Riflessioni sul "concorso a preside" | Reflections on the "principal competition"
Debbo precisare in premessa che ho partecipato con successo al “Concorso-corso per Dirigente scolastico” bandito nel 2017 – conseguendo un punteggio alto sia nella prova scritta che in quella orale -, pertanto il lettore dovrà fare la tara sulle mie considerazioni al riguardo, che cerco di esprimere in termini pacati e argomentativi e con metodo scientifico, ma il conflitto d’interesse psicologico può annidarsi da qualche parte che vedrete voi. Eventualmente segnalate nei commenti.
La prima considerazione è quasi ovvia. Un concorso è uno strumento che serve a selezionare un numero definito di persone per coprire un limitato numero di posti, a fronte di un numero di domande superiori al numero di posti stesso. Il concorso verifica anche i requisiti culturali, tecnici e professionali dei candidati e, almeno teoricamente, potrebbe addirittura concludersi con un numero di vincitori inferiori al fabbisogno. Accade in diversi settori dove si ricercano profili molto particolari. Si tratta, in buona sostanza, di una gara nella quale i partecipanti competono, anche se, nell’itinere, possono collaborare. È successo spesso sia “in presenza” (gruppi di studio o coppie di candidati che si sono supportati reciprocamente, frequenza di corsi erogati da enti, sindacati, associazioni), che in quello “social” (gruppi di candidati reciprocamente sconosciuti che si scambiano materiali, domande, informazioni per la propria formazione in ambienti telematici, in particolare su Facebook; personalmente mi è capitato di collaborare alla supervisione di un capitolo di un libro autoprodotto da un gruppo di corsisti).
Al netto delle legittime scelte individuali sulla propria strategia formativa prodromo delle prove concorsuali, la natura del concorso resta di tipo competitivo dove non si può dire “mors tua vita mea” perché i posti sono complessivamente numerosi (quindi possiamo sopravvivere entrambi), ma dove complessivamente ci saranno dei “vincitori di concorso” e delle persone che non risulteranno tra i vincitori.
Esprimo una prima considerazione sui rumors che emergono dai social su queste tematiche. In un mondo ideale, composto solo da persone intellettualmente oneste, i commenti ad una procedura concorsuale sarebbero tecnici, ma nel mondo reale ci sono investimenti emotivi significativi da parte dei concorsisti e, a fronte di 2910 vincitori, ci sono state 3795 persone che hanno superato la prova scritta, 8736 persone che hanno superato la preselettiva (diventate 9.376 per l’aggiunta di ricorsisti, spesso decaduti quando la magistratura è entrata nel merito), 24.447 che hanno partecipato alla preselettiva e 34.580 che hanno fatto domanda. Facendo delle semplici sottrazioni si rileva il fatto che i numeri delle persone coinvolte (al netto di alcune scelte arbitrarie, ma che non inficiano il dato relativo agli ordini di grandezza che emergono e sono sufficientemente significativi) sono i seguenti:
- 2.910 vincitori.
- 885 che sono giunti all’orale, non risultando vincitori (alcuni non hanno superato l’orale, altri non sono collocati in posizione utile, nel momento in cui scrivo, il dato non è ancora definitivo).
- 5.581 persone non hanno superato la prova scritta, avendo superato la prova preselettiva.
- 15.071 persone non hanno superato la preselettiva, essendosi presentati alla prova medesima.
- 10.133 non si sono presentati alla prova preselettiva, pur essendosi iscritti.
- Più di settecentomila insegnanti non hanno presentato domanda.
In un Paese intellettualmente disonesto, le persone nel primo gruppo parlano bene a prescindere della prova concorsuale, mettendo in evidenza quanto tali prove fossero appropriate e consone e quanto loro siano meritevoli di averle superate grazie ad uno studio matto e disperatissimo, grazie ad un ricco ventaglio di esperienze attinenti, alla vocazione persino.
