Il museo come spazio didattico-educativo. Dalla memoria del passato alla cura della casa comune | The museum as a teaching-educational space. From the memory of the past to the care of the common home

DOI: 10.5281/zenodo.10644370| PDF

Educazione Aperta 15/2024

In recent decades, we have witnessed a 'Copernican revolution' developed on several levels. Faced with the opening up of knowledge to Web accessibility, the school, once the only outpost of knowledge, has found itself having to operate in a much more articulated context in which other agencies and places of learning promote the development of formal and informal knowledge spendable in the world of work. Among these, a special role is played by the museum, a physical and symbolic space dedicated to the narration of origins and the construction of cultural identities, but also a place of training and education in a social and cultural key for the growth of the future citizens of tomorrow and the experimentation of new teaching strategies.

Keywords: Innovative Didactics, Museum Education, Significant Learning.

Introduzione

La società contemporanea riconosce al museo il ruolo di raccontare – attraverso le opere d’arte in esso ospitate – le nostre aspirazioni di vita, le nostre aspettative locali ed universali, le nostre proiezioni personali e collettive nel futuro, chi siamo, cosa conservare della nostra storia e della nostra identità, come conservarlo, come raccontarlo, come renderlo patrimonio fruibile a tutti, come esprimere valori che ci rappresentano oggi e che possono diventare memoria per il domani.

Gli ambienti museali si configurano come veri e propri “habitat narrativi”, ecosistemi della conoscenza, luoghi immersivi della sperimentazione learning by doing, territori della memoria, in cui la frammentazione di storie, che animano i resti archeologici e/o le opere d’arte, favorisce l’approccio esperienziale e il linguaggio interattivo, mediato dall’uso sempre più massiccio di strumenti digitali e realtà virtuali, valorizza le condizioni di dialogo e partecipazione. Le componenti del racconto emergono fino a divenire centrali: lo spazio fisico può essere attraversato e gestito come un palcoscenico, sul quale gli attori hanno la possibilità di muoversi drammaturgicamente, lasciandosi trasportare dalla narrazione che si dispiega e coinvolge lo spazio museale, come se si trattasse di una sceneggiatura e non solo di un allestimento. Una narrazione che emerge anche dalla memoria del luogo stesso, ed è, dunque, parte di quel preciso ambiente, intrecciata con le storie che esso evoca e la tematica affrontata.

Museo, dunque, per tutti, per tutta la vita, per tutte le culture, protagonista negli ultimi tempi di una mutazione e rinascita in base alle aspirazioni della società, al punto da acquisire una nuova identità e divenire “sensibile”: pronto a recepire le tendenze trasformative di rinnovate modalità di accrescimento e divulgazione della conoscenza, ma anche in grado di proporre esperienze di fruizione multisensoriali, segnate dal contemporaneo coinvolgimento delle dimensioni corporea, emotiva, cognitiva e sociale; museo capace di uscire dalla rigidità dei propri spazi, per stabilire un diretto contatto con l’ambiente naturale o urbano nonché con la popolazione locale e i turisti, di entrare nelle aule e dare il via a percorsi di didattica museale (Poce, 2020).

Un tema innovativo – questo – e in costante evoluzione per tutti coloro che si occupano di gestione museale, di educazione al patrimonio, di economia della cultura e di sviluppo del territorio. È importante, allora, riflettere in chiave interdisciplinare su questa metamorfosi, che ha introdotto nuovi campi di indagine e ricerca, analizzandone le potenzialità e le criticità. Esse interessano, in particolare, la funzione educativa del museo e la sua facoltà di trasmettere la conoscenza in modo diretto e del tutto nuovo. Infatti, se da un lato, il museo viene definito come una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali, dall’altro è ben chiaro come lo faccia per finalità di educazione e di studio. Quindi, i musei non sono solo sede del patrimonio culturale e della memoria, sono anche uno strumento che ha specifiche finalità educativo-formative e di ricerca-studio. Siamo lontani, pertanto, dal definire il museo il fermo immagine di una conoscenza e di una cultura. Esso è piuttosto uno strumento dinamico e attivo orientato ad un pubblico potenziale, che va dai bambini agli anziani, passando per gli immigrati e per la pluralità delle culture di cui gli stessi sono portatori.

