Noi si fa così. Scritture collettive a scuola durante la quarantena Covid19 | This is how we do it. Collective writing at school during the Covid19 quarantine
Laura ParigiPDF: DOI 10.5281/zenodo.6843847
Abstract
During the spring of 2020, INDIRE created Spaesi, an online training workshop that proposed teachers to use the inventive techniques of the Grammar of Fantasy (1973) to deal with the difficult situation of quarantine with young students (kindergarten, primary and lower secondary school) The initiative, on the occasion of the centenary of Rodari's birth, was aimed at stimulating and supporting collective writing experiences of fictional stories, tales, poems and rhymes during the distance learning period. The article analyzes the documentation of the experiences sent by over seventy teachers who participated in the workshop, taking into account the digital tools and writing process, the "participation rules" developed by the groups, in order to identify a repertoire of cooperative techniques for remote work, even between different classes. The expressive and textual forms practiced by the classes are also analyzed, as well as media used for the realization of the texts, to understand how curricular and cross curricular learning is affected by the practice of collective writing in a digital environment. Finally, the analysis identifies some recurring themes in the texts developed by the classes.
Keywords: collective texts, collective writing, Covid19, primary school, emergency.
Durante la primavera del 2020, INDIRE ha realizzato Spaesi, un laboratorio di formazione online che proponeva agli insegnanti di utilizzare le tecniche di invenzione della Grammatica della fantasia (1973) per affrontare con bambini e bambine la difficile situazione della quarantena. L’iniziativa, nata in occasione del centenario della nascita di Rodari, aveva lo scopo di stimolare e supportare esperienze scrittura collettiva di testi fantastici, storie, poesie e filastrocche durante la fase di didattica a distanza nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. L’articolo presenta l’analisi della documentazione delle esperienze realizzate da oltre settanta insegnanti che hanno partecipato al laboratorio, prendendo in considerazione gli strumenti digitali e i processi di scrittura, le “regole di partecipazione” elaborate dai gruppi, allo scopo di identificare un repertorio di tecniche cooperative per il lavoro a distanza. Sono analizzate inoltre le forme espressive e testuali praticate dalle classi (testi narrativi, fiabe, filastrocche etc.), i linguaggi e i codici utilizzati per la realizzazione dei testi, per comprendere quali apprendimenti curricolari e trasversali sono interessati dalla pratica della scrittura collettiva in ambiente digitale. Infine, l’analisi identifica alcuni temi ricorrenti nei testi elaborati dalle classi.
Parole chiave: testo collettivo, scrittura collettiva, Covid19, scuola primaria, didattica a distanza.
Spaesi. La genesi e la struttura del laboratorio
Nella primavera del 2020, la pandemia per Covid19 ha causato una lunga sospensione delle attività didattiche in presenza per le scuole italiane. A partire dal 17 marzo, il Ministero dell’Istruzione ha disposto l’attivazione di un modello di scuola a distanza, basato su attività didattiche sincrone e asincrone su piattaforme digitali[1]. La scelta della didattica a distanza, praticata da buona parte dei sistemi educativi a livello globale[2], nasceva dalla duplice esigenza di garantire il diritto all’istruzione e di contrastare l’isolamento degli studenti durante il lockdown, ma il passaggio repentino a modalità di lavoro radicalmente differenti ha costoituito un momento di crisi per il mondo della scuola. Gli insegnanti lo hanno affrontato con diversi livelli di familiarità con gli strumenti digitali, ma anche confrontandosi con carenze di natura infrastrutturale, disuguaglianze sociali e territoriali nell’accesso degli studenti alla scuola online e infine con le incognite di una situazione che ha impattato sulla vita e l’organizzazione delle famiglie, impreparate o in alcuni casi impossibilitate a supportare i figli.
Fin dall’inizio, l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE) ha sostenuto le scuole con attività di formazione e di disseminazione di pratiche educative realizzate in ambiente digitale, cercando di valorizzare soprattutto le forme di didattica attiva possibili anche a distanza (autore, 2021). È nell’ambito di queste attività che tra aprile e maggio 2020 viene realizzato Spaesi. Un Atlante di geografia fantastica, un laboratorio online per gli insegnanti di scuola primaria e secondaria di I grado.
Originariamente ideato in occasione del centenario della nascita di Gianni Rodari, Spaesi nasce come laboratorio sulla Grammatica della fantasia (1973), il testo in cui lo scrittore di Omegna raccoglie le “costanti” dei meccanismi per l’invenzione di storie. Attraverso il laboratorio volevamo riproporre agli insegnanti l’idea pedagogica che attraversa questa ricerca e cioè che l’immaginazione è un modo di operare del pensiero umano e non una qualità, un talento esclusivo proprio di alcuni individui, come l’artista: essa è infatti la facoltà di rielaborare creativamente “i dati dell’esperienza per costruire una nuova realtà, rispondente alle sue curiosità e ai suoi bisogni” (Rodari, 1973). È un’idea che Rodari fonda su repertorio culturale di saperi filosofici, pedagogici e psicologici, come le ricerche di Vygotskij: è in particolare dal testo “tutto d’oro e d’argento” dello psicologo russo, Immaginazione e creatività nell’età infantile (1972), che Rodari attinge per elaborare la proposta delle tecniche della fantastica come strumenti per il lavoro educativo, certo che la coltivazione dell’immaginazione attraverso il gioco linguistico sia utile ad alimentare un’attitudine alla creatività anche nelle altre discipline scolastiche e più in generale nei diversi campi dell’esperienza di vita. Rodari infine è convinto che questa attitudine sia una virtù politica: essa è necessaria per immaginare alternative da contrapporre alle ingiustizie e realizzare un cambiamento: è il senso dell’utopia, come lo definisce lui stesso, che “un giorno, verrà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito, l’odorato, ecc.” (Rodari, 1962).
Nella progettazione originaria, l’iniziativa era destinata alle scuole delle aree interne del paese, situate cioè in territori lontani dai servizi essenziali e spesso colpite da importanti fenomeni di spopolamento (Mangione et al., 2021). Volevamo proporre agli insegnanti che abitano questi territori un lavoro sull’identità dei luoghi etichettati come marginali e periferici: la Grammatica ci sarebbe servita per far emergere gli immaginari dei bambini e delle bambine, i loro vissuti e la loro capacità di pensare un “ribaltamento”, un diverso progetto rispetto alla rappresentazione politica dell’ambiente in cui vivono.
