Radio-scuola. In classe con Gabriele Recchia | Radio-School. In the classroom with Gabriele Recchia

Maestro di scuola elementare, quest’anno ha avuto una prima a tempo pieno all’IC Pisano di Marina di Pisa. Si laurea in Lettere prima, consegue una seconda laurea in Scienze della formazione primaria. Da sempre appassionato di tecnologie, con uno sguardo ravvicinato alla web radio e al podcast, ha tradotto questo interesse nell’esperienza concreta nelle sue classi. Nel numero 11 di “Educazione aperta” ha raccontato la sua esperienza con un contributo dal titolo Un’esperienza di web radio nella scuola primaria. I podcast realizzati con la scuola Collodi di Pisa si possono ascoltare all’indirizzo www.spreaker.com/show/radio-collodi_1.

Come hai scoperto alla pedagogia popolare?

Già negli anni di formazione universitaria mi interesso alla pedagogia popolare di Freinet e alle sue tecniche ma sarà l’incontro con il gruppo MCE operativo a Pisa dal 2015 a darmi gli strumenti per orientare il mio lavoro. Da lì comincio, insieme a loro, a sperimentare e a sperimentarmi nelle tecniche. Un doppio canale mi ha condotto in questa direzione: da un lato la mia visione del mondo che sostiene un’idea di scuola non competitiva, dove la cooperazione allontana l’idea di un’autorità nello stile di insegnamento apprendimento; dall’altro, più sul piano didattico, l’idea di superare il modello della lezione frontale e di concepire l’apprendimento come un fenomeno sociale e di gruppo.

La pedagogia Freinet, sin da piccoli, aiuta i bambini a fare delle scelte. Mentre la scuola tradizionale tenta di inquadrare le loro vite per poi, senza allenamento, spingerli ad esempio a diciotto anni al voto senza che questi ragazzi abbiano idea di che cosa comporta veramente questa “scelta”. Invece con la pedagogia Freinet i bambini fanno esercizio delle loro scelte, della loro autonomia, del loro io all’interno del gruppo. Oggi questo vuol dire rispondere alle emergenze della scuola: l’interculturalità e l’inclusione sono possibili direzioni attraverso cui la pedagogia popolare risponde in modo costruttivo. Il tentativo di creare dei contesti in cui questi bambini riescono ad entrare con il loro vissuto, per raggiungere nel pieno benessere gli obiettivi di apprendimento e i traguardi di competenza richiesti. Il punto di forza consiste proprio nella differenziazione attraverso la quale noi riusciamo a creare percorsi in cui tutti e ciascuno riescono a ritrovarsi.

E un punto debole?

Il punto di debolezza su cui si può riflettere riguarda le tecniche in quanto sistema: scegliere questa direzione significa costruire un orientamento di questo tipo, l’ambiente di apprendimento deve rispondere a questa chiamata, gli spazi e i luoghi facilitano questi contenitori didattici e le tecniche non sono unità chiuse o frazionarie. O hai la fortuna di incontrare un team che è orientato su questa direzione, che condivide questo percorso, oppure diventa un po’ complicato ma è sempre possibile farlo: anche se non sempre hai la compresenza, anche se hai delle classi numerose. Il registro che ti muove è comunque e sempre il tuo orientamento, la tua idea di fare scuola.

E alla radio, come sei arrivato?

Io inizio a fare radio dopo avere letto di un’esperienza di un maestro di Genova su “Cooperazione educativa”, la rivista del Movimento. Fu lì che domandai ai miei alunni: “si fa una radio?” E fu proprio il loro entusiasmo a guidare le mie scelte. Abbiamo iniziato in terza primaria con delle idee che avevo io ma pian piano siamo riusciti ad arrivare alla co-progettazione dello strumento. Il punto di partenza è stato utilizzare uno strumento che gli permettesse di uscire fuori dalla classe, di farsi sentire: di farsi sentire dalle famiglie, di farsi sentire dal mondo. Questo ha creato una forte motivazione. Noi organizziamo la classe come se fosse una redazione radiofonica: io, che faccio italiano, organizzo il nostro tempo e la programmazione di italiano sempre facendo la radio. I nostri obiettivi di apprendimento li raggiungiamo ugualmente: ad esempio sul testo informativo ci sarà un gruppo di lettori di giornale, sull’arricchimento del lessico ci sarà il gruppo che si occupa delle rubriche con le parole della settimana e quindi con approfondimento dell’etimologia della parola e il suo sviluppo.