Alla luce di ciò, se il museo non è un insieme di teche protettive di memorie e sedimentazioni culturali, che si trasmettono in maniera passiva, ma al contrario, viene attivamente percepito come mezzo attraverso il quale dare forma alla propria identità, può essere visto ed utilizzato anche come strumento per gestire la dialettica – spesso contraddittoria - tra appartenenza e differenza, e fungere da supporto per la conservazione delle diverse identità e strumento del fare cultura, coesione sociale, attraverso processi di confronto e integrazione culturale con l’obiettivo di valorizzazione, sostegno e sviluppo del capitale umano di un territorio (Limone, 2012).

Inoltre, oggi, attraverso l’impiego di dispositivi tecnologici di prima e seconda generazione, il museo modifica il rapporto visitatore-opera d’arte dilatando i propri spazi e introducendo nuovi paradigmi di interazione culturale e valorizzazione del territorio e l’efficacia educativa di tale interazione dipende dall’assoggettare tali dispositivi a validi criteri di apprendimento.

In sostanza, il comune intento – perseguito da differenti prospettive disciplinari e transdisciplinari – è la promozione e l’individuazione delle modalità con le quali le tecnologie digitali possono oggi facilitare l’interazione visitatore-opera partecipata, consapevole e inclusiva, capace, allo stesso tempo, di generare effetti formativi duraturi in diverse tipologie di utenti, compresi gli studenti con bisogni educativi speciali (BES).

Musei, scuole e territori: insieme per uno sviluppo sostenibile

Sfogliando l’enciclopedia on line Treccani alla voce Museo leggiamo: “Raccolta di opere d’arte, di oggetti, di reperti di valore e interesse storico-scientifico. Luoghi che rientrano, insieme alle biblioteche, agli archivi, alle aree e parchi archeologici e ai complessi monumentali, tra gli istituti e luoghi di cultura”. In particolare, l’Icom (International committee for museology dell’International council of museums) ha definito il museo “un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze” (Icom, 2023; tr. it. Icom Italia, 2022).

Dunque, come anticipato, se nell’antichità il Museo, il cui nome deriva dal termine greco antico mouseion (Μουσεον), era il luogo sacro alle Muse, i lunghi e accesi dibattiti degli ultimi decenni, hanno introdotto i temi di accessibilità e inclusione nei musei, diversità, sostenibilità, codice etico, coinvolgimento delle comunità, condivisione di conoscenze (correlato al tema dell’Open Access nei musei), vedendo sempre più lo spazio museale come luogo di riflessione, ente senza scopo e al servizio della società.

Ma non è finita qui. È doveroso notare come la riflessione sul modello museale si sia estesa e approfondita anche in ambito contenutistico, innervata dal pensiero legato alla performatività dello spettatore e da una rilettura del binomio azione-contemplazione. Sulla scia di quanto già da tempo messo in pratica nei musei internazionali, sta prendendo spazio anche in Italia la sperimentazione di ambienti ibridi in cui è possibile accogliere azioni che mutano radicalmente la modalità di “abitare” il museo, come l’utilizzo di visori ottici per muoversi tra le gallerie o proiettarsi in contesti altri, o l’impiego di codici QR che permettono di visualizzare attraverso un semplice smartphone foto, video o audio, offrendo al visitatore l’eventualità di rivedere l’opera, analizzarla nel dettaglio, studiarla in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Una modalità quest’ultima ancora in cerca di una formulazione vera ed efficace al di là dell’attrazione effimera e dell’utilizzo occasionale legato all’“evento”. Si tratta di una ricerca da condurre sul campo, oltrepassando le posizioni concettuali o ideologiche e verificando i risvolti concreti in relazione alla fluidità della partecipazione, soprattutto delle generazioni più giovani, cresciute in un paradigma così differente da rendere potenzialmente desueto ogni discorso che non coinvolga le istanze della comunicazione e della comunità digitale.