Quelle nel secondo gruppo che sono state promosse all’orale, ma non in posizione utile, lamentano generalmente l’arbitrarietà del punteggio assegnato nelle griglie di valutazione ritenendo che i criteri di attribuzione non siano sufficientemente stringenti allo scritto o all’orale, che i punteggi sui titoli erano poco consoni, mancando di valorizzare quanto da loro svolto effettivamente a scuola e denunciano la disparità dello spettro valutativo delle diverse commissioni, oltre a probabili accanimenti nell’orale non gestito in maniera serena. Chiederanno infine di validare la graduatoria degli “idonei” e saranno anche accontentati perché i concorsi sono fatti con cadenza indecente e quindi meglio un idoneo oggi che un vincitore tra cinque anni. Quelle nel secondo gruppo che non sono state promosse, lamentano dell’arbitrarietà dei quesiti proposti all’orale, di commissioni disoneste, anche quando si tratti di imprecisioni formali, di errori di valutazione, del fatto che le domande poste da diverse commissioni fossero spesso tanto diverse (c’è da domandarsi cosa direbbero se fossero simili).
Quelli del terzo gruppo lamentano le varietà dei risultati emersi dalle singole commissioni e, di conseguenza, del diverso numero di idonei sopravvissuti alle forche caudine di commissari bizzosi e arbitrari, spesso impreparati sulle tematiche scolastiche e spesso correttori frettolosi e poco attenti. Ho letto anche di concorsisti che lamentavano di correzioni notturne inopportune (io correggo spesso compiti in classe in tarda serata, ma dovrò cambiare abitudini). Un sottoinsieme di questo gruppo lamenta l’eccessiva ingerenza della lingua straniera nella prova di esame, sostanzialmente rivendicando la propria ignoranza, vestendola di una certa pragmatica: “Ma a cosa serve ad un preside conoscere l’inglese?”. Quando nella mia scuola abbiamo ospitato insegnanti e studenti di altri cinque Paesi per un progetto Erasmus+, mi sono fatto un’idea della risposta quando la dirigente ha parlato in italiano, facendosi tradurre dalla collega di lingua, ad esempio.
Quelli del quarto gruppo parlano dell’arbitrarietà dei quesiti troppo mnemonici e slegati dal profilo del Dirigente Scolastico per il quale occorrono ben altre prove. Naturalmente quelli del terzo gruppo con punteggi alti nella valutazione della preselettiva incalzano informando che è l’unica oggettiva, mentre le griglie di valutazione compilate dalle commissioni del tutto arbitrarie. Tra questi, numerosi sono i detrattori delle prove INVALSI, ma fare l’avvocato di se stessi purchessia conduce a contraddittorietà inevitabili.
Quelli del quinto gruppo lamentano della scelta della data che cozza contro le legittime e agognate ferie estive.
In un Paese intellettualmente onesto, le persone del primo gruppo scrivono articoli come questo, se ne hanno il tempo[1], o tacciono evitando confronti che li metterebbero in contrapposizione col lato emotivo e irrazionale delle persone, preferendo riguardarsi. Le persone del secondo gruppo fanno i conti e prendono atto, quelle del terzo evidenziano eventuali problemi tecnici sopportati, quelle del quarto e del quinto riconoscono di avere dedicato poco tempo alla preparazione o che quella necessaria non trovasse accordo con il proprio stile cognitivo. Tutti riconoscono un certo livello di arbitrarietà, che voglio affrontare, anche se raramente hanno tempo o voglia di riflettere e proporre alternative (molte delle quali, se implementate, incontrerebbero opposizioni di varia natura che non annullerebbero le contestazioni, semplicemente produrrebbero argomentazioni diverse ad opponendum).
Lascio al lettore la stima del tasso di onestà intellettuale di ciascun gruppo, rilevo tuttavia che la disparità delle forze in campo produce una quantità di argomentazioni asimmetriche e se non si entra nel merito delle questioni, la linea di tendenza sarà schiacciata sugli stakeholder maggiormente presenti e attivi (che sono quelli interessati a rovesciare il tavolo).
Spesso il dibattito si focalizza su questioni etiche “cosa è giusto”, trascurando gli aspetti pratici del “cosa si può fare”. A titolo di esempio, è necessario prendere atto del fatto che la prova preselettiva ha sostanzialmente il mero scopo di potare un numero di concorrenti troppo alto e che per abbassarlo occorrono politiche a monte (ad esempio l’implementazione della carriera dei docenti, o la limitazione dei tentativi come in magistratura, o l’indizione di concorsi almeno biennali cioè regolari e certi). A mio parere, alla preselettiva potrebbe essere affiancato un canale alternativo che valuti i titoli, consentendo di saltarla al raggiungimento di una certa soglia. Naturalmente diventerebbe assai delicato elencarli e dare loro dei pesi, ma tenendo per buoni quelli del bando corrente, un punteggio di 20/30 parrebbe consono (ne ho avuti di meno, almeno a questo giro, per evitare possibili critiche nel segno di “Cicero pro domo sua”). A mio modesto parere, tale soglia dovrebbe anche essere mobile, quindi legata all’età del concorrente, perché è evidente il fatto che un trentenne non ha avuto il tempo materiale di soddisfare tutte le voci. Chiamo questo principio: “equità intergenerazionale”.