Fin dall’inizio abbiamo pensato di proporre alle classi la realizzazione di testi collettivi per evitare che l’attività fosse vissuta come “compito scolastico” e per scongiurare logiche competitive tipiche dei concorsi. Ci interessava che le classi lavorassero intorno a un immaginario comune, utilizzando le tecniche rodariane per sviluppare una ricerca di senso a partire dalle suggestioni e dalle esperienze di ciascun bambino e bambina: il testo collettivo, in questa ottica, costituiva un dispositivo operativo per sperimentare la co-costruzione di conoscenza, ma anche per includere gli alunni più ritrosi (Lodi, 2017). Nella progettazione originaria avevamo previsto anche la realizzazione di un piccolo libro[3] che raccogliesse i testi collettivi inviati dalle classi: lo scopo era far costruire un contesto in cui “scrivere per farsi leggere”. La circolazione dei testi scritti oltre le mura della classe, come ci ricorda Mario Lodi (Lodi, 2017), è un modo concreto per riconoscere il valore il pensiero dei bambini e delle bambine, oltre che per suscitare motivazione.
Per avviare la scrittura nelle classi, avevamo progettato un ciclo di incontri online dedicati alla Grammatica della fantastica e condotti da Francesco Tonucci, il pedagogista che nel 1972 accompagnò Rodari nei laboratori con gli insegnanti di Reggio Emilia da cui è nato il libro, Vanessa Roghi, storica della scuola e autrice di Lezioni di fantastica (2020), una biografia culturale dello scrittore di Omegna, Ilaria Capanna, curatrice della biblioteca privata di Gianni Rodari, e Franco Lorenzoni, maestro e autore di “cronache pedagogiche” (2014; 2019). I webinar avevano lo scopo di approfondire la genesi e le tecniche della Fantastica e le esperienze di scrittura collettiva nelle classi condotte da Rodari. Uno degli incontri era invece dedicato agli strumenti e alle pratiche di scrittura collettiva realizzate da insegnanti sul campo: attività esperite nelle classi, attraverso l’uso di strumenti digitali e analogici, ma anche esperienze di collaborazione in rete, come il gemellaggio elettronico su cui INDIRE ha raccolto negli anni un’ampia documentazione attraverso la gestione della community italiana del progetto europeo eTwinning (Nucci, 2021).
Il progetto prevedeva la raccolta della documentazione dei testi realizzati nelle classi, su base volontaria, tramite una form online composta di due parti: l’invio del testo e la descrizione delle modalità di scrittura adottate per realizzarlo. Ci interessava capire come concretamente gli insegnanti avessero attinto alla Grammatica e quale organizzazione della scrittura avessero adottato al fine di documentare alcune pratiche da disseminare nelle azioni di formazione per gli insegnanti. Il laboratorio si concludeva con un ciclo di incontri di restituzione dei lavori realizzati nelle classi, presentati dagli insegnanti e commentati dai ricercatori di INDIRE e dagli esperti intervenuti nei webinar.
Tutte le attività del laboratorio erano pensate ad accesso libero e per uno sviluppo sulle reti sociali online già frequentate dagli insegnanti (ad es. Facebook): il modello di formazione era ispirato ai cMOOC, i Massive Online Open Courses di stampo connettivista (Siemens, 2011).
La pandemia e l’interruzione delle attività scolastiche in presenza, però, ci hanno indotto a ripensare il senso del laboratorio. La condizione di incertezza e di isolamento a cui tutti, grandi e piccoli, eravamo costretti nel periodo del lockdown costituivano eventi eccezionali che avevano procurato un senso di spiazzamento diffuso. Nel caos di quel primo periodo era difficile capire cosa passasse nella testa dei bambini e delle bambine, come vivessero la paura del virus, l’esperienza del confinamento in casa, la “reinvenzione” della scuola attraverso uno schermo. Ancora più difficile era immaginare come far emergere i pensieri dei bambini e farne oggetto di ascolto (autore, 2019) evitando una frattura troppo netta tra il lavoro scolastico e l’esperienza di vita.
La scrittura ci sembrava mantenere una funzione chiave per coltivare le diverse dimensioni educative (Mortari, 2021): quella cognitiva, per gli apprendimenti legati all’educazione linguistica, ma anche la sfera delle emozioni, il territorio delle domande suscitate (quanto durerà la pandemia?), la riflessione sui cambiamenti nei comportamenti (il distanziamento fisico, l’uso della mascherina) e sugli effetti osservati nel contesto delle proprie relazioni famigliari e sociali (la convivenza con i genitori in smart working, lo sviluppo delle relazioni tra pari attraverso lo schermo). Anche la proposta di lavorare a partire dalla Grammatica ci pareva ancora una proposta valida, a maggior ragione perché sentivamo l’esigenza di arrivare ai vissuti dei bambini e delle bambine in modo indiretto, attraverso uno sguardo obliquo. Lo scopo non era tanto fornire l’occasione di evasione, ma creare le condizioni affinché essi potessero esprimersi e sapevamo per esperienza che le domande troppo dirette tipo “Come stai?”, “Cosa pensi?” rischiano di sortire un effetto di inibizione o, peggio, di sfiducia nei confronti dell’adulto.
Era però necessario definire un nuovo tema generatore e pensare uno stimolo iniziale che “sintonizzasse” gli insegnanti e le classi su una ricerca comune. Abbiamo scelto di partire proprio dal senso di spaesamento che in quel momento ci coglieva e di lanciare noi un “primo sasso nello stagno”, un primo semplicissimo gioco di invenzione linguistica, nato dal recupero della produzione letteraria di Rodari. Abbiamo quindi scritto noi un primo testo per spiegare la genesi di spaesi, la parola che ha dato nome al laboratorio:
Tanti anni fa, giocando con le parole, “il favoloso Gianni” immaginò un Paese con l’esse davanti dove un giorno arrivò Giovannino Perdigiorno, un grande viaggiatore: un paese dove gli “stemperini” facevano ricrescere le matite anziché consumarle, dove c’erano “staccapanni” con tanti cappotti e giacche per chi ne aveva bisogno e “scannoni” e “strombe” per disfare la guerra. È uno dei tanti esempi di come Rodari ha dato corpo all’idea che la fantasia non è una via di fuga dal mondo, ma un modo per dar senso alla realtà, per immaginarla differente: un allenamento all’utopia (“cosa accadrebbe, per esempio, se nel mondo sparisse il denaro?”) che, come scriveva, non è meno educativa dello spirito critico. [...]
