L’educazione popolare. Un’opportunità per Haiti | Popular education. An opportunity for Haiti

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Abstract

Il testo che segue racconta di un percorso di educazione popolare compiuto ad Haiti a partire dal 2011 da una piccola Associazione culturale italiana, che si occupa di educazione popolare, e opera per la promozione di processi educativi democratici dal basso.

Il processo, attivato a ridosso del terremoto del 2010, ha innescato la trasformazione delle pratiche educative di un territorio ed una popolazione piuttosto vasti, coinvolgendo progressivamente insegnanti, studenti, genitori, adulti impegnati nelle organizzazioni di base e modificando i paradigmi di alcune strutture organizzative (istituti scolastici, associazioni, organizzazioni comunitarie di base).

All’interno di un più ampio intervento, realizzato negli ultimi 9 anni ed ancora in corso, in questo paese tra i più poveri del mondo, si racconta, di seguito, il lavoro promosso all’interno di una grande scuola congregazionista, nella prima periferia della capitale Port-au-Prince.

Nel tempo, l’intervento continuativo nella scuola ha coinvolto direttamente 100 adulti insegnanti/educatori ed educatrici e indirettamente intorno alle 2500 persone; ha accompagnato la nascita di un’associazione locale per la promozione dell’educazione popolare, ha aggregato diverse altre organizzazioni anche internazionali e alimentato, seppur in maniera non ancora compiuta, il dialogo pedagogico sui processi educativi rivolti agli adulti ed all’infanzia degli attori e attrici primari coinvolti, cioè un gruppo di insegnanti.


Haiti: la perla nera dei Caraibi

L’Associazione “Popoli in Arte”, che verrà presentata nel paragrafo successivo, ha conosciuto Haiti nel 2010, quando l’isola ha subito il secondo terremoto più distruttivo della storia dell’uomo.

La catastrofe ha colpito Haiti in una condizione già disastrosa sia dal punto di vista politico, che socio-economico che sanitario, dato che Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale ed è classificato tra i paesi a reddito più debole e a più forte deficit alimentare del mondo. A dieci anni dal terremoto, nonostante l’ingente quantità di risorse orientate sul paese per la ricostruzione, Haiti rimane uno dei 20 Paesi più poveri del pianeta. Su più di undici milioni di abitanti (2020), oltre sei milioni di Haitiani vivono sotto la soglia di povertà, con meno di 2 dollari e mezzo al giorno, e più di due milioni sotto la soglia di povertà estrema, con poco più di 1 dollaro al giorno[1]. La maggior parte degli Haitiani non gode di una pensione, né di alcun tipo di ammortizzatore sociale, né di risparmio/accesso al credito.

Prima Repubblica nera della storia, Haiti ha guadagnato la propria indipendenza dalla Francia il 1° gennaio 1804, a seguito di una feroce rivolta degli abitanti schiavi culminato con un cruento massacro dei bianchi. In epoca coloniale era “perla delle Antille”, la più florida delle colonie francesi e probabilmente una delle colonie più ricche del mondo. In seguito, per un certo tempo, è stata meta di immigrazione di arabi, tedeschi, italiani, francesi, ecc[2].

Un secolo e mezzo di autocrazie predatorie, l’occupazione degli Stati Uniti d’America negli anni 1915-1935, trent’anni di dittature feroci da parte dei Duvalier padre e figlio (1957-1986), una rivolta popolare nel 1986 e l’ultima grande insurrezione nel 2004 sedata dall’equivoca mediazione di USA e Francia e con l’intervento dell’ONU, insieme alla costante e pressante ingerenza internazionale, ancor più cresciuta dopo il terremoto, ostacolando la formazione di partiti politici basati su gruppi di interesse sociale, hanno, di fatto, negato la premessa necessaria alla formazione di un percorso democratico.

L’inasprimento del conflitto sociale, basato sul colore della pelle a svantaggio della classe mulatta, i colpi di stato subiti dal governo Aristide e l’instabilità politica conseguente, il terremoto e l’ormai perdurante nuova ondata di instabilità politica e di violenza, che sta agitando il Paese dal luglio 2018, hanno alimentato negli  anni un’emigrazione degli Haitiani talmente elevata da fare di Haiti il paese con il maggior numero di immigrati nel resto del mondo in percentuale al numero di abitanti. La diaspora haitiana costituisce ad oggi con le sue rimesse formali ed informali circa un terzo del PIL e costituisce, di fatto, l’unico motore, in attivo, della fragile economia nazionale.

A causa della sua posizione geografica, Haiti si trova sulla traiettoria di cicloni tropicali e fa parte dei paesi che affrontano ogni anno inondazioni ed uragani, talvolta molto violenti, quali l’ultimo uragano Matthew nell’autunno 2017.

L'associazione culturale Popoli in Arte

L’Associazione “Popoli in Arte”, nata nel 2007 in Italia, con il doppio scopo di attivare processi partecipativi dal basso e di diffondere le pratiche dell'educazione popolare ispirate alla pedagogia di Paulo Freire, si è arricchita culturalmente negli anni attraverso contaminazioni ideali con altri ispiratori di pedagogia democratica o progressista che dir si voglia quali Augusto Boal, Danilo Dolci e don Lorenzo Milani e ancora attraverso declinazioni dell’educazione popolare nella veste dell’art-educazione.

