Una scuola come museo, patrimonio di tutti | A school as a museum, a heritage for everyone

DOI: 10.5281/zenodo.10644460 | PDF

Educazione Aperta 15/2024

Can a school become a civic-social context that enriches the community to which it belongs? Could a city, through its natural and cultural landscapes, become a context of identification that innervates the culture, symbols and values of a community in students, girls and boys? Can a school engaged in research, which therefore chooses to exist and live here, now, and “in other places” too, foster a broad and genuinely conscious citizenship, which is committed to caring for its environment and territory? A project with these aims has been developing in a Istituto comprensivo in Reggio Emilia, starting from a “provisional” citizenship experience in the Civic Museums of Reggio Emilia. Since Territorial Community Agreements (School Pacts, 2020-2021), which have evolved into broader synergies between school and their territory, the horizon, already enriched by the idea of “distributed proximity” of the Small Schools of INDIRE (Shafft, 2016; De Bartolomeis, 2018), is nourished by the suggestions of entities such as ecomuseums, paths of cultural growth of local communities, based on citizens, organizations and associations active participation (Dal Santo et al., 2017). A transversal and intergenerational school enhancement committee which, starting from the students’ gaze, promotes actions concerning the discovery of the school’s cultural heritage, in a historical-social sense, collaborating with partners from the cultural and social fabric of the territory, has led to the creation of networks aimed at interconnect common identities and at active participation.

Keywords: community, interconnection, natural and cultural landscape, care, identification.

Introduzione

Al termine della pandemia ci si è interrogati su come la scuola avrebbe rielaborato il lutto. “Guardando avanti e lontano”, potremmo dire parafrasando Dewey. Ma è lecito domandarsi se possa esserci “un’autentica educazione in un mondo ove è stata rubata la speranza, e la prospettiva di futuro suscita un senso di malessere, ove i valori paiono disancorati dalla vita sociale” (Baldacci, 2023). Forse la prospettiva può essere quella di proposte pedagogiche legate concretamente ai luoghi, dove i paesaggi naturali e culturali, i luoghi fisici in cui si fa educazione e i territori in cui sono radicati diventano strade da seguire e si fanno espressione di quel panorama sociale di cui tanto abbiamo sentito la mancanza e che abbiamo bisogno di ricostruire. All’interno di questa cornice introduttiva, si situano altri interrogativi: può quindi una scuola divenire un contesto civico-sociale che arricchisce la comunità di appartenenza di momenti di educazione autentica? La città in cui la scuola è situata, attraverso i suoi paesaggi naturali e culturali, può divenire contesto di identificazione che innerva, in bambine e bambini, ragazze e ragazzi, cultura, simboli e valori di una comunità in cerca di un presente costruttivo e partecipato? Può una scuola in ricerca, che decide quindi di riscoprire il passato e vivere qui, ora, e anche “altrove”, permettere alle ragazze e ai ragazzi di sperimentare una cittadinanza diffusa e realmente consapevole, che desidera prendersi cura del proprio territorio?  Forse un approccio al curricolo legato ai luoghi potrebbe ricostruire il nesso tra educazione e vita, riportando nella scuola i bisogni esistenziali, senza rinunciare al suo mandato di conoscenza, ma confermando che la sua missione cognitiva necessita di rispondere ad istanze culturali che sanno mettersi in relazione alle componenti socio-emotive delle nostre comunità. Ma non era forse già scontato?

Nel 1972, il Rapporto Faure dell’UNESCO aveva scardinato l’idea che la scuola fosse una struttura rigidamente delegata alla trasmissione del sapere in modo indipendente dal resto della società e da altri soggetti, associazioni, enti locali, dagli stessi territori. Dalla legge sull’autonomia (D.P.R. 275/1999) alla Buona scuola (L. 107/2015), si sono potuti concretizzare rapporti con i contesti locali e reti scolastiche e inter-istituzionali che hanno consentito di introdurre procedure di collaborazione su scopi condivisi.

