Sollecitare l’immaginazione pedagogica: "La scuola moderna" di Célestin Freinet | Stimulating the pedagogical imagination: "The modern school" of Célestin Freinet
PDF: DOI 10.5281/zenodo.7574130
A settanta anni dalla sua fondazione, il Movimento di Cooperazione Educativa ripubblica La scuola moderna. Guida pratica per l’organizzazione materiale tecnica e pedagogica della scuola popolare (Asterios, 2022), una delle opere più importanti di Célestin Freinet, che ha iniziato a scriverla durante la prigionia nel campo di concentramento di Saint-Sulpice-du-Tarn e l’ha conclusa nel 1943 a Vallouise dove era impegnato nella Resistenza.
Come spiega il traduttore Enrico Bottero, l’aggettivo “moderna”, ripreso dall’educatore repubblicano spagnolo Francisco Ferrer, è utilizzato da Freinet con l’intento di distinguere la sua proposta da alcune esperienze di educazione attiva, da lui giudicate intellettualistiche ed elitarie. Allo stesso tempo, l’aggettivo rispecchia il proposito dell’autore di mostrare come funziona in pratica una scuola capace di rispondere alle esigenze del suo tempo. In questo senso, la parte più interessante del libro è l’ultima, in cui Freinet si addentra nell’analisi della vita e dell’organizzazione comunitaria di una classe, di cui è coordinatore e partecipante. Per l’educatore francese, è bene chiarirlo, una scuola che rispecchia il sistema economico, sociale e politico è una scuola che mira alla formazione “della nuova società popolare” (Freinet, 2022, p. 62), rispondendo alle aspirazioni di cambiamento di un proletariato impegnato nella scoperta del suo ruolo storico e umano.
Il libro, infatti, è attraversato da un genuino spirito anticapitalista; soprattutto dalla rivendicazione di una differenza irriducibile tra i principi e il modus operandi dell’educazione e del capitalismo. Una simile consapevolezza interroga profondamente la nostra scuola, che negli ultimi due decenni ha identificato nelle istituzioni del capitalismo un modello cui ispirarsi, adottandone il lessico economico-finanziario con entusiasmo o nel migliore dei casi con ingenuità. Freinet afferma per esempio: “genitori e società, padri naturali della scuola pubblica, sfortunatamente ragionano troppo spesso come il capitalista interessato. Per la maggior parte dei genitori ciò che conta non è la formazione, l’arricchimento profondo della personalità dei figli, ma l’istruzione sufficiente ad affrontare gli esami, per occupare posti desiderati, entrare nella tale scuola o avere un posto in una certa amministrazione” (ivi, p. 24). E più avanti: “è proprio contro questa visione pedagogica che noi protestiamo, contro l’anomala separazione tra l’aula (destinata ai soli lavori intellettuali) e il laboratorio attivo. Questa separazione prepara la divisione sociale tra i lavoratori manuali, destinati a una vita mediocre, e una classe intellettuale, tanto presuntuosa quanto sterile” (ivi, p. 62).
Nella nota iniziale, l’autore dichiara il carattere fondamentalmente pratico della guida, rimandando ad altri libri per le considerazioni teoriche. Si tratta di un’avvertenza in parte contraddetta: lo scritto ha senz’altro una natura esperienziale e operativa ma è anche denso di principi pedagogici. Le tecniche, infatti, sono costantemente messe in relazione alle finalità educative – come chiarisce Anna D’Auria nella prefazione, affermando che ogni tecnica è portatrice di una stessa filosofia soggiacente, per questo ha un carattere politico e sovversivo. Da qui deriva la centralità del contesto di apprendimento, che nella concezione di Freinet dev’essere il più possibile vicino e integrato all’ambiente naturale, organizzato ma anche aperto all’autonoma iniziativa di bambini e bambine, stimolante e ricco, funzionale a rendere la scuola “un laboratorio di lavoro comunitario” (ivi, p. 60), in cui “il maestro smette di essere il ‘capo’ e diventa sempre un consigliere e un aiutante” (ivi, p. 61).