Con gradualità, “Popoli in Arte” si è impegnata, sia sul piano pratico sia sul piano teorico, organizzando in proprio o suscitando attività che, sulla base di molteplici incontri di vita, si concatenano le une alle altre in processi educativi, che hanno luogo in contesti collettivi, evitando la mera occasionalità. “Popoli in Arte” opera in Italia, soprattutto nella provincia di Imperia dove ha la sua sede, ma anche in Piemonte e come co-fondatore e membro della Rete nazionale Freire-Boal. "Popoli in Arte" è attiva ad Haiti dal 2011.

Precedentemente al 2011, il curricolo estero dell’Associazione si sostanzia in una serie di scambi di competenze ed interventi educativi con il nord–est brasiliano negli anni 2007, 2009 e poi 2013–2015; e con un progetto di cooperazione internazionale con partner della Guinea Bissau in collaborazione con educatori brasiliani, sperimentando una concreta inter-relazione tra Italia, Brasile e Guinea Bissau. 

Haiti, le oppressioni evidenti e le risorse

a) La povertà asfissiante

La società haitiana vive da sempre una quotidianità molto difficile. Pochissime famiglie, parte dell’élite (- 10% della popolazione), che spesso neppure risiede ad Haiti, ma per lo più in Florida, hanno un tenore di vita elevato; mentre la stragrande maggioranza della popolazione, anche quando ha casa di proprietà e un lavoro, a dieci anni dal terremoto, conduce una vita precaria. Il costo della vita è elevato in proporzione al salario, che si aggira intorno ai €200,00 al mese per un insegnante che lavora a tempo pieno, mattina e pomeriggio.  In casa, l’insegnante medio non gode di accesso diretto all’acqua né di accesso all’energia elettrica. Chi dispone di un generatore è una minoranza. Non esiste un servizio di nettezza urbana, per cui lo smaltimento dei rifiuti diventa un problema cronico. Nell’area di Port-au-Prince il traffico è perennemente congestionato, la qualità dell’aria pessima, la possibilità di essere vittima di assalti o di essere accidentalmente colpiti da armi da fuoco è frequente. Chi vive negli altri nove dipartimenti del Paese, alle penurie descritte, sottrae solo il difetto della qualità dell’aria. Si aggiunga, inoltre, che il Paese parla ufficialmente francese e creolo haitiano, ma la stragrande maggioranza della popolazione parla solo creolo, non avendo così accesso a documenti, che si trovano redatti per lo più in francese.

b) L’instabilità politica recente

Se dal 2011 al 2018 si sono potuti osservare anni di miglioramento complessivo delle condizioni generali del paese, in particolare per quanto riguarda l’accesso al cibo da parte della popolazione, dall’autunno del 2018 la situazione politica si è fatta instabile con l’esplosione dell’opposizione al governo di Jovenel Moïse. Una questione politica in un contesto come quello haitiano sottintende, da sempre, l’intromissione di altri paesi. In questo caso, Stati Uniti e Francia sono stati gli attori nascosti e operanti, rispettivamente, i primi a sostegno del Presidente in carica, e, l’altra, a supporto dell’opposizione. Una larga diffusione di armi ha alimentato un’atmosfera di insicurezza e violenza diffusa: per le strade si sono combattute bande armate dai supporter del Presidente o dai seguaci dell’opposizione, che si sono espresse con efferate violenze ai danni dell’intera popolazione. In particolare nel periodo che va da settembre ad inizio dicembre 2019, la vita quotidiana è stata interrotta dai problemi, maggiori del solito, nelle comunicazioni, dalle incette e gli assalti di bande armate, che hanno prodotto un aumento vertiginoso dei prezzi, e dall’estrema difficoltà nel reperimento della benzina fuori da Port-au-Prince.

c) La società civile urbana

L’Associazione “Popoli in Arte” ha avuto come interlocutori principali educatori/insegnanti/animatori provenienti da una società civile urbana che può essere definita consapevole, nel senso di capace di riflettere sul proprio ruolo e sulle condizioni della propria nazione. Questa parte della popolazione trascorre la propria vita nella lotta quotidiana per dare da mangiare alla propria famiglia prossima e spesso alla propria famiglia allargata, che comprende sempre zii, cugini, nipoti disoccupati e bisognosi di aiuto. Tutti costoro sono, poi, legati ad una chiesa, nelle molte denominazioni protestanti o alla chiesa cattolica. Il legame con la propria chiesa assume un significato di appartenenza, di identità per il cittadino haitiano. Le diverse chiese coinvolgono a fondo i propri membri e nelle chiese protestanti parecchi fedeli diventano predicatori, ritrovando in tale ruolo senso e importanza. Le chiese si trasformano, come spesso accade non solo ad Haiti, in un ammortizzare sociale e in un luogo in cui esprimere le proprie aspirazioni a una realtà meno violenta.

d) La società civile urbana e la politica

Nonostante quanto sopra delineato, raramente la società civile urbana haitiana ha modo di formarsi politicamente. I più stanno lontani dalla politica quanto possono, perché le memorie delle dittature degli anni di Duvalier e del braccio armato dei Tonton Macoutes risvegliano veri e propri incubi del passato. In seguito all’ascesa e all’epilogo dell’impresa politica di Aristide, inoltre, la parte attiva della società haitiana ritiene la politica uno spazio deludente, corrotto e disonesto. Il modello politico imperante è autoritario e, a seconda delle circostanze, brutale. Peraltro, anche il modello familiare e sociale è altrettanto autoritario. Nelle scuole spesso la disciplina è corretta con l’uso della frusta, perpetuando un’idea di introiezione della regola per premi e punizioni – idea ben lontana da posizioni quali la costruzione collettiva delle regole e il significato delle regole come necessità minima per la vita in comune.