Tuttavia, ciò che la pandemia ha reso più evidente, oltre all’isolamento, è stata la presenza-assenza dell’intera comunità. Si è cominciata, infatti, ad identificare con più chiarezza quella comunità educante che metteva in relazione vari attori territoriali, associazioni, Terzo settore, enti locali, talvolta le famiglie stesse, con la finalità comune di operare su progetti e contribuire a garantire il benessere e lo sviluppo formativo degli studenti. Dai Patti di comunità territoriali (Piano scuola 2020-2021) diversificatisi in più ampie sinergie tra scuola e territorio, la scuola ha appreso che la comunità era pronta a stringere alleanze, fornire luoghi, come opportunità per consentire l’istruzione e la formazione scolastica. Un’indagine Labsus – l’associazione che monitora lo stato di attuazione condivisa dei beni comuni – ha realizzato, con INDIRE, un censimento sui patti esistenti, individuandone due tipologie: i “patti di collaborazione”, per la partecipazione della comunità educante, e i “patti educativi di comunità”, diffusi in modo particolare in aree interne, già da tempo protagoniste di alleanze consolidate con il territorio.

In alcuni contesti tuttavia, la scuola in primis ha saputo fare da volano per la comunità stessa come testimoniano le esperienze in cui anche istituti scolastici situati in contesti isolati o di periferia hanno “responsabilizzato” il territorio. L’orizzonte si è infatti arricchito dell’idea di “prossimità diffusa” delle Piccole scuole di INDIRE (Chipa et al., 2020), che proprio nell’idea di sistema formativo allargato (De Bartolomeis, 2018), situa la sua progettualità e le connessioni con la comunità educante.

Il contesto

Una progettualità con queste caratteristiche e finalità si sta declinando in un istituto comprensivo di Reggio Emilia, a partire da un’esperienza di cittadinanza “provvisoria” nei Musei civici di Reggio Emilia. L’istituto A. Manzoni ha vissuto per un anno dentro le sale dei Musei civici cittadini, ruotando con tutte le classi per una settimana ciascuna (Landini et al., 2021; Campanini et al., 2022; Landini, 2022) e andando a declinare poi l’esperienza, nei due anni successivi, in una riflessione legata al curricolo e al ruolo della scuola nel territorio e in relazione al territorio.

L’esperienza ha portato infatti nella successiva annualità a far sì che due classi della scuola primaria Ada Negri vivessero per tutto l’anno scolastico in due spazi dei Musei civici, andando a costruire un curricolo emergente profondamente stimolato dal vivere il quotidiano nell’eccezionale contesto museale. Per tutte le altre classi dell’Istituto si è creata l’opportunità del “Museo nella scuola”, grazie all’esperienza del Delivery Museum, un dispositivo implementato in collaborazione con i musei che permetteva ai reperti di rimanere nelle scuole dell’Istituto, all’interno di installazioni, per continuare la sperimentazione su approcci didattici innovativi (Campanini et al., in press). Proprio promuovendo un curricolo che “permettesse un’emancipazione dallo spazio-aula e dalle routine didattiche”, l’alleanza con il museo, inteso tradizionalmente come estensione naturale dell’ambiente di apprendimento-scuola nell’accezione dei laboratori museali, ha permesso una rielaborazione generativa dell’idea di cultura e patrimonio. A partire dalle esperienze legate alla “bellezza” e al patrimonio, l’Istituto ha arricchito la sua offerta formativa, valorizzando le potenzialità dell’esperienza dal punto di vista degli alunni, continuando a promuovere una immersione in ambienti più liberi da vincoli, ricchi di stimoli e di bellezza: la scuola si è fatta “porosa”, permettendo di uscire agli studenti con più sistematicità, ma anche di “entrare” a coloro che desideravano collaborare con la scuola.

Si è concretizzato così un Curricolo verticale del Patrimonio e della Cittadinanza (Landini, 2023) che si è declinato in alcune azioni principali: l’istituzione di quattro settimane all’anno co-progettate in verticale e trasversali nell’istituto, su quattro temi comuni del Curricolo e la progettazione di azioni di indagine, studio e narrazione dei contesti naturali e storico-sociali in cui sorgevano le scuole. In questo articolo si entrerà nello specifico di uno di questi progetti, per meglio esplicitare una proposta educativa concreta che possa, seppure in misura esemplificativa, servire da orientamento pedagogico per ravvivare la speranza in una educazione che sappia ritrovare, grazie alle azioni di comunità, il significato intrinseco del bene comune.