Il museo diviene sempre più un luogo in cui vivere, partecipare a una storia attraverso molteplici sollecitazioni, in cui esperire percettivamente e fisicamente il suo contenuto e in cui condividere con altri le proprie emozioni. Un luogo dinamico e organico oggi in fase di passaggio da “museo di collezione” a “museo di narrazione”, che raccontando le origini di un popolo e quelle del suo territorio e gettando le basi delle proprie radici, sviluppa il senso di appartenenza e stimola il pensiero ecosostenibile.

Appurato, allora, il valore educativo del museo, luogo di formazione non formale e informale, che favorisce la crescita sociale e culturale di un pubblico eterogeneo, è giunto il momento di aprire le sue porte al territorio e ai vari ambienti di vita, sempre più complessi, contrassegnati dall’aumento di presenza umana e infrastrutture, dalla continua crescita della domanda di beni di consumo e da una ridefinizione dei bisogni e degli obiettivi di sviluppo, tanto per i giovani, quanto per gli adulti. L’ambiente offre ai soggetti diversi stimoli di sviluppo e riceve a sua volta notevoli impulsi che richiedono un’adeguata consapevolezza da parte anche delle istituzioni, onde evitare una crescita del capitale umano incurante del territorio abitato.

Una formazione di questo tipo (dinamica, dialettica, plurale e aperta) è lontana dal modello scuola-centrico e punta ad un’alleanza plurale tra agenzie educative (associazioni, enti locali, famiglie) in grado di garantire un apprendimento significativo, responsabile e partecipato in continuità con il contesto di vita, in un’ottica di lifelong, lifewide e lifedeep learning, secondo il modello del Sistema Formativo Integrato (Frabboni e Guerra, 1991).

La stessa Agenda 2030, al quarto dei 17 obiettivi, si prefigge di “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti” (Onu, 2015), dichiarazione che riconosce il diritto di ogni cittadino a poter usufruire del patrimonio culturale e di prendere parte alla vita culturale del suo territorio. Inoltre, tale obiettivo accresce la possibilità di assecondare le tendenze generative relative alle modalità di divulgazione della conoscenza attraverso esperienze multisensoriali e multimodali capaci di coinvolgere il visitatore nella sua totalità, nella sua dimensione emotiva, cognitiva e sociale. Nel mondo contemporaneo, infatti, il museo ha visto il dilatarsi e il moltiplicarsi delle sue funzioni ed è chiamato ad assolvere un compito educativo e sociale di acculturamento delle masse (Nardi, 2004): al suo interno si recano i visitatori per osservare, per contemplare il bello in senso artistico, per ammirare e studiare oggetti d’arte conservati ed esposti anche in funzione della costruzione dell’identità dei popoli. Proprio per il suo avere un ruolo fondamentale nella trasmissione della nostra storia, delle nostre radici, per la stratificazione di storia e tradizioni conservate nelle sue opere, è necessario che città e museo, o meglio, territorio e musei, lavorino in sinergia al fine di proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo, attraverso la valorizzazione delle risorse del territorio e il coinvolgimento culturale dei soggetti.

Nell’era della globalizzazione bisogna ragionare sui cambiamenti di mentalità all’origine di mutazioni di comportamento e di stili di vita compatibili con la casa comune.

Sempre più si sente parlare di “ambiente sostenibile”, con il quale si intende la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.

Forse, allora, è giunto il momento di fare di una delle questioni più urgenti per il nostro pianeta, un cavallo di battaglia in ambito didattico-educativo.

Si è accennato all’utilizzo crescente dei dispositivi digitali nei musei, utilizzo dei quali rende gli spazi museali ambienti sensibili, aperti al digitale e all’interattività, uno spazio digitale nel quale immagini e suoni coinvolgono lo spettatore a 360 gradi offrendogli la possibilità di assumere un ruolo centrale.