Più diffusa è la coscienza generica di vivere in un Paese sotto la sfera di influenza nordamericana. In rapporto agli Stati Uniti gli Haitiani manifestano un atteggiamento molto ambiguo: da una parte, assorbono i modelli di comportamento consumistici nordamericani, pur nel poco che possiedono; dall’altro, considerano gli Stati Uniti come la causa della propria mancata indipendenza politica. Attraverso gli Stati Uniti arrivano ad Haiti anche molti predicatori di fedi o sette che portano qualcosa del mito americano dell’uomo che si fa da sé, della frontiera, del piccolo gregge eletto rispetto al resto dell’umanità peccatrice.

e) Gli Haitiani, il peso della storia e il rapporto con l’uomo bianco

Nei termini freiriani con cui proviamo ad analizzare questa storia, gli oppressi Haitiani che vanno al potere localmente hanno aspirato e aspirano, dal tempo della loro indipendenza ad oggi, a sostituirsi agli oppressori di un tempo, senza processi di revisione del proprio passato. Inoltre, il fatto che il popolo haitiano nel suo insieme non sia riuscito mai a raggiungere una qualità di vita accettabile ha fatto sì che le aspirazioni e gli orgogli di chi si è liberato dagli oppressori si mescolassero spesso con la consapevolezza vergognosa di essere ancora dei vinti[3].

Inoltre, si ricorda che il popolo haitiano è la sintesi di molti popoli africani: di questa ricchezza appare maggiore e più positiva contezza tra quella parte di società haitiana, a cui si fa riferimento e che si insiste nel definire consapevole. Negli ultimi anni vengono pubblicati riflessioni e studi a questo riguardo e, finalmente, questo può dare orgoglio positivo agli Haitiani di oggi. Tuttavia, anche in questo caso, il quadro di riferimento è complesso. La società haitiana, nel corso dei secoli, ha sviluppato pratiche e idee, che suggeriscono comportamenti e orientano scelte che, viste con gli occhi di fuori, appaiono dure. Ci si riferisce a certe pratiche vodoo o a riti che, a volte, irretiscono volontà, applaudono ad abusi verso giovani donne, cercano capri espiatori e vendette ataviche per estirpare un supposto male spirituale, morale o materiale nella vittima del caso. Tutte queste pratiche lasciano nelle relazioni interpersonali, un velo di sospetto verso l’altro, portatore possibile di un qualche male incontrollabile, verso cui è sempre meglio rimanere prudenti. E ancora tutte le volte, in cui si entra in contatto con uomini bianchi, per gli Haitiani, è meglio sospettare: meglio è accostarsi all’uomo bianco per poterne carpire un po’ di potere, che vuol dire prosaicamente denaro o un po’ di compassione, che significa favori. Gli Haitiani restano guardinghi, poi, se in un contesto comunitario qualcuno avanza più di altri quando è davanti ad un uomo bianco, perché gli altri del gruppo possono pensare che si stia tradendo la propria tribù nera e perché chi avanza presto può incontrare la vendetta di chi è rimasto indietro. Emozioni e passioni viscerali operano nelle persone poste in contatto con l’esotico che è per gli Haitiani l’uomo bianco, comunque quest’ultimo arrivi a loro.

Dieci anni di lavoro per la promozione dell'educazione popolare

All’interno del contesto appena descritto, che tipo di pratiche educative si possono sperimentare?

Di seguito si presenta l’esperienza dell’Associazione “Popoli in Arte” ad Haiti, parte di un percorso più ampio con altri partner locali.

a) Fase di attività 2011-2013

Nel 2011, con l’accompagnamento dell’Associazione “Popoli in Arte”, l’Istituto scolastico “Saint Charles Borromée” di Croix des Bouquets ha intrapreso un primo percorso formativo finalizzato a riassestare l’organico e ridefinire la propria strategia educativa rispetto a un territorio gravemente segnato dai danni del sisma del 2010.

L’intervento aveva come obiettivo il potenziamento delle competenze degli insegnanti ed il rafforzamento organizzativo. È durato tre anni, articolandosi in interventi di formazione in loco ed una supervisione a distanza.

Il percorso ha, innanzitutto, aperto un ampio spazio di ricerca ed un lungo periodo di ascolto dei e soprattutto tra gli insegnanti, offrendo stimoli e spazi per porsi e condividere alcune domande di fondo: che lettura facciamo della situazione culturale, storica, sociale e politica del nostro Paese? quale cambiamento auspichiamo? di quali uomini e donne abbiamo bisogno per arrivare fin lì?  come la scuola può supportare la loro formazione? che tipo di educazione abbiamo ricevuto noi? a quale postura siamo stati educati?