Dal paesaggio naturale e culturale all’identificazione

Vivere nella propria scuola, ogni giorno, significa osservarla, interrogarla, cercare di carpirne i segreti. Significa non solo trovare risposte sulla sua nascita, il suo nome proprio, le sue precedenti destinazioni d’uso, la promiscuità con altri edifici, se presente, ma contestualizzarne storicamente e socialmente l’identità. Questa “pedagogia dei luoghi” permette di affrontare la sua conoscenza studiando al contempo quali processi conoscitivi possono portarci alla sua descrizione: la scuola diviene oggetto osservato e soggetto che concorre a “darsi una spiegazione”, lascia emergere negli studenti il gusto per la scoperta, ma li plasma anche come comunità di storici e scienziati, li rende “ricercatori”. In questo modo, il mandato epistemologico della scuola consolida pratiche che non creano solo conoscenza ma competenze e abiti mentali, permettendo loro di redigere mappe ed interpretazioni della loro realtà.

La scuola secondaria A. Manzoni e la scuola primaria Ada Negri si trovano in un vero e proprio palazzo: Palazzo Franchetti, sito nel centro storico di Reggio Emilia.

Il progetto, che ha come finalità la conoscenza e la promozione della scuola come bene di tutti e come “paesaggio culturale e sociale” da condividere con la città, è nato con due azioni principali: l’elezione dei rappresentanti di classe della scuola secondaria di primo grado e delle classi quarte e quinte della primaria Ada Negri.

La seconda azione, strettamente correlata alla prima, ha costruito quell’allargamento alla comunità necessario per promuovere scambi fecondi dal punto di vista culturale e ampliare il raggio d’azione dei percorsi poi intrapresi dagli studenti. Rappresentanti di classe e membri di enti ed associazioni hanno formato così un “Comitato di valorizzazione di Palazzo Franchetti”[1], trasversale e intergenerazionale, che partendo dallo sguardo degli studenti, ha promosso e sta promuovendo azioni riguardanti la scoperta del patrimonio culturale della scuola, in senso storico-sociale e naturalistico, in associazione con partner del tessuto culturale e sociale del territorio, portando alla creazione di network finalizzati alla interconnessione di competenze, identità comuni e partecipazione attiva. 

Il progetto della secondaria ha preso il nome La storia siamo noi[2], mentre quello della primaria Ada Negri è stato nominato Passeggiando tra gli alberi di Palazzo Franchetti. Mentre il primo si è concentrato sullo studio della dimora antica e della famiglia che la possedeva, i secondi hanno approfondito il paesaggio naturale del parco della scuola e del Parco pubblico che un tempo apparteneva alla nobile famiglia che viveva nel palazzo. Per ragioni di spazio accenniamo qui solamente alla parte del progetto della primaria[3], andando ad approfondire collaborazioni, fasi attuative e esiti delle attività della secondaria.