Gli “ambienti sensibili”, si evince, creano un incontro tra differenti conoscenze e un dialogo aperto tra elementi fisici e dimensioni immateriali mediati per l’appunto dal dispositivo interattivo (si pensi, per esempio, al Metaverso). In questo modo, le potenzialità comunicative delle opere d’arte si amplificano in senso didattico e si adattano ai percorsi tematici legati alle necessità dei musei dedicati e ai bisogni territoriali. Il concetto di ambiente sensibile, calato nel progetto di museo, è inteso come un vero e proprio ecosistema: luogo di relazione tra componente virtuale e presenza fisica, tra contenuto trattato e vissuto del visitatore, una relazione che punta a valorizzare la collettività, in quanto le scelte sono esperienze di più persone, affinché accanto alla relazione uomo-tecnologia rimanga ben salda anche quella tra gli umani, in una dimensione corale, partecipata, comunitaria.

All’interno degli spazi museali è utile e vantaggioso predisporre le interfacce naturali, ovvero quei dispositivi interattivi quali mouse, tastiere, caschi, etc. che reagiscono senza l’uso di protesi tecnologiche, ma attraverso modalità comunicative tradizionali (il tatto, la voce, un gesto, un soffio) creano una condizione di maggiore naturalezza e attivano una dimensione comportamentale spontanea e pre-simbolica, molto significativa (Buckingham, 2013).

Focalizzare l’attenzione sulla memoria delle comunità locali permette al soggetto interessato di risalire alle proprie origini e riscoprire la propria identità culturale, di creare connessioni sociali con il passato e il presente del territorio, a favore della condivisione e della valorizzazione di tale conoscenza.

Il museo assume così una forma partecipativa “aperta”, disponibile al dialogo e all’ascolto comune, un luogo in cui stare e ritornare quando si vuole, uno specchio in cui riconoscersi, un contesto che diventa luogo di formazione continua, sia sulla tematica trattata sia sui linguaggi che la raccontano.

Dunque, la narrazione intermediale e transmediale crea una condizione di coinvolgimento sensoriale ed emotivo, che ricorda l’affascinante complessità e la grandiosità dei cicli d’affreschi che hanno segnato a lungo la storia dell’arte.

La progettazione di musei e la realizzazione di mostre tematiche e/o temporanee, installate anche in luoghi aperti, si propongono come significativi ambiti di attività artistica paralleli al sistema vigente dell’arte contemporanea, estendono il campo d’intervento a un pubblico sempre più vasto, avvicinandolo, inoltre, ai problemi della nostra società, sui quali l’arte ha la responsabilità di far sentire la sua opinione.

Musei a cielo aperto e nuovi paradigmi didattici

Attualmente, una delle realtà più drammatiche e di cui si diviene sempre più coscienti è il degrado ambientale. A partire dagli anni Sessanta del Novecento, tale fenomeno interessò un gruppo di artisti americani che posero le basi per la nascita di una nuova corrente artistica denominata Land Art, una forma d’arte contemporanea caratterizzata dall’intervento dell’artista direttamente sul territorio naturale, installazioni site specific specie in spazi incontaminati e difficilmente accessibili come deserti, laghi salati, praterie, mari, ecc. Così l’opera d’arte viene creata esclusivamente in relazione alle caratteristiche del luogo in cui si colloca, cambiamento radicale rispetto ai capolavori creati nello studio di artisti e poi collocate, eventualmente, in uno spazio pubblico.

Contemporaneamente al fenomeno americano, in Europa si è assistito alla nascita dei primi interventi artistici di Arte Ambientale, processo che porta alla realizzazione di un’opera d’arte in cui l’artista si confronta direttamente con l’ambiente in uno scambio reciproco grazie al quale “l’arte crea uno spazio ambientale nella stessa misura in cui l’ambiente crea l’arte” (Celant, 1976).