Penso sia utile esplicitare una esperienza personale che mette in luce il fatto che diversi sistemi di selezione producono risultati assai diversi. Ho partecipato al concorso di accesso all’abilitazione in Tecnologie presso la SSIS di Genova (ormai più di dieci anni fa) alla caccia di un punteggio aggiuntivo per scalare le graduatorie ad esaurimento (allora ancora “permanenti”). La prova, svolta ad Architettura, fu per me fallimentare perché sono ingegnere elettronico e si trattava di fare disegni tecnici con diversi tipi di prospettiva che non sono stati oggetto di approfondimento nel mio corso di studi (transistor e PLC). Passarono ovviamente molti architetti (che non saprebbero programmare un cancello ad apertura automatica, né programmare[2]). Partecipai ad un’altra selezione per il TFA per la stessa materia presso il Politecnico di Milano. Su quasi un migliaio di partecipanti mi qualificai in 48ma posizione. Lo scritto, passato da un numero esiguo di persone (a memoria, meno di cento) consisteva in quattro temi su argomenti vari da scrivere in quattro ore. Siccome sono un intellettuale e scrivo con una certa fluidità, quella prova fu per me un successo. Non già perché sono ingegnere elettronico, ma perché so scrivere. Infine, nel corso dello stesso anno, lo Stato bandì il concorso a cattedra su quella materia e ho potuto accedervi in virtù dell’anzianità della mia laurea (e del valore legale del titolo di studio conseguente). Questa volta i quesiti dovevano essere affrontati in 21 righe e di conseguenza occorreva il dono della sintesi. Era necessario prendere almeno 7/10 su ciascuno dei quesiti e conseguii 6 punti su un argomento sul quale stavo frequentando un dottorato di ricerca. Tutto questo per dire che i risultati dipendono necessariamente dal sistema di filtro e che raramente questi possono tenere conto di effettive capacità sul campo perché valutano sempre aspetti marginali (sapere fare un disegno tecnico, scrivere bene, ma saprò insegnare a disegnare? Saprò insegnare le tecnologie?).
Dobbiamo quindi arrenderci all’arbitrarietà? Ho qualche proposta.
Sul tema dell’eterogeneità delle valutazioni dello scritto mi pare di poter dire che potrebbe essere affrontata in diversi modi, anche se non sono sicuro che, a fronte della fragilità giuridica delle condizioni al contorno, tali modalità scientificamente accreditate non troverebbero opposizioni facili in una magistratura che si è trovata ad esprimere sentenze entro campi manifestamente infondati come ad esempio la questione della correlazione tra vaccini ed autismo. Le recenti sentenze che hanno riconosciuto la discrezionalità della pubblica amministrazione nel definire le soglie di passaggio alla preselettiva (dipendente dai risultati dei concorsisti, non prefissata come nel concorso del 2012) mi fanno comunque ben sperare.
Le mie proposte sono sostanzialmente le seguenti. In linea pragmatica, direi che i quesiti dello scritto potrebbero essere assegnati a diverse commissioni specializzate. Il quesito 1 alla commissione A composta da specialisti dei temi del quesito 1 presi nelle diverse commissioni (0, 1… 37), il quesito 2 alla commissione B e così via. Stanti i numeri, potrebbero essere più di una “inter-commissione” a lavorare su un singolo quesito e un correttivo alla molteplicità delle commissioni giudicanti, sia quelle del tipo appena illustrato che a quelle classiche, lo propongo a breve.
La proposta pragmatica di certo pota le argomentazioni contro una eccessiva arbitrarietà delle valutazioni, ma penso che tutti gli insegnanti sappiano che un tasso di aleatorietà permane. A me è capitato di correggere compiti in classe in giorni diversi e di adottare criteri lievemente diversi, poi legittimamente contestati dagli studenti. Da allora cerco di correggere un compito in un unico pomeriggio, ma non è sempre possibile.