Per certi versi, in questi giorni strani anche il nostro è un Paese con l’esse davanti: un po’ sospeso e un po’ a soqquadro. Per contrastare l’ondata di contagi di un virus che fa tanta paura, la nostra libertà di movimento è fortemente limitata e dobbiamo rinunciare a molte delle nostre routine. Siamo costretti a stare a distanza, a restare a casa, chiusi “dentro”, mentre i luoghi delle nostre abitudini cambiano fisionomia perché si svuotano della nostra presenza. Forse, non potendo aprire la porta, in questo momento tanti, adulti e bambini, insegnanti e studenti, sono alla finestra. Finestre vere, finestre virtuali che servono a restare in contatto tra noi, finestre “nella testa” per cercare di capire quanto sta accadendo, finestre della memoria per tornare a quegli spazi che abbiamo abbandonato: le scuole, i luoghi di lavoro, le piazze, le strade, i giardini, mare e montagna, paesaggi e cieli. Abbiamo pensato allora che poteva essere bello usare queste finestre come ci suggeriva di fare Rodari; per pensare la realtà attraverso quella grammatica della fantasia alla quale ha dedicato una buona parte della sua vita di intellettuale. Per far partire l’esperimento, buttiamo là noi per primi una parola, spaesi, che è un po’ il nostro sasso nello stagno.
Lo stimolo è stato raccolto da un numero ampio di insegnanti: 1225 docenti si sono iscritti al gruppo Facebook dedicato all’iniziativa e dove INDIRE pubblicava le date dei webinar, le registrazioni, i materiali di approfondimento e alcuni estratti delle documentazioni inviate dalle scuole. Di tanto in tanto, nel gruppo prendevano vita alcuni “allenamenti alla Fantastica”; giochi linguistici ispirati alle tecniche come “binomio fantastico” o “l’errore creativo” che partivano per iniziativa dei partecipanti o dei ricercatori (“Che tempo fa, che ore sono, che giorno è davvero lunedì o ancora una lunga dormenica? […] Chi sa se per tutti farà il tempo dei cani e dei gatti, oppure dei pani e dei mipiaci, coi pollici in su che hanno preso il posto degli abbracci?”). Sono stati in media 300, invece, i partecipanti a ciascun webinar, mentre sono circa 70 i docenti che hanno inviato i lavori realizzati nelle loro classi.
Al termine del laboratorio abbiamo sottoposto tutti i testi collettivi ad un’analisi di tipo qualitativo che ha indagato gli usi delle tecniche della Grammatica e le modalità di scrittura.
Sassi, prefissi e insalate di tecniche
Relativamente alla prima dimensione di analisi, abbiamo proceduto raggruppando tutti i testi in base alle tecniche utilizzate. In molti casi gli insegnanti hanno combinato tecniche differenti, a volte tradendo la formulazione originale, a volte inventando tecniche nuove a seconda del bisogno, oppure attingendo alla produzione letteraria di Rodari come modello da imitare. Abbiamo inoltre distinto tra le classi che hanno colto il nostro spunto iniziale de quelle che invece hanno sviluppato progetti di scrittura già cominciati prima dell’avvio di Spaesi.
Partendo da questa mappa iniziale, abbiamo cercato di comprendere se la Grammatica rappresentasse ancora una “lettera viva” per gli insegnanti e per gli alunni, a distanza di tanti anni e a valle di una eredità culturale che spesso confina la presenza scolastica dello scrittore di Omegna in poche celebri produzioni letterarie. Ci siamo concentrati in particolare su quello che noi riteniamo essere il senso più radicalmente educativo del messaggio di Rodari e cioè la concezione dell’immaginazione come capacità di concepire altre possibilità rispetto al reale, la sua valenza di pensiero trasformativo. Abbiamo cercato quindi rintracciare questa particolare qualità nei testi pervenuti, setacciando tra le “rime pigre”, come le chiama lo stesso Rodari[4], cioè tra le associazioni ovvie e scontate che costituiscono una barriera allo straniamento surrealista cui le tecniche rodariane mirano per provocare l’innesco del processo creativo.
In tanti lavori, la deformazione delle parole ha rappresentato un passaggio obbligato nel processo di scrittura collettiva. Diverse classi sono partite dalla parola spaesi e hanno utilizzato la tecnica del prefisso arbitrario che, come ci ricorda Rodari, è un gioco che i bambini fanno spontaneamente e che aiuta ad esplorare le possibilità delle parole. Per esempio, i bambini e le bambine della scuola primaria di Triora (Imperia) hanno costruito storie partendo dai rovesciamenti di significato ai quali ben si presta il prefisso s- (leale/sleale, allacciare/slacciare): “Il mio paese è diventato Spaese da quando è arrivato lo Scoronavirus che fa guarire tutti i malati che diventano automaticamente Smalati e godono di ottima salute [..]”. Da questi rovesciamenti sono nati animali e vegetali fantastici, armi innocue e oggetti magici: “Cos’è uno Spettirosso? È un uccellino spettinato dal ciuffo rosso naturalmente!!! [..] Nell’orto c’è un albero di Slimoni così dolci che sembrano fatti di miele [..]”.
Un’altra ricerca (o gioco) interessante sui prefissi è quella condotta dalle classi I e III della primaria di Lurago (Como) che hanno combinato prefisso e binomio fantastico per l’invenzione di oggetti fantastici (un gelato bisgustoso, una ciliegia intergentile, preghiera bisleggera, la neve anti-soffice) che i piccoli hanno raffigurato graficamente e sui quali i più grandi hanno costruito delle storie multimediali.
