Le funzioni politiche dei docenti e dei virtual learning environments nella didattica partecipata universitaria on-line | he political functions of teachers and virtual learning environments in participatory online university teaching
DOI: 10.5281/zenodo.8150458 | PDF | Educazione Aperta 13/2023
With the experimentation in numerous university courses of virtual educational environments, the recent pandemic reactivates the sociological debate around the democratization of university education. The inclusivness offered by online courses does not indicate by itself and automatically an advance in the process of democratization of university education. Rather, it seems to contribute to a redefinition of the problem. Placing itself in the wake of pragmatic-cognitive sociology and following an action-research method, this contribution analyzes an experimental teaching practice, the thematic on-line workshop, conducted, in the academic year 2020-2021, at an Italian telematic university to understand which social participation mechanisms are activated and thanks to which professional functions.
The analysis highlights the "political function" that the teacher and the virtual learning environment share in validating democratic ways of thinking and acting within the workshop.
Keywords: University Education and Democracy, Democratic Teaching Practices.
Introduzione
La recente pandemia da Covid 19, con la sperimentazione in numerosi corsi universitari di ambienti didattici virtuali (Ramella e Rostan, 2020; Gambardella et al., 2020) porta al centro della riflessione sociologica la possibilità dei corsi universitari on-line di accrescere la partecipazione della popolazione alla formazione universitaria. L’inclusività dei corsi universitari on-line, la loro possibilità di promuovere la frequenza di studenti che altrimenti sarebbero esclusi, per esempio per ragioni economiche, non sembra però indicare, da sola e automaticamente, un avanzamento nel processo di democratizzazione dell’istruzione universitaria (Papacharissi, 2010; Luppi et al., 2020; Pompili e Viteritti, 2020).
Agli inizi degli anni ’70, Boudon in l’Inegalité des chances (1973), contestava il determinismo presente nelle analisi dei meccanismi di riproduzione della stratificazione sociale di cui il sistema scolastico e universitario erano parte integrante (Bourdieu e Passeron, 1964). Secondo il sociologo francese, non erano solo le condizioni di partenza, i diversi “capitali” di cui gli studenti disponevano a tratteggiare il loro successo scolastico e a garantire la loro futura mobilità sociale, quanto la combinazione dinamica tra una pluralità di fattori. Tra questi ultimi, la motivazione degli attori coinvolti nei processi di formazione e le dinamiche sociali attivate durante il processo di apprendimento costituivano un campo di analisi privilegiato.
A distanza di cinquant’anni, la tesi di Boudon appare ancora feconda e invita a esplorare le condizioni istituzionali e professionali che contribuiscono alla forma democratica dell’istruzione superiore.
Situandosi nel solco della sociologia pragmatico-cognitiva, questo contributo analizza con il metodo della ricerca-azione (Tarsia, 2020) una pratica didattica sperimentale, il workshop tematico on-line, condotta, nell’anno accademico 2020-2021 presso un’università telematica italiana con lo scopo di comprendere quali meccanismi di partecipazione sociale si attivano e quali funzioni professionali e tecniche li alimentano.
La presentazione dello studio è articolata in tre parti. La prima è dedicata alla comprensione dell’apporto teorico che la sociologia pragmatico-cognitiva può offrire alla comprensione delle forme democratiche che, in un contesto specifico come quello telematico, può assumere il lavoro professionale accademico. La seconda parte è invece dedicata all’analisi del metodo di ricerca utilizzato per studiare il workshop tematico on line e all’analisi dei meccanismi di partecipazione sociale attivati durante la sua realizzazione. Mentre, infine, la terza parte è riservata a una riflessione sui significati politici emergenti dall’esperienza didattica analizzata.
L’apporto della sociologia pragmatico-cognitiva
La tesi che Boudon espone in L’inegalité des chances appare ancora attuale per una molteplicità di cause. Come alcuni commentatori del volume colsero subito (Lautman e Rolle, 1975), l’innovazione in esso contenuta non si limita a proporre una visione politica alternativa allo strutturalismo di matrice marxista, ma veicola un potenziale esplicativo straordinario connesso alla scoperta delle molteplici forme con cui i diversi fattori causali possono, combinandosi differentemente, trasformarsi in chances di uguaglianza sociale[1]. La tesi boudoniana muove da una teoria della giustizia sociale non meramente distributiva e dall’intenzione epistemologica di dare un primato analitico alla trama dell’intersoggettività sociale[2]. In una simile prospettiva di ricerca, sono soprattutto le interdipendenze tra i diversi contesti educativi e le loro reciproche legittimazioni a divenire significative, a costituire, nel corso del tempo, le strutture di opportunità idonee a promuovere non solo il successo scolastico degli individui, ma più generalmente la loro mobilità sociale.
La ricostruzione “dell’operazione sociologica” compiuta dal Boudon in l’Inegalité des chances è per noi, ancora oggi, importante soprattutto poiché in essa è possibile cogliere gli elementi essenziali della tradizione sociologica pragmatico-cognitiva. Sulle orme di Berger e Luckmann (1966) e riprendendo il pensiero di Dewey (1938), Boudon afferma la rilevanza sociologica dell’esperienza educativa in quanto esperienza sociale.