Mantenendo il sistema attuale, per omogeneizzare le valutazioni delle diverse commissioni esistono algoritmi ai quali attingere nel campo della teoria dei giochi. Questi consentono, grazie alla ridondanza, di ridefinire le valutazioni mettendole in relazione tra loro. Faccio un esempio: le commissioni hanno corretto dei compiti e si rileva un diverso tasso di ammessi/respinti. Si somministra la ri-correzione alle commissioni più severe di alcuni compiti delle commissioni più permissive, e viceversa e si tarano le valutazione di tutti i compiti di conseguenza (anche quelli corretti una sola volta). Si somministrano i quesiti anche alle “commissioni più equilibrate” per dare più equilibrio alle valutazioni estreme. L’algoritmo propone un numero di ri-correzioni opportuno, cioè quello che raggiunge una certa stabilità negli aggiustamenti dei voti degli altri a seguito di una nuova correzione di un insieme opportunamente selezionato di prove[3]. Eventuali “accessi agli atti” sarebbero molto difficili, senza la pubblicazione dei criteri dell’algoritmo e dell’algoritmo medesimo il cui codice dovrebbe essere “aperto”, perché il punteggio sarebbe attribuito dall’algoritmo con metodi statistico inferenziali e assegnato ai concorsisti[4]. Faccio notare come la definizione di questo algoritmo è delicata e ciò che il mondo reale ci proporrebbe non sono solo ricalibrazioni ovvie, ma anche quelle inaspettate. Un esempio di ricorrezione ovvia fornisce questo risultato: Tizio corregge alfa e beta assegnando punteggi alti e dando ad alfa un punteggio maggiore di beta. Caio corregge alfa e beta assegnando punteggi bassi e dando ad alfa un punteggio maggiore di beta. La relazione tra alfa e beta è la stessa, si attribuisce ad alfa e a beta la media dei punteggi e si ricalibrano gli altri di conseguenza (anche gamma, delta ed epsilon, non ricorretti). Può tuttavia succedere che Tizio corregga alfa e beta dando ad alfa un punteggio maggiore di beta. Caio corregge alfa e beta, ma il punteggio di beta è maggiore di quello di alfa. Quando succedono queste situazioni difficili, normalmente l’algoritmo propone i compiti di alfa e beta anche alla commissione C, ad esempio. Questa contraddittorietà fornisce informazioni riguardo alla varianza dell’accuratezza del valore stimato del voto che verrà presa come parametro di convergenza dell’algoritmo. In altre parole, la condizione di stop dell’algoritmo sarà determinata da una bassa varianza, in particolare nel contesto delle prove immediatamente sopra e sotto la soglia di passaggio della prova medesima.
Questa modalità può essere adottata anche con le inter-commissioni che lavorino su un solo quesito, come sopra illustrato, selezionando commissari competenti sul quesito.
Sul tema della prova orale, a chi lamenta dei quesiti troppo diversi, temo bisognerebbe chiedere cosa succederebbe se i quesiti fossero invece molto simili. Mi pare chiaro che ci siano evidenti differenze tra la competenze di ciascuna commissione legata alle persone materialmente individuate. Personalmente ho studiato i curricula dei commissari per orientare la mia preparazione nell’ultimo mese. Gli ingegneri chiamano questa tecnica “overfitting” perché cerca di soddisfare al meglio le richieste di quella specifica commissione, eventualmente trascurando competenze che la medesima non è in grado di rilevare.
Restano da affrontare le questioni legali sulle quali mi soffermerò poco perché preferisco non invadere ambiti nei quali rischierei di fare brutte figure. La prima argomentazione dei ricorsisti è legata alla prova scritta avvenuta in due tempi a causa di un’allerta rossa in Sardegna. A mio modesto parere, mi sentirei di dire che le persone danneggiate dalla doppia data siano quelle vincitrici della prima, in quanto hanno superato regolarmente la prova e si sono visti raggiunti da persone che hanno avuto più tempo per studiare. Pare quindi illogico che a lamentarsi sia chi ha fallito la prova (beninteso, illogico e indecente nel caso in cui a lamentarsi siano i concorsisti che hanno affrontato la prova in Sardegna). Non mi è chiaro, invero, perché non è emersa analoga critica per la prova orale dove abbiamo concorrenti passati il 21 di maggio e altri passati l’11 luglio. Perché la prima disparità sarebbe inaccettabile, mentre la seconda no, onestamente mi sfugge.