La costruzione di anagrammi è un’altra tecnica molto usata per la ricerca di effetti comici e surreali. È questa l’origine dì Gian Gingillo e il fantastico contagio universale, la storia scritta da una pluriclasse in una scuola primaria di Castiglion della Pescaia (Grosseto). L’insegnante ha raccontato che un giorno un bambino ha trasformato la parola “virus” in “sivur” e da lì è nata l’idea di scrivere una storia. Nella storia, il primo anagramma è l’effetto di un incidente e segna una trasformazione fondamentale del personaggio principale: il professor Gian Gingillo, “scienziato un po’ squinternato” si imbatte in una creatura microscopica che fa le linguacce e lo richiude in una bottiglia di vino. Per effetto del vino il virus acquisisce il potere di scombinare i nomi delle città che attraversa nella sua rocambolesca fuga: “Cominciò a volare sulla città, felice di essere libero dopo molti anni e si ritrovò sopra al cartello stradale con su scritto GROSSETO. Le lettere allegre fecero un balletto, si scambiarono di posto e sul cartello apparve la scritta TOSSEGRO”. L’anagramma diventa così il potere magico del protagonista della storia, con inevitabili effetti comici.
Molte storie e filastrocche nascono dalla tecnica del binomio fantastico, che consiste nell’associazione di parole tra loro distanti per significato e contesto d’uso. Spesso l’accostamento avviene per effetto di una reazione a catena, come è nel caso documentato da un’insegnante di scuola secondaria di I grado Canale Monterano, in provincia di Roma. I ragazzi sono andati per tentativi ed errori, formulando tanti binomi (“aria e libro”, “giungla e bonus”, “fame e pensiero”) prima di scegliere quello che secondo loro era più utile a far nascere una storia: “gorilla e merendina”. E poi si sono chiesti “Cosa succederebbe se una gorilla si palesasse nella Riserva di Canale Monterano? [...] E cosa succederebbe se tenesse nella zampa una merendina e il tutto avvenisse in quarantena?”. Dal binomio è nata un’ipotesi fantastica che, come scrive Rodari nella sua Grammatica, è all’origine di tanti esempi eccellenti della letteratura: “All’interno di quell’ipotesi tutto diventa logico e umano, si carica di significati aperti e di diverse interpretazioni, il simbolo vive di vita autonoma e sono molte le realtà a cui si adatta” (Rodari, 1973, p.1325).
Sono tanti i testi raccolti che tentano questa via, spesso per effetto dei giochi di parole. C’è poi un piccolo gruppo di storie che sono nate da un’ipotesi formulata da Francesco Tonucci durante uno degli incontri online del laboratorio, partendo dalle sue ricerche sui diritti e sull’autonomia dei bambini nella città (Tonucci, 2015): cosa accadrebbe se, durante la pandemia, i bambini potessero uscire di casa e impadronirsi delle città vuote? I bambini e le bambine di una classe seconda di scuola primaria di Imperia hanno provato a lavorare su questa idea. La maestra ha raccontato che all’inizio i bambini facevano fatica a immaginare un mondo senza adulti, ma poi, a poco a poco, sono emersi due temi: l’organizzazione delle attività quotidiane che di solito sono compito degli adulti e la ricerca di una cura contro il virus. La storia si è sviluppata grazie a un rovesciamento di ruoli tra adulti e bambini che è all’origine di invenzioni che aggiungono accenti di gioco alle responsabilità: “I bambini che devono fare la spesa usano delle scarpe con la molla per arrivare agli scaffali più alti.”
Commentando il lavoro, Tonucci ha osservato che questa storia chiarisce bene che per i bambini la libertà non sia sinonimo di anarchia, come a volte da adulti tendiamo a pensare: costretti ad essere autonomi, in qualche modo immaginano di darsi delle regole, anche dividendosi delle responsabilità, occupandosi dei più piccoli. Secondo il pedagogista, è molto importante che i bambini facciano esperienza di questo tipo di libertà proprio perché diversamente non si impara a confrontarsi con le regole, ma solo con l’autorità dell’adulto, se questi è sempre presente.
Alcuni testi sono nati da giochi combinatori che assomigliano alle tecniche surrealiste richiamate da Rodari nel capitolo della Grammatica intitolato Vecchi giochi. In una classe prima primaria della provincia di Piacenza, per esempio, la maestra ha proposto ai bambini una variante della tecnica dei “cadaveri squisiti”[5] partendo da una serie di domande su un personaggio immaginario (“Chi era? Dove si trovava? Che cosa faceva? Cosa ha detto? Com’è andata a finire?”). Nella sua versione originale, il gioco prevede che ogni partecipante scriva su un foglio di carta, lo pieghi per nascondere ciò che ha scritto e poi lo passi ad un compagno. Online però non era possibile riprodurre la tecnica del foglio piegato e così i bambini hanno risposto a tutte le domande individualmente. Per creare l’effetto di straniamento, l’insegnante ha raccolto tutte le risposte in una tabella che ha utilizzato per “storie per combinazione” insieme agli alunni.
La tecnica delle “storie in tabella” è stata utilizzata anche dai bambini delle classi I, II e III della scuola primaria di Cantalupo (Isernia), che hanno lavorato alla scrittura partendo da alcune figure storiche del territorio all’epoca del brigantaggio. In questo caso il lavoro è iniziato con la costruzione di una “banca delle rime”, giocando sui nomi dei briganti e il colore della loro barba. Successivamente, in piccoli gruppi, gli alunni hanno utilizzato questo piccolo repertorio di rime per scrivere le loro filastrocche, sempre a distanza, nella chat della piattaforma della scuola.
Infine, nello scrivere le loro favole moderne, le classi hanno attinto alle tecniche rodariane dello sbaglio intenzionale di storie note (“Un gioco più serio di quanto non sembri a prima vista. I bambini quanto a storie sono abbastanza a lungo conservatori”: Rodari, 1973, p. 1381), delle “chiavi obbligate” (“Raccontate la storia del pifferaio di Hamelin ambientandola nella Roma del 1973”), e dei rovesciamenti, le inversioni di caratteri ed epiloghi. Per esempio gli alunni e alunne della scuola primaria di Pavone del Mella (Brescia) si sono divertiti a mettere a testa in giù principesse “perfettine”, reinventando una Biancaneve cattivissima che prende a bastonate i nani e pure la matrigna, una Cappuccetto Rosso che tira la coda al lupo e una principessa fastidiosa che disturba il sonno dei suoi sudditi.
