Editoriale
Come si vedrà meglio nell’introduzione che segue, nel Primopiano di questo numero proponiamo una riflessione sul tema delle nuove forme museali. Il museo è, oggi, una realtà più dinamica e interattiva che nel passato; in particolare, attraverso il concetto di ecomuseo si intende indicare uno spazio, fisico e anche virtuale, che non si “poggia” su un territorio come un corpo estraneo ad esso, ma che interagisce con la realtà naturale e culturale in cui è collocato.
Nella realtà museale permane certamente una primaria funzione “trasmettitrice”: di un bagaglio, naturale, architettonico, della cultura materiale, di un luogo e di una civiltà, ma essa si accresce e diviene fertile solamente quando si protende verso l’obiettivo di far interagire tale bagaglio con le domande profonde, gli interessi, le inquietudini dell’umanità del presente.
Il discorso sulla realtà museale appare, allora, richiamare metaforicamente il modo in cui guardiamo gli eventi della stretta attualità e l’atteggiamento e l’azione che assumiamo nei confronti di essi. I conflitti perduranti cui assistiamo e di cui si manifestano attualmente escalation mai così crude; un atteggiamento di chiusura e rifiuto nei confronti dei migranti, sono alcuni aspetti dell’oggi che indicano, forse, quanto gli eventi si consegnino a noi (o ci vengano consegnati?) con i loro corollari di visioni preconcette e attraverso le impostazioni culturali che li hanno accompagnati costantemente nel recente passato, puntualmente rinnovate da una prospettiva politica e informativa che tende a reiterarle all’infinito. Immobili e immutabili come le punte delle lance dentro la teca e l’animale impagliato dei musei della preistoria e naturalistici tradizionali.
Nell’intento di costruire una prospettiva culturale autonoma, che consenta uno sguardo inedito sulla realtà, sia nella sezione Esperienze e studi, sia nella sezione Voci, Echi & Dialoghi, in una sorta di armonia inconsapevole, che però spesso misteriosamente affiora in una rivista che, per sua natura, contiene interventi variegati, i contributi tendono a indicare una stessa necessità: quella di continuare a interrogare non solo autrici della scienza o della filosofia, ma anche figure letterarie, figure e narrazioni cinematografiche (con qualche incursione nella musica), nella consapevolezza che esse sono, pur dopo la loro scomparsa o conclusione, identità in divenire che si collegano con le nostre, in divenire anch’esse. Non soltanto perché l’arte e la letteratura, nelle loro forme, hanno un loro modo “diretto” di educarci, ma ancor più perché ci consentono di riflettere sulla nostra identità e di far luce sul suo complesso e incessante lavorio.
Appare bene, quindi, che il culto della memoria si confronti con l’elaborazione del suo significato più attuale e che la differenza individuale e culturale di ciascun soggetto non impedisca la tensione a recepire in ognuno i tratti di una comune appartenenza.
Si evince, pertanto, la necessità di un’azione pedagogica, culturale, politica – e intorno a questo si muovono le riflessioni contenute in tutte le parti del fascicolo – che interroghi gli eventi attraverso una prospettiva culturale critica, come la pedagogia che ispira il nostro lavoro nel suo complesso, che ambisca non solo a conoscere e ad assumere ciò che osserviamo e ci viene proposto, ma anche a produrne (o, ancor meglio, a co-produrne) una visione autonoma. È, anche, questo intento, legato alla resistenza verso quel potere che tende ad anestetizzare e a disconoscere lo slancio umanitario o a indirizzarlo solo verso categorie ben distinte e determinate di persone. Questo potere anestetizzante ci impedisce di soffrire per e con le bambine – in Ucraina dal 2022, nei villaggi intorno a Sderot il 7 ottobre e ovunque, come ancora oggi a Gaza – che, quando non muoiono sotto le bombe, vivono in perenne spostamento, senza casa, senza scuola, senza ospedali; o con i giovani impegnati in un conflitto estenuante e senza prospettive d’uscita sul fronte dell’Europa orientale; con donne e uomini che si spostano in condizioni di estrema precarietà e pericolo, verso approdi incerti, in cui da molti sono vissuti, essi stessi, come un pericolo, un peso, un elemento d’invasione.
Per tornare alla metafora iniziale, proponiamo, quindi, un nuovo museo, che contamini scienza, arte e storia, l’osservazione con l’azione, generazioni adulte con generazioni giovani, il culto del passato con la tensione etica verso il presente.