Il primo anno di lavoro si snoda in incontri, laboratori, supervisione e pratica degli insegnanti nelle rispettive classi per indagare, scoprire e sperimentare insieme un protagonismo nuovo, un’attitudine diversa rispetto a quella appresa e insegnata, riconosciuta come pratica dominante, accettata e reiterata, che portava i docenti a un approccio di mera trasmissione del sapere ai propri alunni, mnemonico, conservatore, acritico. È un lavorio che scende in profondità nel personale di ogni insegnante, che si fa condivisione tra colleghi nel riconoscimento reciproco e nel desiderio di costruire un cambiamento comune. Nell’esercizio del dialogo maieutico, la scoperta della propria natura di soggetti, di esseri storici, di attori capaci di scrivere la storia, libera progressivamente dal fatalismo, spinge fuori dallo stato di inerzia e anima, motiva, attiva.

Emergono, in quel contesto, gli stereotipi e i vissuti oppressivi e castranti, che tradizionalmente connotano in Haiti la relazione educativa e si attiva un processo di liberazione dal dover-essere dell’insegnante, che si scopre creativo, capace di portare se stesso nella scuola per creare la scuola. Ogni soggetto coinvolto esplora in sé e con gli altri i miti e le contraddizioni mai prima messi in discussione, lasciando progressivamente spazio a nuova curiosità, nuova ricerca.

Con la seconda annualità, il lavoro si sposta sulla costruzione e codificazione collettiva di nuovo sapere. Insieme, l’intero corpo insegnanti, con l’equipe dirigente della scuola, apprendono e comprendono che la scuola può non solo insegnare a leggere e scrivere, ma anche trasformare se stessa, il proprio territorio e il futuro del proprio Paese, rigenerandolo a immagine dei propri bisogni riconosciuti e liberati durante lo stesso percorso formativo[4].

Nella scuola si sviluppa una dimensione di corpo tra gli insegnanti: il mettersi in gioco, l’esprimersi stimola una maggiore consapevolezza tra loro ed attiva nuove logiche di attenzione ed interesse gli uni nei confronti degli altri che dirompono tra le logiche giudicanti e competitive, che, inizialmente, caratterizzavano le loro relazioni. L’organizzazione si ristruttura, legittimando nuovi spazi di partecipazione e nuove responsabilità, quali i dipartimenti per materia, le programmazioni per classi parallele, i gruppi di lavoro per attività extracurricolari o le equipe di responsabili per settore della scuola con una maggiore divisione dei compiti e dei poteri.

Durante la terza annualità si consolida il processo, aumenta il numero delle classi e dei docenti ed il processo avviato si socializza e si struttura nel nuovo assetto. Il lavoro avviato si confronta con il territorio, aprendo nuovi spazi di confronto con i genitori degli allievi e nuove proposte formative per gli adulti, soprattutto analfabeti[5].

b) Fase di attività 2013-2018

Dalla fine del 2013 si sono susseguiti tutti gli anni almeno due corsi l’anno per gli insegnanti della scuola “Saint Charles Borromée”. Concretamente, si è costruito un curricolo verticale, che ha declinato il curricolo nazionale del 2014 del Ministero dell’Educazione haitiano con le metodologie dell’educazione popolare. Dal 2013 la scuola “Saint Charles” ha attivato corsi per l’alfabetizzazione degli adulti, in cui si sono sperimentate in modo massiccio le metodologie dell’educazione popolare, affidando questi corsi agli insegnanti più coinvolti nella formazione con “Popoli in Arte”. Nel tempo, gli insegnanti, soprattutto quelli della scuola dell’infanzia e primaria, hanno acquisito e sono diventati capaci di utilizzare molti strumenti dell’educazione popolare. Il loro utilizzo ha inciso non solo sulle metodologie didattiche, ma anche sull’oggetto dell’insegnamento con una inserzione di contenuti che rivalutano e discutono le proprie tradizioni locali[6].

Tra gli insegnanti della scuola cresciuti progressivamente fino al numero di 80, un gruppo di 9, dal 2013 in poi, ha seguito una formazione più intensa, su base volontaria e nel corso del tempo ha fondato il PEPH, l’Associazione “Prometeurs d’Éducation populaire en Haïti”.

c) Fase di attività 2018 - 2020

Il PEPH ha ricevuto nel 2018 il riconoscimento come Associazione no-profit da parte del Ministero haitiano degli Affari Sociali. Il gruppo degli educatori popolari, che ha fondato il PEPH, apporta un particolare supporto pedagogico alla scuola “Saint Charles” e, infatti, la Direzione della scuola ha riconosciuto ai membri del PEPH ruoli - chiave nella sua organizzazione interna. Allo stesso tempo, il PEPH opera in modo autonomo, avendo creato in tre dipartimenti del Paese nuclei di educazione popolare, alcuni nello stesso comune di Croix des Bouquets, altri più lontani fino a Marchand Dessalines a nord, a Miragoâne a sud-ovest e a Thomonde a sud-est. Ogni gruppo locale nato dagli educatori popolari (in alcuni casi si tratta di un gruppo di formazione per altri educatori, in altri casi è un gruppo di animazione di una comunità o di un quartiere, oppure ancora un gruppo di attivismo civico giovanile) si incontra circa una volta al mese e in incontri più lunghi due volte l’anno e, in base alla sua composizione e al contesto, ha originato frutti diversi. Ogni due anni il PEPH organizza un incontro nazionale, in cui si ritrovano le rappresentanze di tutti i gruppi locali. Attualmente, il PEPH sta curando la formazione di nuovi membri formatori e si sta aprendo a nuove collaborazioni, esterne alla scuola e ai gruppi locali sorti in prima istanza.

