Scrivere insieme per costruire il noi e partecipare con gli altri. A colloquio con Sonia Sorgato | Writing together to build the “us” and participate with others. A conversation with Sonia Sorgato

Sonia Sorgato è un’insegnante di scuola primaria di Milano, lavora da vent’anni ed è di ruolo da sedici. Si laurea in Scienze della formazione primaria nel 2002 – tra le prime laureate, ricorda, di un corso iniziato nel 1998 con un grande investimento e coinvolgimento da parte dei docenti della Bicocca di Milano. Tutto inizia lì, in quelle aule. Poi si occupa di lingua dei segni, di sordità, facendo l’insegnante di sostegno per sette anni. Passa all’insegnamento su posto comune rimanendo in contatto con l’Università, come conduttrice di laboratori per didattica della matematica. Negli ultimi anni si iscrive al MCE, quando viene ricostituito il gruppo territoriale di Milano, diventandone un’attivista. Fa parte del gruppo di creazioni matematiche del MCE e del gruppo che si occupa di valutazione.

Cosa vuol dire oggi insegnare con le tecniche Freinet?

Mi sono avvicinata alle tecniche Freinet a partire dalla didattica della letto-scrittura; ho seguito il corso della professoressa Lilia Andrea Teruggi, che porta avanti il lavoro sulla scrittura spontanea facendo diretto riferimento al testo libero. I tentativi di portare a scuola concretamente questo lavoro sono legati anche a un secondo incontro, quello con MCE e con Enrico Bottero, perché con lui ho incontrato la bibliografia scientifica che mi ha permesso di conoscere e sperimentare i brevetti e il piano di lavoro. Da qui parte la collaborazione per introdurre queste tecniche nella mia scuola con il gruppo di insegnanti.

Per me, oggi, lavorare con le tecniche significa innanzitutto orientare tutta la progettazione con un forte riferimento alle Indicazioni nazionali, riempiendo di senso tutte le pratiche che vengono proposte a scuola. La cosa fondamentale è che tutte le pratiche, anche quelle esecutive che possono essere vissute come qualcosa di più fittizio da proporre ai bambini, in realtà assumono un senso all’interno della pedagogia popolare, considerandola come un sistema. La mia esperienza, insieme alla collega, è stata quella di assumere di anno in anno tutto l’impianto della pedagogia freinetiana, anche raccogliendo delle osservazioni molto diverse rispetto a quelle che raccoglievamo nei cicli precedenti che non avevano un orientamento di questo tipo.

C’è dietro molto lavoro di documentazione.

Il ruolo della documentazione è importante per due motivi fondamentali: da una parte questa è la testimonianza di un processo, dall’altra senza la documentazione non si può progettare. Tenere traccia della documentazione dei bambini, significa progettare revisionando in base alle necessità di quel gruppo.

Questo serve molto a dare senso alle pratiche di scrittura dentro le nostre scuole. Penso al dettato: nella vita adulta noi non lo pratichiamo più, allora quale valenza può avere il dettato dentro la scuola? A mio avviso nessuna, se non quella di individuare e sanzionare gli errori. Le pratiche Freinet assegnano una motivazione e senso reale alla prestazione degli alunni. E questo è più coerente anche con i traguardi di competenza e con il processo di autovalutazione: tutto il sistema delle tecniche Freinet è rivolto alla possibilità del bambino di autoregolarsi, di autovalutare i propri apprendimenti.

Quanto tempo dedicate alla scrittura?

Noi dedichiamo molto tempo alla scrittura, in genere ogni giorno: c’è sempre qualcosa su cui scrivere. I complessi d’interesse che emergono da ogni corrispondenza attivata sono tanti, i bambini sono passati in questo ciclo da una scrittura collettiva, ad una scrittura individuale questo perché anche in loro è cresciuto l’interesse di scrivere più cose da sé, di attivare delle relazioni “intime” con altri bambini, in un rapporto uno a uno.

Con il testo libero noi iniziamo in prima. Dopo aver lavorato sulla scrittura spontanea, e a partire dalle loro scritture spontanee, iniziamo un lavoro di sistematizzazione e decodifica dei loro interessi. Dalla seconda iniziamo a scrivere per e con gli altri, introducendo la corrispondenza con la classe della Scuola dell’infanzia. Ogni mese ci inviamo delle corrispondenze sulle attività che riguardano le creazioni matematiche realizzate in settimana. I miei alunni imparano a scrivere sulle loro impressioni e emozioni, delle creazioni realizzate. Pian piano, il testo libero, assume una configurazione sociale, il cui tentativo è quello di costruire relazioni con l’esterno che si traducono in una costruzione di significati condivisi.

I bambini, in questo modo, sono innanzitutto più motivati ad acquisire competenze sintattiche, ortografiche e grammaticali sempre più corrette. Questo perché lo scrivono per gli altri e vogliono che gli altri siano in grado di leggerli, senza fraintendimenti: non vuol dire non fare errori, gli errori servono per mettersi in gioco e correggere via via il tiro attraverso le revisioni collettive. Dal punto di vista comunicativo, mi sembra che siano bambini molto competenti rispetto alla struttura formale dei testi. Un esempio che posso raccontare è di quando i bambini hanno scritto al presidente Mattarella; lì hanno sperimentato e compreso un registro di scrittura molto formale rispetto alle lettere scritte con lo stesso contenuto al sindaco di Milano, alla nostra preside, ad altre classi, ad altri insegnanti e perfino al nostro edicolante di quartiere. I bambini compartecipano a un pensiero, sperimentano momenti di libertà espressiva ma anche di costruzione democratica del sé e del noi. Questo crea identità di gruppo e partecipazione all’esterno.

Questa serie di interviste raccolte e curate da Margherita Dolce accompagna sul blog l’uscita del numero 11 di “Educazione aperta”, con una sezione Primopiano sul tema Quale cooperazione digitale? Si tratta di educatrici ed educatori che hanno avuto occasione di riflettere in profondità sul rapporto fra cooperazione e tecnologia. Oggi nel linguaggio comune si tende a usare la parola “tecnologia” con riferimento alle sole tecnologie digitali ma questa abitudine aumenta la confusione, facendo dimenticare che fin dalle origini della scuola ogni didattica è chiamata a prendere posizione sulle sue condizioni tecnologiche. Questa riflessione è stata arricchita, nell’esperienza dei cinque insegnanti intervistati, dall’incontro con il Movimento di cooperazione educativa. Il MCE fa parte del movimento internazionale che si ispira alla pedagogia di Célestin Freinet ed è stato ed è al centro di due anniversari consecutivi: nel 2021 i settant’anni dalla fondazione, nel 2022 il centenario di Mario Lodi che ne è probabilmente il nome più conosciuto. Nella storia della pedagogia e della scuola italiana non c’è stata una riflessione collettiva più specifica di quella del MCE sul rapporto fra la qualità delle relazioni fra alunni e insegnanti, le dimensioni materiali e organizzative delle procedure che danno corpo al lavoro scolastico e la possibilità di orientarle in senso democratico.

Margherita Dolce, nata a Palermo nel 1988, si laurea a Palermo come Educatrice della prima infanzia e poi in Scienze della formazione continua. Oggi sta per conseguire la laurea in Scienze della formazione primaria alla LUMSA. Lavora prima come pedagogista presso una comunità per minori stranieri non accompagnati, poi dal 2015, come educatrice presso le scuole dell’Infanzia della cooperativa Pueri di Palermo.