È in questo gruppo di storie che si registra una certa vena di irriverenza, di dissacrazione verso alcuni stereotipi delle narrazioni per l’infanzia, mentre più in generale, si ha l’impressione di un umorismo controllato, che evita lessici e tematiche scomode, quasi come se gli adulti, gli insegnanti, avessero avuto un po’ paura di quel “riso scatenato, senza senso né misura” a cui invece Rodari dava un valore catartico (Rodari, 1992; 2020).
Vi è poi tutto un gruppo di tecniche poco utilizzate, come per esempio le carte di Propp e la tecnica de “l’omino di vetro”, in cui lo sviluppo di una storia ruota tutto intorno ad una materia, ad una proprietà, ad una qualità fisica dei personaggi o dell’ambientazione: il contrasto tra una certa resistenza delle qualità “reali” di questa materia e il contesto fantastico è un terreno fertile per effetti comici e trovate narrative, come nel caso di Pinocchio[6]. Poco presenti sono gli indovinelli e i limerick, ma anche l’errore creativo che nella produzione culturale di Rodari è stato uno strumento di invenzione letteraria e uno dei contenuti centrali della sua riflessione pedagogica[7]. Resta da approfondire se la preferenza per alcune tecniche della Grammatica sia determinata dai repertori culturali degli insegnanti oppure se sia legata alle difficoltà del lavoro a distanza.
Noi si fa così[8]: il testo collettivo in ambiente digitale
Per quanto concerne il processo di scrittura a distanza, l’analisi ha identificato le qualità estese, cioè le caratteristiche che emergono con larga frequenza nelle descrizioni degli insegnanti (Mortari, 2010) e alcuni casi di interesse che ampliano la pratica della scrittura collettiva oltre la dimensione del gruppo classe.
Un dato che emerge con chiarezza è che la scelta degli strumenti di scrittura è stata determinata da logiche di inclusione degli alunni e delle alunne. Poiché l’esperienza si è svolta nelle prime settimane di didattica a distanza, c’era la necessità di garantire l’accesso e la partecipazione al lavoro anche ai bambini e alle bambine che non disponevano di dispositivi e connettività adeguati, una condizione che in quella fase ha interessato circa un milione e mezzo di studenti[9] sul territorio nazionale. Oltre a ciò, non tutte le scuole erano già precedentemente dotate di ambienti online per la costituzione di classi virtuali.
Alcuni insegnanti hanno scelto di impostare l’attività attraverso il registro elettronico, strumento ampiamente adottato dalle scuole. In altri casi si è partiti dagli strumenti che gli studenti più svantaggiati avevano a disposizione e che erano in grado di utilizzare: tipicamente smartphone e strumenti di messaggistica istantanea tipo WhatsApp. Questa dotazione tecnologica semplicissima ha permesso, almeno nella prima fase emergenziale, di mantenere aperto un contatto con le famiglie e di impostare il lavoro di scrittura attraverso lo scambio di file con frasi e disegni e di messaggi vocali. L’inclusione dei bambini stranieri in molti casi ha costituito una difficoltà, in particolare quando gli adulti che hanno svolto un ruolo di supporto nell’accesso alle tecnologie non avevano una buona padronanza della lingua italiana. In quei casi gli insegnanti raccontano di aver predisposto delle traduzioni, anche automatiche.
Nonostante le difficoltà, alcuni docenti testimoniano che il lavoro di scrittura collettiva a distanza è stata un’occasione di coinvolgimento delle famiglie, come racconta un’insegnante di scuola primaria di Imperia: “E’ stata una bellissima esperienza che ci ha aiutato a trascorrere bei momenti di condivisione, a rafforzare il senso di appartenenza al gruppo classe, ma anche un modo per condividere il mondo della scuola con le famiglie e contribuire ad aumentare la fiducia reciproca, fondamentale per portare avanti un percorso educativo comune.”
Generalmente il processo di scrittura ha previsto momenti di lavoro individuale in modalità asincrona e momenti collettivi sincroni, organizzati attraverso gli strumenti di videoconferenza. Per i testi individuali spesso si è scelto di lavorare sul quaderno o utilizzando materiali analogici. Questa scelta è spesso dettata dall’esigenza di far partecipare degli alunni e per predisporre condizioni di lavoro autonomo, senza l’interferenza dei genitori, specialmente per i più piccoli. Il lavoro di scrittura si è sviluppato tipicamente nell’arco di diversi giorni o settimane e questo “tempo lungo” secondo gli insegnanti ha rappresentato un punto di forza, perché ha aiutato gli alunni ad essere più riflessivi e accurati nella stesura dei testi. Alcuni docenti hanno scelto di partire dal lavoro individuale, come è accaduto per esempio nella scuola primaria di Vergante e in quella di Calice del Cornoviglio: in entrambi i casi l’insegnante ha chiesto a tutti di elaborare un testo a partire da uno spunto di lavoro comune e poi durante i collegamenti i testi individuali sono stati discussi e si è prodotto il testo collettivo. Nella maggioranza dei casi, però, la videoconferenza ha costituito il contesto del “laboratorio di Grammatica della Fantasia” dal quale ha preso avvio il processo. “Durante gli incontri, il primo passo è stato quello di scegliere i personaggi delle nostre storie, sorteggiando una lettera dell’alfabeto abbiamo scelto i nomi dei personaggi. Successivamente abbiamo scelto l’ambientazione, il bosco, e l’elemento magico, l’albero” ha spiegato l’insegnante di una classe seconda primaria in provincia di Imperia: “Dopo aver condiviso la descrizione dei personaggi e del bosco abbiamo iniziato a scrivere delle storie sui personaggi, costruendole a poco a poco, aggiungendo un pensiero, una parola”.