La prima fase è stata contraddistinta dall’osservazione del luogo: simboli, materiali, iconografie, sono emerse dalla richiesta di ricercare indizi della storia del palazzo. L’attività formativa che è stata avviata conseguentemente a questo primo step, ha avuto la finalità di dare risposte ai tanti quesiti emersi per soddisfare il bisogno di conoscenza della storia del luogo in cui la scuola si trova. La sensibilità dei ragazzi alla storia del palazzo era diventata sicuramente più evidente dopo che il lockdown aveva costretto le due classi coinvolte a frequentare altri spazi di formazione per motivi di distanziamento: le stanze dei Musei civici e la Biblioteca delle Arti, altri due palazzi antichi della città. La ricerca su un bene architettonico, come questo palazzo storico, ha portato a uno studio più ampio della storia dell’Ottocento e del Novecento, filtrato attraverso la storia locale e le vicende della famiglia Franchetti. Ad accompagnare i ragazzi negli approfondimenti il direttore della biblioteca comunale Panizzi, membro del Comitato di valorizzazione appena costituito.  La ricerca si è spostata nell’archivio della biblioteca e i ragazzi hanno potuto visionare fonti, periodizzare, categorizzare, interpretare i documenti. L’approccio di ricerca, guidato da uno storico, è stato poi approfondito con l’aiuto dell’Associazione Amici del musicista Alberto Franchetti e alcuni membri della Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi – Sezione di Reggio Emilia che, attraverso uno sguardo competente, hanno permesso lo studio degli aspetti iconografici e delle opere musicali di uno dei membri della famosa famiglia. Stranamente, più i ragazzi scavavano negli archivi, maggiore era la loro curiosità per la famiglia Franchetti, ma anche la sensazione che la città non fosse consapevole dell’importanza del Palazzo per la storia politica e sociale del nostro territorio e del Ducato Estense. Ne parlavano a casa e con gli amici e la narrazione della famiglia assumeva il gusto dell’epopea. Il loro entusiasmo è stato tangibile quando hanno riconosciuto, nelle foto di archivio appese sui muri della loro attuale scuola, i trofei di caccia dell’esploratore Raimondo Franchetti, con cui avevano convissuto nel loro anno al museo: sapere che quegli animali, studiati e disegnati dal vero, erano un tempo parte del loro edificio, era sorprendente. Lo studio ha poi portato le classi non solo a conoscere ed approfondire arredi, simboli e iconografie della scuola, ma anche a comprendere il ruolo avuto dal barone Franchetti nell’età post-unitaria in seno alla città. In particolare, quella che ora era una proprietà grandiosa, ma compresa tra altri edifici, era, a Porta Santo Stefano, la residenza privata più estesa di tutta la città: la “loro scuola” comprendeva un tempo oltre al palazzo, un vasto parco e una cavallerizza (ora la loro palestra), la cui costruzione aveva impegnato fino a 200 operai e artigiani. Il barone aveva promosso le attività musicali e culturali del vicino Teatro Municipale, aveva portato a Reggio Emilia importanti famiglie nobiliari e si era impegnato nella vita pubblica della città come consigliere comunale e provinciale negli anni in cui era forte il confronto tra idee liberali borghesi e istanze del socialismo prampoliniano.

Lo stupore per l’importanza dell’edificio in cui vivevano tutti i giorni ha sostenuto la cura e la passione con cui sono divenuti divulgatori di quanto appreso. Gli studenti hanno fatto da guida a un gruppo di visitatori del FAI, spiegando e illustrando le connessioni ed informazioni emerse durante le fasi di ricerca, confluite poi in una loro presentazione multimediale. Sotto lo stimolo del confronto con figure professionali presenti nel Comitato, architetti, storici e musicisti, le classi hanno partecipato a diverse iniziative sul territorio legate alla famiglia Franchetti, come visite guidate e mostre fotografiche, diventando non solo fruitori ma anche organizzatori e promotori di cultura. Anche le gite scolastiche sono state organizzate con il loro coinvolgimento diretto, come quella al Cavazzone, una corte sulle colline di Albinea, centro nevralgico di grandi proprietà terriere, la cui unità abitativa principale, lo chalet, è ancora arredata con mobili e oggetti autentici appartenuti al barone e alla sua famiglia. Gli obiettivi dell’attività formativa sono stati quindi consolidati attraverso l’uso sistematico delle fonti, l’organizzazione autonoma delle informazioni, l’acquisizione e rielaborazione di nuovi strumenti concettuali e un uso della narrazione scritta e orale sia individuale sia di gruppo autenticamente finalizzata ad uno scopo. I prodotti dell’attività formativa e divulgativa hanno incluso presentazioni multimediali, la preparazione di visite guidate e la creazione di cartellonistica come supporto per le visite. La conoscenza delle proprietà della famiglia ha portato i ragazzi in gita a Venezia, dove sotto la guida di un architetto membro del Comitato ed esperto dei Franchetti, i ragazzi hanno potuto ammirare il Palazzo Franchetti sul Canal Grande, acquistato nel 1878 da Raimondo, e la famosa Ca’ d’oro, acquistata dal figlio Giorgio, raffinato collezionista d’arte. L’approfondimento della vita dell’altro figlio Alberto Franchetti ha proiettato i ragazzi nel mondo dell’opera: illustre compositore, Alberto era amico di Puccini e Mascagni. Attraverso la scoperta dell’oblio in cui caddero le sue opere, a causa dell’opposizione fascista dovuta alle sue origini ebree, i ragazzi hanno anche compreso la durezza della persecuzione messa in atto dalle leggi razziali. Partendo da questa scoperta, le radici ebraiche della famiglia, gli studenti sono allora andati alla ricerca della mappa del ghetto ebraico della città e, accompagnati da una studiosa di Istoreco, noto istituto di ricerca storica reggiano, hanno visitato la sinagoga e tracciato i confini di un mondo invisibile ora agli occhi della città, ma così denso di significati ai loro occhi: la storia della Shoah si concretizzava, le pagine del libro di storia avevano ora per protagonisti persone “conosciute”, i luoghi della deportazione avevano atteso bambini e famiglie che vivevano “accanto” a loro.