Emerge chiaramente come un intervento di questo tipo sia volto a valorizzare l’area territoriale in questione, nonché le tradizioni del luogo in cui esso si colloca. Inoltre, a volte, lo stesso intervento artistico viene realizzato attraverso un complesso intreccio di sinergie tra gli artisti contemporanei e gli artigiani locali, detentori quest’ultimi di preziose abilità tramandate e spesso in estinzione.

Ancora, su proposta del famoso storico dell’arte, Vittorio Fagone, è stata teorizzata la corrente artistica Art in Nature, una tendenza innovativa che ha cercato di rendere insolubile l’alleanza tra l’intervento artistico realizzato e l’ambiente in cui è inserito.

Come egli stesso sottolineava (Fagone, 1996, qui ripreso in D'Angelo, 2001, p. 185)

in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Canada, in Giappone e in Australia, da oltre dieci anni alcuni artisti innovativi, non vincolati da anacronistici proclami o da esasperate strategie di promozione, hanno scelto, quasi sempre in misura esclusiva e con procedure per ognuno diverse, di realizzare la loro opera in spazi aperti della campagna o delle remote periferie metropolitane, utilizzando solo materiali dello stesso ambiente, senza fare ricorso a tecniche, sostanze e colorazioni che, nei confronti dell’habitat circostante, possano risultare in qualunque modo disomogenee o invasive. Le opere realizzate da questi artisti [...] si caratterizzano [...] per una diversa disposizione rispetto al tempo, che non è più quello rettilineo e senza decrementi, convenzionale della storia dell’arte, bensì quello, vitalmente deperibile, delle stagioni e delle mutazioni naturali.

Dalle dichiarazioni enunciate da Vittorio Fagone emerge un’importante caratteristica dell’Art in Nature: il fattore tempo intrinseco nella creazione artistica. L’installazione realizzata è destinata, infatti, ad una lenta ed implacabile trasformazione in quanto deve adattarsi al divenire delle stagioni e degli eventi atmosferici (Fagone, 1996).

A ragione, rilevante risulterà l’utilizzo di dispositivi digitali per fotografare le bellezze artistiche presenti in natura, per attestarne l’esistenza e per consentire lo studio dell’installazione artistica, che in tal modo diviene opera d’arte naturale e spontanea, in seguito alla sua definitiva scomparsa.

Dunque, diversamente dai monumentali e, spesso, inaccessibili interventi artistici della Land Art americana, quelli degli artisti europei aderenti all’Art in Nature si caratterizzano per il diretto intervento dell’artista nella natura[1].

Attraverso l’utilizzo esclusivo di materiali naturali reperiti in loco, l’artista realizza un’installazione di circoscritte dimensioni in diretto rapporto con l’ambiente, il paesaggio naturale e le specificità del luogo, che costituiscono il presupposto fondamentale per il suo intervento artistico in linea con il concetto di sostenibilità ambientale (Mazzanti, 2004).

In riferimento a ciò, lo stesso Vittorio Fagone aggiunge che “una nuova immagine del paesaggio può nascere solo, in maniera propria e corretta, usando materiali che allo stesso paesaggio appartengono” (Fagone e Mauri, 1993). Egli parla di installazioni “che si caratterizzano essenzialmente per l’uso esclusivo di materiali naturali, il recupero di tecniche colturali primarie e la totale intrasferibile inerenza al sito degli interventi progettati” (ibidem).

Interventi di questo tipo possono essere utilizzati anche in ambito pedagogico-didattico, soprattutto se, come sottolinea Kress (2003), si vanno sostituendo sempre più i supporti tradizionali con le nuove ICT, con dispositivi di realtà aumentata e codici QR Code (Quick Response Code), che offrono contenuti aggiuntivi semplicemente inquadrando i codici disposti lungo il percorso. Attraverso questi strumenti il visitatore può di propria iniziativa concentrarsi su temi a cui è più interessato, personalizzando la visita e renderla meno faticosa.