Si tratta di riflessioni stimolanti in un momento in cui il dibattito sulla scuola appare polarizzato tra i fautori dei contenuti e i sostenitori delle metodologie. Le derive di questa sterile contrapposizione sono, da una parte, il vagheggiato ideale di un docente solitario protagonista di una performance d’eccellenza, in cui gli studenti sono ridotti tutt’al più al ruolo di affascinati spettatori; dall’altra, l’applicazione entusiastica quanto acritica di sequenze di azioni, che nel complesso costituirebbero metodologie nuove e innovative quasi sempre dai nomi inglesi. Il libro scardina questa contrapposizione mostrando che l’avventura della conoscenza è sempre una creazione comune, che non può prescindere da interrogativi essenziali sul come e sul perché. Scrive, ad esempio, Freinet: “l’efficienza intellettuale, morale e sociale della vostra educazione non è solo condizionata, come ci hanno fatto credere per troppo tempo, dalla personalità dell’educatore o dal potere magico di un metodo” (ivi, p. 96).
Il nucleo del testo può essere ricondotto a queste parole: “noi offriamo: - un materiale che abbiamo messo a punto e che gli educatori potranno costruire in parte da soli, migliorandolo e adattandolo alle loro esigenze, purché si ispirino ai principi essenziali che abbiamo messo in evidenza” (ivi, p. 55). Dunque la proposta metodologica di Freinet è aperta, deve essere reinventata e arricchita costantemente nel collettivo educativo in base alle sue esigenze, fermi restando alcuni imprescindibili orientamenti. Tra questi c’è in posizione centrale la cooperazione, descritta nella prefazione come “il presupposto valoriale e organizzativo di tutte le altre tecniche” (ivi, p. 10).
In questa direzione, Freinet critica chi si arrocca nelle routine educative ma anche coloro che restano troppo affezionati a una teoria. Il suo ideale è “una scienza figlia dell’esperienza” (ivi, p. 62). Afferma per esempio:
Quando l’esperienza ci sembra non quadrare del tutto con l’idea pedagogica, allora torniamo sempre alla prova della pratica. Sarà quest’ultima a decidere in via definitiva: fondandoci su di essa abbandoneremo i tentativi non riusciti, anche se altrove fossero indicati come una panacea; a partire dalla pratica oseremo realizzare pratiche che meraviglieranno prima di tutto i teorici. Un giorno essi si dovranno arrendere all’evidenza dei fatti. Ecco il nostro pedigree pedagogico. Per la sua evoluzione il processo è perfettamente conforme alle vere regole della ricerca scientifica come l’ha definita Claude Bernard: noi partiamo dalla vita, dalle esperienze stesse della vita, senza ignorare nulla delle teorie e dei principi capaci di influenzare e aiutare i nostri tentativi. Facciamo nascere la nuova organizzazione dalla realtà quotidiana (ivi, p. 57).
La scuola moderna è un libro che sollecita l’immaginazione pedagogica. Leggendolo si è portati a chiedersi: come posso reinventare questa ispirazione insieme agli altri con cui concretamente lavoro, alla luce dei limiti e delle opportunità con cui ci misuriamo? È dunque uno scritto vitale – per usare un aggettivo ricorrente nel testo e caro a Freinet – nel senso che è vicino alla vita e mira a potenziarla.
Mariateresa Muraca, dal 2020 ricercatrice postdoc presso l’Universidade do Estado do Pará (in Brasile) con la ricerca “Promuovere la giustizia sociale ed epistemica in aree geopoliticamente complesse”, finanziata dalla CAPES (Coordenadoria de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior). Dal 2018 svolge incarichi di insegnamento presso l’Istituto Universitario Pratesi (docente stabilizzata) e l’Istituto Universitario Progetto Uomo (docente invitata). Ha svolto esperienze di formazione e ricerca in Italia, Guatemala, Mozambico e Brasile. Autrice del libro Educazione e movimenti sociali (Mimesis, 2019), del manuale didattico per i licei delle Scienze Umane I colori della pedagogia (Giunti TVP e Treccani, 2020) e di numerosi articoli scientifici. Fa parte di diverse comunità di impegno e riflessione, tra cui la comunità filosofica femminile Diotima e la Rete nazionale Freire-Boal. Dal 2020 è co-direttrice scientifica di “Educazione Aperta”.