Da parte sua, l’Associazione “Popoli in Arte” continua ad accompagnare il processo in atto e, quindi, il percorso di autonomia e di auto-determinazione degli educatori come singoli e come insieme, nella loro capacità di costruire una programmazione educativa, con una metodologia, una valutazione e un’analisi del processo messo in campo coerenti. In questo lungo cammino si inserisce negli ultimi anni lo stimolo da parte di “Popoli in Arte” all’autonomia economica e non solo gestionale del PEPH. 

Scelte metodologiche

Per la storia di “Popoli in Arte”, educare è educare insieme a livello individuale e di gruppo. L’Associazione intende l’educazione come attivazione di processi di coscientizzazione socio-politica per una trasformazione della società[7].

a) Il dialogo – Le relazioni al centro

La relazione con le persone che l’Associazione ha conosciuto e con le istituzioni, piccole e meno piccole, con cui ha interagito sono state varie, ma improntate alla ricerca costante della parità e dello scambio. Sia per scelta sia per necessità (il fatto di disporre di somme di denaro molto piccole, al massimo €14.000,00 l’anno), l’Associazione non si è mai presentata come una controparte capace di rispondere a grosse esigenze come il mantenimento di una scuola, per esempio. I partner di “Popoli in Arte”, pur a volte credendo che la capacità contributiva dell’Associazione fosse maggiore di quella che è, tuttavia, hanno sempre avuto consapevolezza che le sue possibilità sono oggettivamente limitate. Chiarito ciò, diversi altri singoli o piccole istituzioni, che hanno conosciuto l’Associazione, l’hanno scartata nel partenariato, perché hanno compreso che essa non aveva la base economica per rispondere alle loro aspettative. Viceversa, anche “Popoli in Arte”, dopo piccoli esperimenti, ha evitato di avere a che fare con gruppi alla ricerca di denaro per scopi diversi da quelli finalizzati alla promozione dell’educazione popolare. Allo stesso modo, l’Associazione non è stata e non è finanziatrice di progetti solo suoi, sebbene sia onesto spiegare che le sue raccolte fondi rispondano ai programmi dell’Associazione stessa ad Haiti.

Specificando ancora cosa l’Associazione intende per “relazione con le persone”, si sottolinea che i membri dell’associazione conoscono personalmente tutti i referenti territoriali in modo abbastanza approfondito e continuativo: con un gruppo di nove persone si è in contatto costantemente e regolarmente dal 2011, grazie anche alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Negli ultimi anni il contatto arriva a scambi di informazioni di lavoro anche bisettimanali, cosa che alimenta una forte relazione educativa reciproca.

b) Una cooperazione tra pari: da una logica di potere all’empowerment

Come è possibile tenere insieme da così tanti anni persone, che non ricevono da noi un salario? Si può provare a trovare la risposta intorno a due nodi:

  • l’obiettivo delle persone coinvolte
  • il supporto di una istituzione locale.

Le persone coinvolte nel tempo, che sono diventate educatori popolari, hanno investito il poco tempo libero a loro disposizione a favore dei villaggi d’origine, a cui si sentono ancora legati, perché hanno familiari o beni e che desiderano genuinamente vedere migliorare. Lo stare insieme degli educatori è stato supportato dall’appoggio di una scuola locale, che ha un suo riconoscimento presso il Ministero dell’Educazione haitiano ed è la missione della congregazione religiosa cattolica dei Padri Scalabriniani. L’appoggio della scuola “Saint Charles” ha dato al gruppo degli educatori un luogo fisico dove potersi incontrare negli anni e insieme ha costituito anche il riferimento primo, che gli stessi educatori hanno potuto dare a terzi, a cui si sono rivolti.

Completa il nodo delle relazioni il rilancio continuo del dialogo su un piano di parità. Quindi, se nei primi anni l’Associazione ha proposto un percorso di scoperta dell’educazione popolare a tutta la scuola, successivamente ha lasciato che esso operasse di per sé nella scuola e ha stimolato l’impegno degli insegnanti volontari per un maggiore approfondimento. Quegli insegnanti sono diventati progressivamente educatori popolari. Le relazioni si sono fatte articolate e, mentre “Popoli in Arte” si lascia guidare dal macro-obiettivo del progressivo e mutuo processo di liberazione, gli educatori haitiani, con cui si è in contatto, man mano hanno proposto temi di discussione, metodi di organizzazione e auto-organizzazione, gruppi di lavoro etc. da loro messi in piedi. Uno snodo importante e concreto della relazione è avvenuto, quando il gruppo dei nove originari educatori ha deciso di formare un’associazione locale di educazione popolare e ha condotto il processo burocratico per l’accreditamento dell’associazione presso il Ministero degli Affari Sociali. È stato importantissimo che la loro Associazione non avesse nulla a che fare con “Popoli in Arte” dal punto di vista giuridico e organizzativo: il coordinatore è uno tra i nove originari educatori ed è stato scelto con consenso tra tutti i membri fondatori, tutti e tutte haitiani.