Oltre che per le fasi di avvio e pianificazione del testo, le attività in videoconferenza sono state centrali per le attività di stesura e revisione del testo, come spiega chiaramente una insegnante di scuola primaria della provincia di Chieti: “Si è proceduto ad una prima stesura del testo collettivo, un canovaccio a maglie larghe che, in videolezione, è stato visto, rivisto, corretto, integrato, ampliato, grazie alle osservazioni di tutti e con la partecipazione contenuta dell’insegnante affinché il testo collettivo diventasse più complesso e completo. A questo punto la parola è stata pensata, ripensata e via via perfezionata. Il racconto si è arricchito poi di disegni che hanno reso il tutto più bello e invitante alla lettura”.
La parte di limatura finale è risultata per molti insegnanti e studenti la parte più complessa della scrittura collettiva a distanza: “Ogni alunno ha elaborato un racconto individuale. Ogni singolo testo che mi era stato trasmesso, breve o lungo che fosse, era significativo e originale in sé, ma dalla selezione che ne ho fatto e dalla manipolazione collettiva è stato costruito un racconto che, man mano che si componeva, suscitava nei ragazzi un senso di compiacimento, chiaramente percepibile dai commenti che facevano.” ha raccontato un’insegnante di scuola secondaria di primo grado di Geraci Siculo (Palermo). “Frammenti di narrazione, singole parole, immagini hanno trovato una nuova “vitalità” nella stesura definitiva, ulteriormente arricchita dai disegni. Via via che arrivavano i testi, si andava prefigurando l’idea di costruire, assemblando pezzi del lavoro di tutti, un racconto dotato di una propria coerenza. Sono riuscita a individuare l’inizio della storia e il suo svolgimento, mancavano delle sequenze per collegare alcune parti e il finale [..]Nell’ultimo incontro, sempre in modalità telematica, tutti insieme, abbiamo rivisto il testo, abbiamo aggiunto le parti mancanti, abbiamo scritto il finale e abbiamo scelto quali scene illustrare [...]”.
Un’insegnante della provincia di Roma racconta invece così il complesso lavoro di scrittura che ha portato alla realizzazione di una storia con finali multipli: “Le revisioni delle bozze hanno coinvolto la redazione intera: ciascuno ha visto approvare il proprio pezzo dopo una lettura collettiva. Dopo la trasposizione del file su Drive abbiamo lavorato alla fase di pubblicazione definitiva, sempre in sincrono, mentre in asincrono sono state apportate le modifiche formali, ortografiche da parte degli alunni e della docente. I problemi più rilevanti sono stati quelli di ordine tecnico per alcuni ragazzi (mancanza di connessione stabile, difficoltà di comunicazione in sincrono) e di carattere metodologico: scegliere e selezionare un lavoro definitivo frutto di 17 autori e autrici è stato abbastanza complesso, ma siamo giunti ad un buon compromesso. In conclusione il progetto ci ha dato la possibilità di sperimentare un percorso didattico che avesse come obiettivo di apprendimento un compito autentico, esercitando quelle famose competenze chiave di cittadinanza come la capacità di collaborare e lavorare in team per uno scopo comune. Una gorilla a Canale ha compattato lo spirito di comunità che avevamo smarrito nella quarantena”.
Un piccolo gruppo di insegnanti, circa una quindicina, hanno scelto di sviluppare il testo collettivo come progetto a classi aperte, organizzando processi di scrittura complessi che hanno previsto momenti di lavoro nel gruppo classe e attività in rete con altri plessi o altre scuole. Questa scelta ha permesso per esempio di organizzare dei lavori di tutoraggio tra pari, per esempio costruendo un lavoro comune tra i bambini della scuola primaria e i ragazzi della secondaria di primo grado. Così è nato, per esempio, L’Orlando Spaesato, il testo collettivo realizzato da alcune classi di un Istituto comprensivo in provincia di Teramo. I bambini della scuola primaria hanno preparato un’ambientazione fantasy che ha rappresentato lo sfondo per la costruzione di alcune storie a partire dalle tecniche di Rodari. Successivamente gli studenti della scuola secondaria sono stati chiamati a realizzare con i più piccoli un adattamento dell’Orlando Furioso all’interno dell’universo narrativo fantasy creato dai più piccoli.
La scrittura collettiva in rete ha dato vita ad esperienza di ampio respiro, come la “staffetta di scrittura” realizzata da una rete di scuole nella provincia di Terni. Il progetto, che ha coinvolto circa 300 bambini e bambine delle scuole primarie della provincia nella realizzazione di un testo collettivo a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. L’attività, alla sua seconda annualità è stata avviata prima della pandemia e prevedeva la realizzazione di due volumetti a partire da due incipit differenti (Passoni, 2019). La staffetta prevedeva che alle classi fosse affidata la stesura di un capitolo, da realizzare in modo collettivo con le tecniche di scrittura collettiva di Freinet, Le Bohec e Don Milani. La stesura era successivamente inviata ad un’altra classe secondo un calendario definito ad inizio anno per una revisione di tipo linguistico e formale.
È importante ricordare inoltre il piccolo gruppo di classi che hanno praticato la scrittura del testo collettivo a distanza nella scuola dell’infanzia. Alcune esperienze sono particolarmente interessanti per come hanno organizzato il processo di scrittura data l’età dei bambini. In alcuni casi, come nell’esperienza della Casa di Cipì, un asilo di comunità in provincia di Benevento, il testo è nato dalla lettura di alcune filastrocche e con la consegna di un kit per il disegno, realizzata con l’aiuto della Protezione Civile. La scrittura a distanza è stata un modo per creare contatto tra bambini piccolissimi, di tre anni appena, che con l’aiuto dei genitori hanno realizzato storie e filastrocche. È accaduto sull’isola di Favignana, in provincia di Trapani: l’insegnante Cristina Barranca ha chiesto ai suoi 23 piccoli alunni di pensare una parola a scelta che poi ha inserito su una “ruota della fortuna”, un semplice software, che è stato usato per sorteggiare parole a caso da cui dar vita ad una narrazione. Un semplice innesco, che ha dato vita a piccole storie dove le parole sbagliate, gli “errori” fatti dai bambini su parole semplici e d’uso comune, lasciano intuire un lavorìo mentale alla scoperta delle forme e dei significati.