Oggi questi dispositivi digitali sono diffusi in moltissimi musei nazionali e internazionali e riscontrano un altissimo grado di soddisfazione nel pubblico più giovane, abituato all’utilizzo di media tecnologici, e in visitatori con bisogni educativi speciali, i quali possono finalmente adattare i percorsi alle loro necessità senza privarsi della bellezza artistica.

Tutto ciò riveste una notevole importanza sia per gli utenti, che vedono soddisfatti i propri bisogni nel percorso di fruizione, sia per il museo, che può implementare il proprio servizio favorendo una migliore valorizzazione del patrimonio.

Superando i tradizionali modelli di lezione frontale, al giorno d’oggi alquanto anacronistici e poco accattivanti, è possibile alzarsi dalla cattedra, uscire dalle aule e costruire percorsi didattici – interdisciplinari e transdisciplinari – a contatto con la natura che permettono agli studenti di riscoprire le bellezze del creato, di apprezzarle e custodirle (Ellerani, 2020).

Un simile percorso presenta numerosi vantaggi. In primis, attraverso l’esperienza di un compito di realtà, si pone lo studente nella condizione di sviluppare le life skills necessarie a divenire cittadini del mondo corresponsabili, i quali puntano a realizzare i propri sogni e a soddisfare i propri bisogni, senza tralasciare le esigenze altrui e senza frenesia, ma seguendo un ritmo naturale mirano a costruire un mondo più pulito e più giusto. Per giunta, progettare un intervento didattico di questo tipo porta gli studenti-visitatori ad immergersi con uno sguardo intimo e autentico nella realtà che osservano e che li circonda, attivando processi partecipativi anche attraverso piattaforme che mettano in connessione vari utenti in modo da favorire processi co-creativi di valore culturale.

Inoltre, si aumenta la sensibilità del soggetto coinvolto verso l’Altro, verso il dopo di noi, e ci si assicura la tutela dell’ambiente naturale. Si pensi, per esempio, ai tanti siti archeologici o ai percorsi naturalistici che costellano le nostre città e che spesso sono abbandonati o poco visitati, perché le giovani generazioni sono distratte dall’artificiosità che li circonda. Interessante sarebbe farli conoscere agli studenti, adattando il percorso all’età e alle capacità di ciascuno, e affidarli a loro. Tutto ciò, ovviamente, non ha e non deve avere solo risvolti sociali e di utilità per la conservazione del patrimonio culturale comune, ma deve essere intrecciato ad un apprendimento disciplinare significativo e piacevole al tempo stesso (Orlandini et al., 2020): si può così studiare la flora e la fauna di un territorio, riconoscere e studiare le sue rocce, ma anche andare alla scoperta di eventi storici significativi o di personalità di rilievo che hanno lasciato il segno.

Tale apprendimento oltre l’aula è stato definito Service Learning, proposta pedagogico-didattica che coniuga “apprendimento” e “servizio” (per lo più sociale) reso alla comunità e che può essere integrato, supportato e potenziato proprio grazie all’utilizzo degli strumenti tecnologici, le quali aprono nuovi spazi di comunicazione e nuovi setting di apprendimento (Fiorin, 2016).

Si viene così a creare un ponte tra le discipline come Educazione Civica, Scienze, Geografia, ma anche Storia e Letteratura, le quali ben si adattano a progetti di questo tipo che concretizzano il sempre più sponsorizzato learning by doing. Un autore, un filosofo, un poeta, un teorema, non saranno più parte di un insegnamento freddo e sterile, ma troveranno riscontro nella realtà concreta, nella vita quotidiana di ogni singolo studente, promuovendo la motivazione ad apprendere, la curiosità verso qualcosa che non è più distante, ma è proprio perché sa di casa e di famiglia.

Conclusioni

Per concludere, dunque, nell’epoca di forti ambivalenze e digitalizzazione dei rapporti in cui viviamo, per far fronte alle sempre attuali povertà educative – alquanto paradossali in un mondo nel quale la conoscenza è diffusa e molto più accessibile di un tempo e lo sviluppo tecnologico offre opportunità un tempo inimmaginabili – è doveroso mettere in campo nuovi e più coinvolgenti modi di fare lezione che superano il modello trasmissivo e adottano modelli aperti di didattica attiva, la quale rende lo studente protagonista e co-costruttore del sapere, favorendo così un apprendimento continuo e significativo e una responsabilità sociale nei confronti della comunità. È in quest’ottica che il museo assume un volto nuovo come istituzione, ma anche come spazio di cultura popolare e come ambiente di apprendimento significativo.