Altra prova della relazione di parità sta nell’uso della gestione delle risorse economiche. Nelle attività di cooperazione, spesso la controparte locale ha dei filtri, fatta di intermediari occidentali siano essi religiosi oppure personale espatriato. Dopo i primi anni di attività”, si è compreso che l’autonomia gestionale del denaro avrebbe qualificato la relazione e, così “Popoli in Arte” ha cominciato ad inviare il denaro per le attività direttamente agli amici haitiani. Finora, l’impegno economico diretto ha funzionato bene con la dimostrazione che un rapporto paritario passa anche da un’autonomia gestionale, tale per cui gli educatori haitiani sono sempre più consapevoli di quello che si può realizzare e non si può realizzare con il supporto esterno. Da più di un anno si stanno muovendo dei passi verso l’autonomia economica vera e propria del gruppo con i primi tentativi, da parte del PEPH, di scrittura di progetti in proprio da presentare a possibili finanziatori; purtroppo, le ultime condizioni generali del Paese stanno bloccando queste attività, per cui occorre al momento solo continuare ad alimentare il desiderio dell’autonomia economica.

c) A piccoli passi, obiettivi a medio e lungo termine

Un secondo nodo importante è stato ed è l’individuazione progressiva di obiettivi a medio e a breve termine e la pratica di costanti valutazioni. Per offrire un esempio, soprattutto nel 2016-2017 gli educatori del PEPH hanno intercettato per la prima volta il fenomeno dell’emigrazione haitiana verso il Brasile e il Cile, paesi verso cui è accettata la VISA da Haiti. Si sono interrogati sul fenomeno, hanno ragionato e cercato di attivare piccole attività per evitare esperienze di fuga spesso gravide di ulteriori fatiche e delusioni. Una risposta per esempio è stata la proposta delle banche comuni (banques communales), una forma semplice di auto-mutuo aiuto tra i partecipanti al gruppo di educazione popolare. Queste esperienze hanno funzionato bene e hanno incentivato vari membri dei gruppi a restare nel Paese.

Nel tempo, i gruppi di educazione popolare sono diventati undici e le persone coinvolte circa 200. Attualmente, dall’Italia “Popoli in Arte” accompagna il processo, attenta a che l’aspetto comunitario cresca, che si lavori sulla leadership – perché in un paese autoritario come Haiti la tentazione di leadership autoritarie è sempre in agguato – che si armonizzi crescita individuale e collettiva. Ma gli amici haitiani decidono i loro obiettivi, i loro temi di lavoro, i loro metodi, le loro valutazioni in discussioni collettive, con un buon gioco di pesi e contrappesi vicendevoli rispetto al potere.

d) “La testa pensa dove stanno i piedi” ossia il peso specifico del contesto

Ancora un altro nodo importante è il tenere sempre conto del contesto. Ad Haiti nel 2011, e probabilmente tuttora, è molto diffusa l’uso della fouette (frusta) a scuola come strumento di correzione rispetto a comportamenti scorretti. “Popoli in Arte” non ha mai espresso una valutazione in merito, pur rimanendo attenta alla questione: alcuni mesi dopo il primo corso intensivo di educazione popolare, la scuola ha comunicato all’Associazione che si erano riuniti tutti gli insegnanti con la Direzione della scuola e avevano deciso di cambiare il regolamento scolastico, eliminando l’uso della frusta. Anzi, da quel momento in poi i nuovi assunti avrebbero dovuto sottoscrivere nel contratto che si sarebbero astenuti dall’uso della bacchetta correttiva. Dopo le violenze del 2018 si è venuti a sapere che, purtroppo, proprio per le tensioni a cui tutti sono sottoposti, alcuni insegnanti hanno ripreso l’uso della frusta, ma tutti sono pure consapevoli che questa pratica è un problema.

Tenere conto del contesto può avere sfumature molto diverse: per “Popoli in Arte” ha voluto dire anche mettersi in relazione con il contesto religioso della congregazione che è padrona della scuola e con la congregazione che la gestisce e presso cui gli educatori popolari lavorano come insegnanti. Prendere in considerazione tutto ciò ha richiesto e richiede attenzione rispetto al punto di vista da cui si situano gli interlocutori dell’Associazione, compiendo, a volte, dei compromessi nelle proposte, perché gli avanzamenti educativi globali siano possibili e durevoli. Progressivamente, mentre gli educatori hanno acquisito autonomia di giudizio, fondatezza, acutezza e anche molte capacità pratiche nella redazione di rapporti, bilanci etc., anche davanti alla scuola, la loro posizione si è rafforzata; non solo sono stati riconosciuti dalla scuola stessa con posti di responsabilità, come si è già accennato, ma anche hanno accresciuto il loro potere contrattuale verso tale istituzione.

Esiti e prospettive

Nei primi tre anni si è passati da una organizzazione gerarchica, con 60 professori ubbidienti e disamorati, affatto collaborativi, che mantenevano la disciplina in classe con la minaccia e l’uso del fouette e 400 allievi che imparavano tutto solo a memoria, a una scuola nuova: 900 allievi, 80 insegnanti, processi decisionali partecipati, spazi di dialogo e confronto tra insegnanti e con la direzione, una nuova didattica mediata dalla relazione tra docenti e discenti e dal mondo che entra in classe come mezzo su cui si articola lo studio delle differenti discipline, insegnanti più creativi, liberati dallo stereotipo del maestro-padrone, motivati a rinnovare la scuola per rinnovare il proprio Paese. Negli anni la scuola si è aperta e ha incentivato esperienze artistiche di vario tipo; ha costituito classi di educazione degli adulti, che sono arrivati a superare il grado elementare.