Attraverso i familiari presenti sul territorio le classi hanno potuto vivere, infine, un vero incontro con una fonte orale, oltre che la possibilità di avere uno scambio reale e funzionale per colmare alcune lacune rimaste nella loro ricerca: un sabato mattina l’unico erede diretto del barone, Alberto Franchetti Junior, ha fatto visita alla dimora dei suoi avi, che non aveva mai visto, e gli studenti lo hanno accompagnato commossi, guidandolo nelle sale affrescate e chiedendo ulteriori dettagli sulla famiglia. La storia in quel momento era fatta davvero da loro, da quell’incontro e dall’esito di quelle conversazioni intrise di memoria.

Altre due classi si sono invece occupate del palazzo e, più nel dettaglio, del suo “quartiere”. Si sono approcciati all’ubicazione della scuola-dimora con le fonti dell’antica cartografia presenti in biblioteca, nelle stampe e litografie, nelle foto d’epoca, ricostruendo la posizione e le proporzioni della proprietà. Con l’aiuto di due ingegneri reggiani, la cui presenza competente è stata finanziata da Iren, azienda multiutiliy del nord Italia, i ragazzi hanno potuto osservare la loro scuola con un drone, grazie ad una visione dall’alto, panoramica e dinamica, che ha loro realmente svelato le peculiarità urbane del contesto odierno, a fronte delle “immagini” storiche ricostruite con fonti scritte e iconografiche. L’esperienza ha permesso, oltre allo studio del funzionamento di droni multi-rotori, efficaci piattaforme volanti per ripresa e osservazione dell’ambiente, lo studio delle fasi di progettazione, delle riprese, l’utilizzo di alcune tecnologie, complementari ai droni, utili all’elaborazione e rappresentazione di contenuti geografici. Al termine, infatti, i ragazzi hanno realizzato un Digital storytelling, lavorando sul montaggio audio-video e sulle didascalie, con la finalità di diffondere agli altri alunni quanto avevano scoperto. Tra i più importanti esiti dell’esperienza, oltre a quella narrativa, la “consapevolezza visiva” del natural and urban landscape, per meglio comprendere la portata delle dimensioni della proprietà, l’ubicazione, in linea d’aria, delle antiche mura della città di Reggio Emilia, ora non esistenti, e del “Belvedere”, struttura in ghisa dei primi del Novecento posizionata sulle mura, al confine con la proprietà, da cui si poteva osservare l’intera prospettiva del centro storico e dell’orizzonte collinare e montuoso a sud. Proprio su una di quelle colline, al Cavazzone, i ragazzi hanno potuto ritrovare l’antica struttura del belvedere, ora ospitata in quella proprietà.

Gli esiti della ricerca sono divenuti oggetto di divulgazione fuori dalla scuola e nella scuola: oltre ad eventi organizzati per associazioni e famiglie, le nostre “guide” hanno resi partecipi gli altri alunni della scuola con attività di peer education, in presenza e in remoto, utilizzando in sincrono le smart board. Un’attività di narrazione che ha permesso l’affinamento di modalità comunicative efficaci e una maggiore consapevolezza su contenuti e valori portanti del progetto.