Al di là degli obiettivi di apprendimento di italiano che noi raggiungiamo insieme, l’idea di lavorare in modo cooperativo sui testi, di fare revisione collettiva sui testi consegna una forte competenza socio-comunicativa. Noi usiamo un’applicazione che si chiama Spreaker che ti consente di registrare, però se sbagli devi ripartire daccapo, e quindi per i bambini diventa importante il silenzio che a scuola non è così scontato. In questa direzione, l’ascolto e il parlato traducono l’esperienza concreta di questo strumento così potente. Si impara il rispetto del lavoro degli altri: la puntata è un’esperienza di lavoro collettiva, se esce fuori una buona puntata è grazie al lavoro cooperativo di tutti. Un altro aspetto importante è il suo valore di documentazione, non soltanto per il lavoro degli insegnanti ma anche per la famiglia che, in questo modo, entra dentro le nostre classi e ascolta il nostro lavoro, in un clima che si instaura di completa fiducia.

La radio consente ai bambini di avere una visibilità qualitativamente efficace. È uno strumento molto versatile, un contenitore dentro il quale puoi discutere su tutto. Serve ancor di più, oggi, a tutti questi aspetti di cui parlavamo prima che si riferiscono all’ascolto, al parlato, al silenzio e al rispetto dell’altro insieme a te. La radio è come la musica: ti costringe a vivere il presente, ad attraversarlo, a sentirlo e, in quelle ore lì, puoi fare solo questo. In un mondo in cui i bambini sono bombardati da immagini, suoni e rumori, dove l’attenzione è costantemente attaccata anche da stili cognitivi diversi, “la radio, il motore e l’azione” sono le tre parole che ci consegnano la percezione di entrare in uno spazio in cui il silenzio è il patto di una relazione educativa, che si traduce nella cooperazione e partecipazione democratica di tutti e di ciascuno.

Questa serie di interviste raccolte e curate da Margherita Dolce accompagna sul blog l’uscita del numero 11 di “Educazione aperta”, con una sezione Primopiano sul tema Quale cooperazione digitale? Si tratta di educatrici ed educatori che hanno avuto occasione di riflettere in profondità sul rapporto fra cooperazione e tecnologia. Oggi nel linguaggio comune si tende a usare la parola “tecnologia” con riferimento alle sole tecnologie digitali ma questa abitudine aumenta la confusione, facendo dimenticare che fin dalle origini della scuola ogni didattica è chiamata a prendere posizione sulle sue condizioni tecnologiche. Questa riflessione è stata arricchita, nell’esperienza dei cinque insegnanti intervistati, dall’incontro con il Movimento di cooperazione educativa. Il MCE fa parte del movimento internazionale che si ispira alla pedagogia di Célestin Freinet ed è stato ed è al centro di due anniversari consecutivi: nel 2021 i settant’anni dalla fondazione, nel 2022 il centenario di Mario Lodi che ne è probabilmente il nome più conosciuto. Nella storia della pedagogia e della scuola italiana non c’è stata una riflessione collettiva più specifica di quella del MCE sul rapporto fra la qualità delle relazioni fra alunni e insegnanti, le dimensioni materiali e organizzative delle procedure che danno corpo al lavoro scolastico e la possibilità di orientarle in senso democratico.

Margherita Dolce, nata a Palermo nel 1988, si laurea a Palermo come Educatrice della prima infanzia e poi in Scienze della formazione continua. Oggi sta per conseguire la laurea in Scienze della formazione primaria alla LUMSA. Lavora prima come pedagogista presso una comunità per minori stranieri non accompagnati, poi dal 2015, come educatrice presso le scuole dell’Infanzia della cooperativa Pueri di Palermo.