Dal 2013 è nato il gruppo del PEPH che ha operato a nome e per conto della scuola per diversi anni ed è ufficialmente diventato autonomo nel 2018, diffondendo la cultura e la pratica dell’educazione popolare in diverse città del Paese. La metodologia ha dimostrato una notevole duttilità, perché si è innestata sia in contesto urbano come a Saint Marc o nella stessa Lilavois sia in contesto rurale come presso le comunità di Marchand Dessalines o di Jeannette vicino Miragoâne; ha modo di parlare tanto a altri insegnanti come a Mirabalais e a Lilavois quanto a contadini come nella già citata Marchand; fa accordi con un liceo locale a Saint Marc o con una locale chiesa protestante come a Bon Repos. Ovunque la metologia in uso è quella dell’educazione popolare e, in alcuni casi, nello stesso anno sociale, gruppi diversi toccano gli stessi temi formativi, a volte si impegnano su temi diversi in base alle specifiche necessità. Spesso temi simili portano ad impegni pratici diversi: esperienze di auto-mutuo-aiuto in qualche caso, esperienze delle banche comuni in altri casi, esperienze di auto-formazione in altri casi ancora.

Oggi, l’esperienza si sta viralizzando e il PEPH ha ricevuto segni di attenzione da più realtà di quelle che riesce a seguire. Ha scambiato buone pratiche con un’altra realtà di cui si occupa “Popoli in Arte”, la FDDPA (Forza per la difesa dei contadini della montagna), una storica associazione contadina con sede a Cabaret.  Si annota che nel 2019 Caritas Ticino ha chiesto al PEPH di svolgere un corso di formazione di due settimane per gli operatori sociali dei progetti finanziati dalla stessa organizzazione nel Paese. Nel 2019 Caritas Germania aveva approvato un progetto di formazione ampio che avrebbe sostenuto gli incontri nazionali di educazione popolare all’interno di un piano di progetti sulla prevenzione di rischi e disastri. Purtroppo, la crisi politica nel corso dell’anno 2019 ha bloccato il finanziamento. Il gruppo è entrato anche in contatto con la Rete latino-americana per la formazione degli adulti.

Il PEPH continua ad impegnarsi nella ricerca e azione per la diffusione dell’approccio critico-dialogico-problematizzante con altre scuole e organizzazioni sociali nei diversi dipartimenti del Paese.

I risultati negli anni sono molti e, sebbene gli eventi politici e sanitari stanno mettendo a dura prova tutti e tutto, se ne indicano alcuni.

a) È possibile mettere in moto risorse che operano con uno spirito di gratuità. Gli insegnanti e la Direzione della scuola “Saint Charles” e gli educatori del PEPH non hanno mai ricevuto denaro come compenso per il loro operare, ma solo rimborsi spesa per trasporto, vitto e alloggio per loro e vitto per coloro che partecipano agli incontri formativi, visto che l’impiego di ogni giornata di lavoro per la formazione non riceve compensazioni ad Haiti.
b) È possibile in un contesto come Haiti educare puntando contemporaneamente sull’individuale e sul collettivo secondo l’approccio dell’educazione popolare. Gli insegnanti della scuola “Saint Charles” e gli educatori del PEPH sono seguiti a livello personale e collettivo, quando membri dell’Associazione “Popoli in Arte” vanno sul posto e organizzano corsi di formazione per loro. C’è un buon equilibrio tra i due percorsi.
c) È possibile in un contesto come Haiti attivare esperienze educative che guardano al processo e non solo ai risultati. L’attenzione ai soli risultati o ai risultati in tempi contingentati avrebbe messo una forte pressione sugli insegnanti e sugli educatori, perché sarebbero stati percepiti come obiettivi di esterni. Invece, lo sguardo al processo ha deviato l’attenzione di insegnanti ed educatori da giudizi stereotipati e ha convogliato il fuoco sui potenziali da animare.
d) È possibile in un contesto come Haiti attivare un’educazione che sia insieme teorica, di riflessione e pratica. Con ciò si fa riferimento all’enorme quantità di materiale didattico nato dagli educatori e insieme si ripensa alla splendida esperienza delle banche comuni che permettono dopo due anni di attività di cumulare un capitale sufficiente per accedere al credito degli istituti bancari convenzionali, ma anche all’attivazione di progetti collettivi volti alla auto-produzione del cloro per la potabilizzazione dell’acqua.
e) È possibile in un contesto come Haiti attivare un collettivo in cui c’è molto equilibrio di genere nel lavoro e nelle responsabilità. All’interno del PEPH attualmente ci sono 8 educatori e 7 educatrici.
f) È possibile in un contesto come Haiti lavorare sul tema dell’autonomia e della libertà e così arrivare a toccare temi tabù. Con la crescita della fiducia reciproca, è stato possibile negli anni parlare dell’eredità schiavista in Haiti e di diverse tradizioni proprie: anche se ci sarebbe ancora molto da approfondire su questo tema, tuttavia, con cautela si sono aperte le conversazioni su un gran numero di argomenti di approccio difficile o controverso. Tra questi, il nodo della sessualità e della violenza di genere è stato un argomento su cui si è lavorato per un intero anno con moltissima attenzione, data la forte diffusione della violenza domestica ovunque nel Paese.
g) È obiettivo in un contesto come Haiti arrivare ad esperienze educative di piena autonomia. L’autonomia è davvero un orizzonte ambizioso ad Haiti e già l’autonomia gestionale raggiunta nel lavoro tra “Popoli in Arte”e il PEPH è una esperienza di sostanza. Tutte le esperienze note che vedono l’intervento di denaro estero, ma le stesse realtà formative promosse da denaro locale ad Haiti funzionano letteralmente sotto chiave, nel senso che ogni porta in ogni struttura comunitaria è tenuta sotto chiave, perché si temono costantemente ladri dall’interno e dall’esterno della struttura in un clima di sospetto diffuso. Rispetto a questa logica si è provato a tracciare un percorso diverso e si è andati oltre proprio con la cartina al tornasole che è l’uso del denaro. Affidare ad un haitiano appartenente ad una classe sociale medio-bassa una quantità di soldi pari allo stipendio complessivo di un anno, due volte l’anno, e confidare che questi divida i soldi secondo il preventivo e che tutti gli altri colleghi ricevano la quantità condivisa e che con questa quantità si svolgano dei corsi formativi a 30° C è una scommessa. Nel momento in cui si è compiuto questo passo la Direzione della scuola “Saint Charles” in mano a religiosi non haitiani non si è opposta all’esperimento, ma certo non l’ha valutata come una scelta prudente. Il risultato è stato sorprendente, perché la gestione è stata curata con scrupolo: tutti – questi tutti che da molti anni lavorano per il bene comunitario, che scelgono loro stessi e loro stesse – hanno ricevuto secondo il convenuto.