Oltre al raggiungimento di obiettivi disciplinari e allo sviluppo di competenze specifiche e trasversali, quale finalità principale è stato possibile raggiungere con questo progetto? Sicuramente la storia è stata ricostruita, giorno dopo giorno, nel dialogo incessante con il territorio, le sue associazioni, i suoi esperti. Ma non si è trattato di laboratori disgiunti in cui l’esperto “informava”, quanto piuttosto un percorso di ricerca condotto insieme, per disvelare il territorio e il suo paesaggio storico-culturale e sociale alla città. I ragazzi hanno acceso un “faro” sulla loro scuola, risvegliando attenzione e curiosità sul palazzo e gli altri luoghi “franchettiani”, intrecciando le loro scoperte con le pagine del libro e dando così senso e spessore alla loro identità. Perché al termine delle attività si erano create forme di immedesimazione e identificazione nella comunità scolastica, a cui si sentivano di appartenere con più consapevolezza. Inoltre, ora si sentivano parte di un network culturale, col quale le tradizioni, i costumi, il patrimonio artistico e musicale studiati forgiavano identità comuni.

Dalla narrazione corale possiamo quindi dire di essere approdati alla interconnessione con la comunità educante, una comunità che si prende cura del patrimonio e della propria identità. Pare quindi che quel malessere in cui la scuola, docenti e discenti compresi, si trova talvolta immersa, possa essere fronteggiato attraverso due diverse ed opposte spinte: quella delle alleanze che muovono dall’alto, di carattere più istituzionale, legittimate da rapporti tra scuole ed enti locali, indirizzate dalla politica scolastica e quelle che partono dal basso, maggiormente legate all’esperienza radicata nei contesti, che generano dispositivi educativi situati e divengono “centri di gravità” per i cittadini e le comunità. Una scuola che diventa bene della comunità.

Dalla scuola come bene di comunità, che si rispecchia in un ecomuseo, alla scuola consapevole del suo cultural landscape

Quest’ultima prospettiva, quella della scuola come bene della comunità, può nutrirsi anche delle suggestioni di entità come gli ecomusei, percorsi di crescita culturale delle comunità locali, fondati sulla attiva partecipazione di cittadini, enti e associazioni (Dal Santo et al., 2017).

Una scuola che ha saputo riflettere sulla propria storia, promuoverla, renderla strumento di partecipazione e condivisione, può definirsi quindi un bene che, non solo appartiene alla comunità, ma necessita della sua cura e della sua attenzione. Di questa cura dovrà essere motore propulsivo la comunità che la abita: dirigente, docenti, collaboratori, studenti, genitori, ma anche la sua città.

Si tratta, infatti, di una comunità che ha saputo darsi una struttura per le finalità sopra esposte, che ha impostato un “pensiero strategico” per il raggiungimento dei suoi obiettivi di salvaguardia e promozione del patrimonio intrinseco ed estrinseco della città. Come a dire che una scuola, nel suo piccolo contesto, può farsi strumento di cambiamento per la promozione e lo sviluppo del suo territorio e come presidio culturale ed identitario di chi la abita. In questa accezione ogni scuola che si muove in questa dimensione di studio e condivisione della conoscenza sui luoghi e la loro storia e bellezza, si può, pur con le dovute distinzioni, rispecchiare in un ecomuseo (Corral, 2017). Per essere più precisi, l’ecomuseo è un soggetto ben definito da un documento strategico che lo delinea come strumento di cambiamento per lo sviluppo locale, direttamente connesso alla comunità e al suo territorio. Tale soggetto si struttura grazie a partecipazione e interesse della stessa comunità a cui appartiene e della cui presenza si nutre: uno spazio, in sostanza, che coinvolge la popolazione locale in modo pro-attivo e nella sua organizzazione effettiva.