Come indicato in diversi documenti nazionali o dall’OMS nel documento sulle Life Skills, è necessario utilizzare le possibilità di fruizione delle nuove metodologie didattiche innovative e partecipative, e le opportunità offerte dalle ICT e dai linguaggi digitali per cambiare gli ambienti di apprendimento e offrire e alimentare una galleria delle idee per l’innovazione che nasce dall’esperienza delle singole scuole. Per attuare ciò, è doveroso fare rete tra scuola, università e territorio e avviare percorsi di formazione rivolti a figure coinvolte in contesti educativi, primi fra tutti docenti e operatori ed esperti museali, i quali sappiano rendere sempre più accessibili le loro risorse online e offline.

Si avverte, inoltre, sempre più la necessità di formare docenti 3.0 che sappiano trasformare la lezione in una grande e continua attività laboratoriale avvalendosi anche dell’utilizzo delle nuove tecnologie per la didattica e la comunicazione culturale; docenti che sappiano trasformare le loro attività didattiche in momenti di incontro e confronto tra persone e culture. È attraverso l’apprendimento attivo – che sfrutta materiali d’apprendimento aperti e riutilizzabili, simulazioni, esperimenti hands-on, giochi didattici, compiti di realtà e così via – che s’impara, facendo e sbagliando.

Note

[1] Paolo D’Angelo (2001, p. 185) così descrive le antinomie che oppongono la Land Art agli interventi di Arte nella Natura in Estetica della natura: bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale: “non opere gigantesche ma interventi lievi e talvolta quasi invisibili, spesso del tutto transitori. Non uso di macchine e maestranze ma impiego del solo corpo umano, del corpo dell’artista stesso direttamente impegnato nell’azione nella natura. Non impiego di materiali estranei e industriali ma rigorosa utilizzazione di materiali naturali, spesso raccolti nel luogo stesso dell’azione. Non progetti adattabili a qualsiasi ambiente, ma interventi ispirati e guidati dalla natura dei luoghi, pensati esclusivamente per un ambiente specifico”.

Riferimenti bibliografici

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Poce A. (a cura di), Educational research in museum settings: methodologies, tools and functions. La ricerca empirica al museo: metodologie, strumenti e funzioni, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2020.

Le autrici

Valentina Berardinetti è dottoranda di ricerca in Learning Sciences and Digital Technologies presso l’Università di Foggia, dove in precedenza ha conseguito la Laurea Magistrale in Filologia, Letterature e Storia nel 2020 e la Specializzazione per le Attività di Sostegno nella Scuola secondaria di II grado nel 2022. Attualmente i suoi interessi di ricerca vertono sulla formazione insegnanti e sulla sperimentazione di nuove metodologie e strategie didattiche. In particolare, i campi maggiormente indagati sono quelli relativi alla didattica museale e al Service Learning.

Giusi Antonia Toto è docente ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Foggia, coordinatrice del centro di ricerca Learning Science hub e delegata del Rettore alla Formazione insegnanti e Formazione continua. I suoi interessi di ricerca si concentrano su abilità cognitive, metodologie didattiche e consumo sociale delle tecnologie; da anni focalizza le sue ricerche sul rapporto tra apprendimento e media digitali e sulle ripercussioni psicopedagogiche di tale rapporto, prestando particolare attenzione all’empowerment dei soggetti con disabilità, nonché all’inclusione sociale e lavorativa degli stessi. Tra i suoi saggi più recenti, ricordiamo Percezioni di efficacia e sviluppo professionale dei docenti e La speciale psicopedagogia di Vygotskij (Bari 2021).