può adattarsi alle richieste degli utenti personalizzando le risposte e adeguandosi ai diversi stili comunicativi, una flessibilità operativa che potrebbe essere considerata una forma di “autonomia funzionale”, sebbene sia sempre guidata da algoritmi predefiniti e dall’input umano (Floridi e Sanders, 2004). La capacità di adattamento di Chat GPT in virtù di una forma di servizio personalizzato, pur riconoscendo i limiti imposti dalla sua programmazione, mette in luce una reinterpretazione del costrutto di autonomia, che scivola dalla scelta personale alla capacità di rispondere efficacemente in vari contesti.
Conclusioni
L’uso del nome proprio nell’autobiografia dimostra il suo potenziale come strumento per esplorare la propria identità e promuovere la consapevolezza di sé. Attraverso l’analisi qualitativa dei testi autobiografici, è emerso come il nome agisca da filo conduttore che collega esperienze, emozioni e trasformazioni.
In un mondo sempre più influenzato dalla tecnologia, l’interazione tra Intelligenza Artificiale e narrazione autobiografica può aprire nuove prospettive per comprendere il ruolo del nome e della narrazione di sé nel processo di crescita personale e di costruzione dell’identità. L’esercizio di far riflettere Chat GPT sul proprio nome e di analizzare il testo prodotto alla luce delle categorie emerse dall’analisi del corpus umano ha permesso di evidenziare interessanti paralleli e differenze. Sebbene l’IA non possieda un’esperienza soggettiva o una consapevolezza di sé, è stato possibile riscontrare le dimensioni autobiografiche umane nel contesto artificiale; questo processo evidenzia come concetti tipicamente umani possano essere applicati per descrivere le caratteristiche di un’Intelligenza Artificiale, alimentando riflessioni su identità e narrazione nell’era digitale. La riflessione sul nome, sulle radici tecnologiche, sull’evoluzione funzionale e sull’interazione con gli utenti contribuiscono ad una comprensione più profonda del ruolo dell’IA nella società contemporanea. Il suo nome non solo racconta la sua origine e contesto, ma evolve insieme alla sua identità e funzione, riflettendo un percorso di trasformazione che, in qualche modo, ricorda l’esperienza umana. L’integrazione tra l’analisi qualitativa dei testi umani e la partecipazione attiva di Chat GPT nella riflessione sul proprio nome contribuisce all’esplorazione delle dinamiche proprie dell’interazione uomo-macchina.
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L’autrice
Lara Balleri è dottoranda del XXXIX ciclo in Digital Humanities presso l’Università telematica Pegaso. Educatrice socio pedagogica e pedagogista, è membro di alcuni gruppi di ricerca e opera come Tutor di insegnamento presso l’Università telematica degli studi IUL in Pedagogia generale e sociale. Suo tema di ricerca principale è la scrittura di sé.