Su un piano generale, mi pare parimenti degno di considerazione il mondo reale. In primis per il fatto che un bando per 2900 dirigenti, quando ci sono 8000 scuole, significa che la situazione sul territorio copre lo spettro che va dal grave al drammatico. Sul piano individuale, tuttavia, mi sento di dire che sarebbe sbagliato annullare per tutti una prova per la quale ci siamo preparati focalizzando gli sforzi su quella scadenza, perché uno spostamento avrebbe avuto effetti negativi su molti concorrenti (e positivi su altri, senza merito né diritto) perché non è vero che allungare i tempi giovi sempre e a chiunque. Si chieda ad un maratoneta, ad un pugile o ad un body builder cosa direbbe se la gara fosse spostata di una settimana, con informazione data all’ultimo minuto. Naturalmente alla gara, poi, qualcuno vincerà, ma qualcuno avrà vinto grazie a questo squilibrio.
A mio modesto parere, in conclusione, si può dire che anche per l’Amministrazione vale il detto “nemo ad impossibilia tenetur” e quindi lo spostamento della data sarda, causata da un’allerta rossa climatica, è un male necessario, dettato dal fatto che viviamo in un mondo reale nel quale possono avvenire terremoti, maremoti, epidemie, surriscaldamento, inquinamento e altre piaghe che spesso bellamente ignoriamo, ma che non è prudente fare.
Per quel che riguarda la prova orale, mi pare che manchi di un elemento che è quello psicoattitudinale che invoco anche per i concorsi per docenti. Molto spesso, noi docenti, ci siamo chiesti come questo o quel dirigente, manifestamente non centrato sul ruolo, fosse stato selezionato. E vale la stessa cosa per questo o quel docente incapace di gestire un gruppo di bambini o di adolescenti. Parimenti mi sembrerebbe assai necessario che i concorsisti preparino e presentino alle commissioni un proprio curriculum che andrà letto anche alla luce dell’età dei partecipanti.
A mio modesto parere, tra i commissari, in particolare i presidenti di commissione, dovrebbero esserci figure universitarie maggiormente profilate. Non un docente universitario purchessia, ma un docente universitario di Scienze della Formazione o che abbia svolto ricerca nell’ambito scolastico. Non mi sfugge il fatto che sia stato molto difficile reperire docenti universitari disponibili a svolgere questo ruolo, ma come i dirigenti scolastici sono tenuti a svolgere il ruolo di presidente di commissione all’esame di Stato, così i docenti di Scienze della Formazione potrebbero essere costretti de iure a fare la stessa cosa.
Sempre a mio modesto parere è difficile convincere un dirigente scolastico a leggere le linee guida sull’inclusione scolastica e ad attivarsi per realizzarle se non è già consapevole a monte delle questioni sottese e se un difetto questo concorso ha avuto, è che è stato troppo orientato a questioni giuridico amministrative che sono senz’altro il tarlo di ogni dirigente scolastico, ma che si imparano sul campo (ad esempio non abolendo la parte “corso” del “concorso-corso”) più facilmente di altre cose. Una selezione attenta a queste questioni può essere garantita solo se in commissione ci sono delle competenze o delle sensibilità specifiche.