Pur non rientrando all’interno di questa definizione in senso stretto[4] e non potendo essere definita “un museo comunitario”, non avendo uno statuto, una propria collezione ben definita, risorse stabili fornite dalla comunità, un’idea progettuale sostenibile in termini di risorse umane e materiali finalizzata alla promozione culturale e turistica vera e propria, una scuola che possa costituire un suo network per la valorizzazione della sua storia e del suo “distintivo carattere”, che dia risalto alla bellezza e alle variegate forme di cultura e saperi di cui può farsi promotrice nel suo territorio, può configurarsi come risposta al disancoramento degli adolescenti dalla vita culturale e sociale del loro contesto. La salvaguardia del patrimonio non sembra confinabile solo ai musei istituzionali o ai musei di comunità, non sembra configurarsi solo nello statuto degli ecomusei, ma può divenire strumento duttile e potente di partecipazione attiva e salvaguardia degli scenari naturali e culturali dei contesti di vita dei ragazzi. Contesti tutti differenti, ma ricchi di racconti, densi di simboli e significati, decorati con preziosi dettagli artistici, caratteristici di ogni realtà locale. La risposta alla solitudine sociale e all’isolamento del mondo dell'educazione può forse essere trovata nell’interconnessione con la bellezza e in una didattica maggiormente ancorata ai luoghi e alla loro cura.

Note

[1] Al Comitato di valorizzazione di Palazzo Franchetti partecipano rappresentanti ed esperti: la Biblioteca comunale Panizzi di Reggio Emilia, l’Associazione per il musicista Alberto Franchetti Aps, Reggio Emilia, la Deputazione di Storia Patria, i Musei civici di Reggio Emilia, la Delegazione FAI di Reggio Emilia, Istoreco. Un ringraziamento particolare va, per il successo del progetto e la presenza attenta e competente, a Mariacarla Sidoli Terrachini che ha aperto agli studenti le porte del “Cavazzone”, di proprietà della famiglia.

[2] Il progetto La storia siamo noi è stato coordinato, realizzato e documentato grazie alle professoresse Stefania Guglielmino ed Elisa Zerilli, con la collaborazione della docente Alessandra Fontanesi. La parte del curricolo curata dalla primaria Passeggiando tra gli alberi di Palazzo Franchetti è stata coordinata e condotta dai docenti Elisabetta Bedogni, Claudia Reggiani e Alfonso Trillicoso.

[3] Il progetto della primaria ha visto lo studio della flora e della fauna del cortile della scuola e del parco pubblico, anticamente incluso nella proprietà e rimaneggiato nel tempo. Nel parco infatti era ubicato un ippodromo, essendo i Franchetti grandi appassionati di ippica e cavalli. Il percorso si è caratterizzato con approccio di ricerca ludico-espressivo e ha visto gli approfondimenti in collaborazione con un professore in pensione, biologo, esperto del Parco pubblico e dei suoi alberi secolari, una esperta dei Musei civici di Reggio Emilia, fine conoscitrice della storia del parco e delle statue ancora presenti. Inoltre, a confermare l’importanza del natural landscape, hanno partecipato all’interno del progetto ad attività di Citizen Science, grazie alla presenza della professoressa Tiziana Altiero, zoologa dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che li ha condotti alla scoperta della presenza dei tardigradi nel loro parco, nel parco pubblico e sulle colline reggiane. Le bambine e i bambini hanno così attivamente partecipato ad una ricerca scientifica andando a raccogliere campioni di tardigradi nella zona, analizzandoli al microscopio e permettendo così all’università di mappare ulteriormente il territorio sotto il profilo delle specie presenti di questi particolari esseri viventi. Le riflessioni sull’età degli alberi secolari, presenti quando la famiglia era in vita e sul cambiamento del paesaggio attorno alla scuola, hanno accompagnato le loro narrazioni successive. In occasione dell’evento Reggio narra, i bambini hanno animato i giardini pubblici con una passeggiata letteraria in cui hanno raccontato alla cittadinanza le scoperte e le storie fantastiche realizzate e donato al Parco i QR Code con le registrazioni delle storie lette dalla loro viva voce.

[4] Per un approfondimento sulla storia e lo statuto degli ecomusei si vedano: de Varine, 2005; Davis, 2001.

Riferimenti bibliografici

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L’autrice

Alessandra Landini è dirigente scolastica a Reggio Emilia. Ha un dottorato in Scienze umane, ha svolto una tesi in Didattica della fisica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e conseguito un master in Organizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali presso Alma Mater. Cultrice di Didattica generale all’Università di Modena e Reggio Emilia, svolge attività di didattica integrativa nell’ateneo. Dal 2020 studia curricoli verticali del Patrimonio e della Cittadinanza, per favorire contesti di crescita per la comunità educante e la sua immersione nel patrimonio museale e culturale della città.