Bibliografia

Aa, Vv., Atti seminario Giornata maieutica. Il metodo nonviolento nell’esperienza di Danilo Dolci, Centro Studi e Iniziative Europeo e Università degli Studi di Palermo, Palermo, 2002.

Belleguarde W., Manuel d’histoire d’Haïti, Forgotten Books, Londra 2017.

Gasner J., Liberation du vaudou dans la dynamique d’inculturation en Haiti, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1999.

Joint L. A., Education populaire e Haiti: Rapport de Ti Kominote Legliz” et de organisations populaires, L’Harmattan, Parigi 1996.

Rottino M.P. - Zumbo A., Nous sommes l’histoire, Association “Popoli in Arte”, Sanremo 2013.

Zumbo A., Alfabetizzazione non è insegnare a ripetere parole, ma a dire la propria parola, in www.melting.org, Padova 2016,

Zumbo A., L’educazione critica dialogica problematizzante: una leva per il cambiamento delle comunità locali, in Aa. Vv., Comunità che innovano - Prospettive ed esperienze per territori inclusivi, a cura di T. Ciampolini, Franco Angeli, Torino 2019.

Anna Zumbo è co-fondatrice dell’Associazione italiana “Popoli in Arte” e membro della Rete italiana Freire-Boal. È consulente e formatore con pubbliche amministrazioni, università, organizzazioni del terzo settore e imprese in progetti sistemici di trasformazione organizzativa, sui temi dell’innovazione e dell’inclusione sociale, per la mobilitazione e l’empowerment di comunità e territori, declinando i propri interventi con l'approccio metodologico delle pedagogie critiche e democratiche. Lavora in Italia ed in paesi dell’Africa francofona e del Centro America nel campo del rafforzamento dele organizzazioni e dello sviluppo di comunità.

Maria Paola Rottino è co-fondatrice dell’Associazione “Popoli in Arte”. È anche co-fondatrice e membro della Rete nazionale italiana Freire-Boal. È venuta in contatto con l’eredità dell’educazione popolare che si riferisce a Paulo Freire nel 1999-2000 mentre viveva nel Nord-est brasiliano. Da allora, è fortemente impegnata nel campo educativo e sociale in Italia, mettendo in pratica, adottando e sostenendo un approccio freiriano nelle scuole, nei contesti sociali e politici in cui si è trovata ad operare. Attualmente insegna italiano e latino presso il Liceo Cassini di Sanremo.

 

[1] www.banquemondiale.org

[2] W. Belleguarde, Manuel d’histoire d’Haïti, Forgotten Books Londra, 2017.

[3] J. Gasner, Liberation du vaudou dans la dynamique d’inculturation en Haiti, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1999. L. A. Joint, Education populaire e Haiti: Rapport de Ti Kominote Legliz” et de organisations populaires, L’Harmattan, Parigi 1996.

[4] AA. VV., Atti seminario Giornata maieutica. Il metodo nonviolento nell’esperienza di Danilo Dolci, Centro Studi e Iniziative Europeo e Università degli Studi di Palermo, Palermo 2002.

[5] M. P. Rottino, A. Zumbo, Nous sommes l’histoire, Association “Popoli in Arte”, Sanremo 2013.

[6] Url: shorturl.at/lzOY7.  A. Zumbo, Alfabetizzazione non è insegnare a ripetere parole, ma a dire la propria parola, in www.melting.org, Padova 2016.

[7] A. Zumbo, L’educazione critica dialogica problematizzante: una leva per il cambiamento delle comunità locali, in T. Campolini (a cura di), Comunità che innovano - Prospettive ed esperienze per territori inclusivi, Franco Angeli, Torino 2019.