Ho letto in rete argomenti speciosi. È capitato che alcuni concorsisti abbiano lamentato del fatto che una domanda dello scritto è rimasta in bianco. Il rasoio di Occam ci dice che è perché non è stata salvata (ma è legittimo chiedere una verifica del funzionamento del software). All’orale c’è chi lamenta che la scelta tra tre alternative non è stata consolidata con l’inserimento delle medesime in buste sigillate, ma solo piegate nell’urna. Perché non sollevare subito l’obiezione? Ci saranno tuttavia elementi significativi nelle obiezioni dei concorsisti esclusi, ma per questo è occorso che la magistratura entrasse nel merito delle cose (la recente sentenza N. 08655 del TAR del Lazio, emessa il 2 luglio 2019 ha ravvisato “solo” l’incompatibilità di tre Commissari, escludendo tutti gli altri argomenti[5]). Un elemento particolare di abbaglio è legato a come si evolvono le cose. Ad esempio molti concorsisti esclusi da una prova hanno affrontato la successiva a titolo cautelativo, mentre il giudizio di merito li ha visti soccombere. Non ho difficoltà a riconoscere che se un concorsista si è visto spegnere il computer durante la prova abbia diritto a rifarla, ma in questo caso ci sarà stata una commissione in aula che avrà rilevato la problematica, l’avrà annotata sul verbale e il concorsista sarà salvaguardato. Ho letto di commissari ubiqui. Credo che occorra distinguere le questioni formali (orario di chiusura di un verbale non aderente alla realtà fattuale) da quelle sostanziali (il merito della valutazione) al netto del fatto che commissari poco attenti alle forme dovranno rispondere delle loro disattenzioni nelle opportune sedi nelle quali dovranno emergere ed essere distinte le questioni sostanziali da quelle formali.
In conclusione, ci sono degli effetti perversi nel dibattito sul tema che, traslando un lavoro di Puglisi[6] dal contesto del bias dei media a quello del dibattito in rete, derivano da una sproporzione tra chi è stato escluso, e ne parla male, e chi ha vinto, e tace o è comunque minoritario e sopraffatto dai primi. Parimenti sarebbe utile affrontare queste tematiche non solo con l’analisi, ma anche con la sintesi di proposte alternative e praticabili che non siano scritte nel libro dei sogni dell’assoluta correttezza ed equità, ma innestate in contesto che consideri anche le reali condizioni al contorno e le attualizzazioni scientifiche. In breve, per affrontare queste questioni occorrerebbe un alto tasso di onestà intellettuale e capacità di ascolto.
Paolo Fasce, dirigente scolastico dell’ITTL “Nautico San Giorgio” di Genova e Camogli, è stato insegnante di sostegno specializzato e di posto comune (matematica applicata, informatica, fisica, elettronica). È professore a contratto all’Università di Genova, in particolare sulle tematiche relative all’inclusione scolastica nei corsi di specializzazione per il sostegno.
[1] Si veda anche M. Piras, Concorso per dirigenti scolastici: note a margine, Scuola7, 2019, url: http://www.scuola7.it/2019/141/?page=1
[2] Non intendo affermare che queste competenze siano migliori di quelle del disegno tecnico, ma solo mettere in evidenza il fatto che se profili diversi accedono allo stesso mestiere, porteranno competenze diverse e averli entrambi, a mio giudizio, è arricchente per una scuola. In altre parole, due insegnanti di tecnologie laureati in materie diverse potrebbero formarsi reciprocamente sul campo, raggiungendo risultati che un solo profilo non potrebbe ottenere.
[3] La parola “opportunamente” va intesa in senso tecnico. Non si tratta di fare dei favoritismi, ma di estrarre prove la cui ri-correzione consente di ottimizzare il valore statistico delle inferenze tra commissioni diverse.
[4] Qualcuno ricorderà che lo scrivente è assurto agli onori delle cronache come “inventore dell’algoritmo” di allocazione degli insegnanti precari adottato dal MIUR a seguito della Legge 107/2015. Vale la pena spiegare in questa sede il motivo di tale attribuzione. Nella mia veste di portavoce del Comitato Precari Liguri della Scuola, in un momento di “vacche magre” sul tema delle assunzioni, elaborai la “proposta scientifica per un veloce assorbimento delle graduatorie ad esaurimento” che si basava sull’incrocio domanda/offerta tra le persone disponibili a spostarsi sul territorio e i posti disponibili. Non era prevista l’obbligatorietà di esprimere tutte le province della Repubblica e quando fui intervistato da “La Stampa” sull’algoritmo del MIUR venne fuori il titolo “il padre dell’algoritmo”. Nessuna smentita successiva mi ha riabilitato di fronte a colleghi di ogni parte del Paese che continuano ad accusarmi delle loro peripezie..
[5] Mentre scrivo siamo in attesa delle decisioni del Consiglio di Stato al quale si è appellato il MIUR e diversi altri portatori di interesse ad adiuvandum.
[6] Puglisi, Snyder, Empirical Studies of Media Bias, n Simon Anderson, Joel Waldfogel, David Stromberg (eds.), Handbook of Media Economics, volume 1B, North-Holland 2015, pp.647-667.