Un’ultima osservazione riguarda il tipo di testi realizzati. Si tratta nella gran parte dei casi di lavori multimediali, ma sono molto frequenti le realizzazioni con tecniche miste, per esempio disegni, scenari, burattini, marionette, sfondi che fungono da scenari teatrali, fotografati e inseriti in audiovisivi, ebook, presentazioni. Spesso gli insegnanti si sono avvalsi di software che forniscono modelli preconfezionati per l’assemblaggio o funzioni che semplificano la realizzazione informatica. La realizzazione di artefatti multimediali ha determinato inoltre l’attribuzione di ruoli per la realizzazione delle diverse componenti (illustrazioni, scenografie, video etc). Per esempio, una classe di scuola secondaria di primo grado ha scelto di realizzare un trailer della storia elaborata con animazioni create a partire da origami: “A ciascun alunna e alunno è stato affidato un compito preciso: quello di redattore, revisore, videomaker e disegnatore/origamista”. Si tratta di una possibilità di valorizzazione delle differenti capacità e dei diversi interessi degli alunni e delle alunne.
Un altro tratto comune alle esperienze documentate riguarda il tipo presenza sociale (Cobb, 2009) e cioè il “senso dell’essere insieme” che ha caratterizzato i processi di scrittura. Solo in pochi casi le classi hanno utilizzato strumenti di scrittura collaborativa, anche semplici, per realizzare in modalità asincrona il lavoro di stesura e revisione. Gli insegnanti hanno evidenziato problemi di familiarizzazione con le funzioni dei software, come ad esempio le modalità di revisione. Un’insegnante della scuola primaria di Trasaghis ha raccontato che per i bambini collaborare sul documento condiviso è stato abbastanza facile, ma è stato necessario condividere delle regole, darsi delle scadenze. Dopo primo periodo di familiarizzazione con lo strumento, i bambini hanno cominciato ad essere più autonomi e ad organizzare tra loro delle videochiamate, in piccolo gruppo, per preparare i testi da presentare durante le videolezioni con tutta la classe, che sono diventate momenti per fare sintesi, limare e aggiustare le parti, per lavorare sulla coesione e sulla coerenza del testo collettivo. In generale, emerge che il lavoro di elaborazione del testo collettivo in ambiente digitale ha richiesto una presenza sociale ricca, dove è possibile riprodurre modalità spontanee di dialogo, cogliere le espressioni del volto dei parlanti, la gestualità, l’intonazione della voce e dove è possibile esercitare, anche in forma mediata, un’attenzione condivisa nel tempo e nello spazio. Sebbene la videoconferenza consenta solo parzialmente queste modalità tipiche della prossimità fisica (“Meet ci permette di lavorare ‘insieme’, ma le attività risultano dilatate e i confronti rallentati”), nella condizione di isolamento ha rappresentato il contesto con maggiori possibilità di interazione.
Conclusioni
Per molti anni gli investimenti in dotazioni tecnologiche per le scuole sono stati accompagnati da retoriche che hanno costruito l’idea di una sostanziale coincidenza dell’innovazione pedagogica con l’adozione di strumentalità digitali nelle prassi didattiche: basti pensare, a titolo d’esempio, al documento che accompagna il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD, legge 107/2015)[10], ove si ribadisce che “[l]a scuola è, potenzialmente, il più grande generatore di domanda di innovazione, e quindi di digitale” (p. 9). Per contro, le indagini sulle pratiche di insegnamento durante la didattica a distanza (SIRD, 2020; INDIRE, 2020) sembrano smentire questa idea, evidenziando una tendenza fortemente conservativa dei docenti: il modello di scuola riprodotto nella DAD ricalca infatti una forma scolastica centrata su lezioni simultanee, esercitazioni e verifiche, oggetto di contestazione fin dagli inizi del ‘900 perché fortemente selettiva nei confronti degli studenti dei contesti sociali meno abbienti (Bottero, 2021).
Per diversi aspetti le pratiche analizzate esprimono un’alternativa a questa scuola a distanza. Se da una parte la dimensione sociale dell’esperienza educativa è relegata a un ruolo marginale e all’indeterminatezza che le idee di “relazione educativa” e “socialità” assumono nel parlar comune, nelle pratiche di scrittura collettiva di Spaesi si realizza una coniugazione stringente tra il piano delle relazioni e i traguardi di competenza delle Indicazioni Nazionali (2012), primi fra tutti quelli legati alla disciplina Italiano o alla sfera delle competenze di cittadinanza. Le parole degli insegnanti richiamano alla memoria il senso della scrittura collettiva come educazione alla socialità che si realizza attraverso la mediazione tra il desiderio di espressione individuale e la realizzazione di un obiettivo comune (Cavinato et al., 2019), ma al tempo stesso ci parlano di un lavoro continuativo su alcuni obiettivi di apprendimento molto concreti legati alla scrittura di testi narrativi, alla coesione e alla coerenza testuale, alla correttezza ortografica, che sono “allenati” nelle diverse fasi della realizzazione del testo collettivo.
Sebbene esistano numerosi studi che indagano l’esperienza scolastica durante il lockdown e nonostante digitalizzazione dei contesti educativi sia, insieme all’impatto sugli apprendimenti e sui vissuti, il tema che maggiormente ha polarizzato l’interesse della ricerca educativa (Polat, 2021), non è chiaro quanto pratiche analoghe a quelle analizzate siano diffuse a livello nazionale e internazionale, in particolare nella scuola primaria. Tuttavia la scrittura collettiva online ha costituito una risorsa molto importante per sviluppare pratiche sociali durante la pandemia, ad esempio all’interno delle comunità professionali (Hall, 2022) e di ricerca (Best, 2021), anche in ragione di fenomeni di infodemia e di sovraccarico informativo. Particolarmente significative, in questo senso, sono le esperienze di scrittura collettiva in rete che si sono sviluppate in ambito sanitario durante la pandemica e che hanno supportato la sistematizzazione di conoscenze a partire da quantità estese di dati.
Per quanto concerne la didattica e le pratiche educative, in letteratura sono documentate soprattutto esperienze che coinvolgono studenti universitari e di scuola secondaria. Si tratta di esperienze che riguardano principalmente gli apprendimenti e la qualità dell’insegnamento (Rohmah, 2021), la coltivazione del senso di appartenenza al contesto sociale durante il periodo del lockdown (Cruz, 2021), il confronto tra l’esperienza di scrittura collettiva in presenza e a distanza (Lee, 2021), la rielaborazione dei vissuti correlati alla pandemia a partire da stimoli letterari (Barbagli, 2021). Resta tuttavia da indagare se e come queste e altre direzioni educative possano essere sviluppate con studenti più giovani anche se, su questo versante, la letteratura precedente al periodo pandemico evidenzia un forte nesso tra la scrittura collettiva e le pratiche di ricerca (inquiry based learning) condotte con i bambini e le bambine di scuola primaria (Herder, 2020) e una ricaduta positiva della pratica sulla competenza di scrittura soprattutto in relazione al dialogo che si sviluppa intorno alla produzione di testi (Herder, 2018).
Il confronto tra l’esperienza di Spaesi e la letteratura suggerisce alcune piste di ricerca ulteriori. In primo luogo sarà interessante comprendere meglio come l’impiego di strumenti digitali, in presenza e a distanza, influisce sui processi metacognitivi e sulle abilità di scrittura, in particolare con gli studenti più piccoli. Alla luce dei nessi che si evidenziano tra scrittura collettiva e pratiche di ricerca, nella scuola e nelle comunità scientifica, è interessante inoltre approfondire quali finalità educative si possano sviluppare per attualizzare la funzione emancipatrice che già Lodi e Don Milani individuavano chiaramente nella pratica del testo collettivo. In questo senso, appare utile una riflessione sulle pratiche di scrittura collettiva in ambito scientifico e la problematizzazione dei processi di produzione culturale che caratterizzano la contemporaneità (Parigi, 2014).
È da approfondire, infine, il tema delle literacy mediali (Buckingham, 2013) che attraversano gran parte delle produzioni analizzate. Nella scrittura collettiva a distanza, infatti, gli alunni hanno esercitato abilità e conoscenze necessarie alla realizzazione di elementi grafici, di audiovisivi e libri digitali e hanno sperimentato nel contesto scolastico modalità partecipative di produzione culturale. Si tratta di modalità che bambini e adolescenti già praticano in contesti informali di interazione online (Jenkins, 2015), ma il cui spazio è spesso eroso da proposte di consumo mediale dove le possibilità di espressione e costruzione di interazioni è ridotta a comportamenti utili a soddisfare logiche commerciali, come nel caso dalle piattaforme di social gaming (Morreale, 2021). Poiché questi processi interessano bambini e bambine in età precoce (Tisseron, 2016), c’è necessità di una problematizzazione della pratica educativa nella sua funzione emancipatrice, utile alla costruzione di consapevolezza.
Bibliografia
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[1] Nota 388 del 17 marzo 2020 del Ministero dell’Istruzione.
[2] UNESCO National Education Responses to COVID-19 - Summary report of UNESCO's online survey, April 2020.
[3] Il volume con i testi realizzati dalle classi è stato pubblicato da Cepell in modalità open access ed è accessibile sul sito della rete INDIRE- Piccole scuole all’url: https://www.indire.it/wp-content/uploads/2021/11/Spaesi-volume.pdf.
[4] Rodari scriveva che è difficile che “un’associazione pigra basti a far scoccare una scintilla (ma non si può mai sapere)” (Rodari, 1973, p.1306).
[5] “Gioco collettivo surrealista, realizzato per la prima volta nel 1925, a Parigi. Consiste nel far comporre una frase da più persone (senza che nessuna possa conoscere l’intervento dell’altra) nella sequenza sostantivo-aggettivo-verbo-sostantivo-aggettivo. Il nome del gioco deriva dalla prima frase che fu ottenuta: le cadavre exquis boira le vin nouveau (“il cadavere squisito berrà il vino nuovo”)” (Treccani, Enciclopedia online).
[6] “Il personaggio di legno deve guardarsi dal fuoco che può bruciargli i piedi, in acqua galleggia facilmente, il suo pugno è secco come una bastonata, se lo impiccano non muore, i pesci non lo possono mangiare: tutte cose che giustamente succedono a Pinocchio, perché è di legno. Se Pinocchio fosse di ferro, gli succederebbero avventure di tutt’altro genere” (Rodari, 1973, p. 1325).
[7] “Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, battendo a macchina un articolo, mi capita di scrivere 'Lamponia' per 'Lapponia', ecco scoperto un nuovo paese profumato e boschereccio: sarebbe un peccato espellerlo dalle mappe del possibile con l’apposita gomma; meglio esplorarlo, da turisti della fantasia. Se un bambino scrive nel suo quaderno 'l’ago di Garda', ho la scelta tra correggere l’errore con un segnaccio rosso o blu, o seguirne l’ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo 'ago' importantissimo, segnato anche nella carta d’Italia” (Ivi, p. 1313).
[8] “Noi dunque si fa così” scriveva Don Milani a Mario Lodi, a proposito della sua tecnica di scrittura collettiva “per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e sono capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi. Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due. Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini. Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene. Si ciclostila per averlo davanti tutti uguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta. Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola. Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire. Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza” (Scuola di Barbiana, 1967, pp. 126-127).
[9] Si tratta di una stima tratta dalla relazione resa in aprile al Senato dall’allora ministra Azzolina (“Il 67 per cento delle scuole che hanno attivato l’attività a distanza prevede per essa specifiche forme di valutazione. Attualmente più di 6,7 milioni di alunni sono raggiunti attraverso mezzi diversi da attività didattiche a distanza). Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione gli studenti italiani sono più di 8 milioni. Url: https://dati.istruzione.it/espscu/index.html?area=anagStu.
[10] Url: https://www.istruzione.it/scuola_digitale/allegati/Materiali/pnsd-layout-30.10-WEB.pdf.
Laura Parigi è ricercatrice presso l’Istituto nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa e si occupa di didattica e formazione degli insegnanti. Ha condotto ricerche sulle pratiche dialogiche e cooperative in ambito scolastico e sull’apprendimento della lettura e della scrittura. Ha pubblicato Spaesi. Un Atlante di geografia fantastica, INDIRE, Roma 2021, e Il dialogo euristico. Orientamenti operativi per una pedagogia dell’ascolto nella scuola primaria, Carocci, Roma 2019.