Costituire l’esperienza educativa come oggetto privilegiato della ricerca sociologica significa dare importanza alla sua imprescindibile dimensione sociale e al suo connesso carattere trasformativo. Nella prospettiva della ricerca qui proposta significa esplorare nel corso di un’attività didattica le funzioni costitutive che l’intersoggettività svolge nella genesi e nella giustificazione collettiva di quella che si potrebbe definire una mentalità democratica. Come insegnatoci da Mead (1934), le interazioni che gli individui vivono sono sempre interazioni simboliche regolative del loro rapporto con la realtà e funzionali a istituire al contempo le loro soggettività e gli ambienti sociali in cui essi vivono. Rispetto a questo approccio, le morfologie democratiche delle società non costituiscono settori specifici della realtà, ma, al contrario, partecipano alla co-strutturazione dei molteplici mondi vitali in cui gli individui interagiscono. Conseguentemente, il nesso tra università e democrazia non è un nesso tra settori e temporalità distinte della realtà, non è un rapporto tra un prima e un dopo o tra una forma educativa e una forma politica della realtà, ma è un rapporto costitutivo dell’esperienza formativa universitaria considerata deweynamente come forma di vita (Dewey, 1916). L’esperienza educativa universitaria non è analizzabile, dunque, semplicemente come un’esperienza che predispone gli studenti alla condivisione di una mentalità democratica, ma appare in sé un’esperienza democratica. La valorizzazione della dimensione democratica dell’esperienza educativa decostruisce implicitamente l’orientamento teleologico dell’apprendimento, mette in questione i contenuti e soprattutto i fini dell’apprendimento, l’aprioristica costruzione sociale di una condizione democratica degli individui, conferendo, invece, centralità analitica agli ambienti formativi e al loro potenziale trasformativo. In questa prospettiva, gli ambienti formativi divengono vivi, nel senso di abitati da persone concrete e, soprattutto, appaiono nella loro ontogenetica dimensione sociale. Una simile riconfigurazione dell’esperienza educativa suscita la seguente domanda: quando un ambiente universitario e, particolarmente, un ambiente universitario telematico si trasforma in un ambiente democratico? Quali condizioni professionali e istituzionali promuovono una simile trasformazione? Muovendo dalla significatività relazionale dell’esperienza educativa si potrebbe ipotizzare che la determinazione democratica dell’esperienza educativa si ha quando i soggetti coinvolti nel processo educativo, o alcuni di loro, ex-periscono un modo altro di trasmettere il proprio sapere. Questa innov-azione, come l’etimologia del termine ex-perire suggerisce[3], si realizza quando i soggetti si ex-pongono all’Altro considerando la parità ontologica dell’Altro, quando si dispongono a valorizzare la pretesa di centralità dell’Altro come una pretesa condivisa, che accomuna, che crea nuove possibilità di comunicazione e nuove ridefinizioni dei temi di studio. Una simile situazione, che configura quella che si potrebbe definire un’atmosfera democratica, de-istituisce il soggetto (sia esso docente che studente) nella sua preesistenza ontologica alla relazione educativa e ricerca nuove soggettivazioni fondate sulla possibilità che tutti i partecipanti al corso, accedendo e partecipando alla co-costruzione del sapere in forme simili, diano nuovi significati al loro stare insieme, legittimino modi di fare e di pensare democratici. Dal punto di vista della ricerca, questa situazione necessita però, più che di essere verificata, di essere esplorata nelle sue modalità realizzative. Quali forme di apprendimento e, più particolarmente, quali meccanismi comunicativi si rivelano particolarmente idonei a suscitare, all’interno di un corso universitario, un’atmosfera democratica? E in un contesto accademico telematico, il virtual learning environment quali funzioni gioca in un simile processo?
Il paragrafo successivo sarà dedicato a delineare un metodo di ricerca coerente con l’approccio pragmatico-cognitivo appena descritto e all’analisi di un workshop tematico, una pratica didattica sperimentale realizzata in un’università telematica italiana durante l’anno accademico 2020-2021.
La ricerca-azione applicata all’analisi di un workshop telematico
Dal punto di vista della ricerca sociologica applicata alla didattica, l’anno accademico 2020- 2021 appare particolarmente fecondo. Durante questo anno, infatti, a causa dell’emergenza pandemica, in tutte le università, incluse quelle telematiche, si realizzano forme e tecniche di apprendimento sperimentali idonee a trasformare corsi, fino a quel momento erogati in presenza, in corsi erogati a distanza. Questa trasformazione suscita numerose analisi e crea nuovi e stimolanti campi di ricerca. La trasformazione telematica investe anche il workshop sull’integrazione degli alunni stranieri a scuola, erogato in presenza presso l’università telematica eCampus e trasformato nel maggio 2020 in un workshop interamente telematico. Al momento della sua trasformazione telematica, il workshop sull’integrazione degli alunni stranieri è un’attività didattica sperimentale, comparabile a un seminario intensivo in presenza della durata di un’intera giornata (otto ore).
Nella cornice della sperimentazione didattica nella quale il workshop tematico è già inserito, nel maggio 2020, la sua trasformazione telematica accentua straordinariamente il carattere sperimentale della sua iniziale progettazione, fino a suscitare, nei docenti e negli studenti in esso coinvolti, una sua nuova istituzionalizzazione nascente dalla possibilità di trasformare l’esperienza didattica telematica, relativa alla sua nuova erogazione, in uno specifico campo di ricerca sociale. L’analisi del caso sembra delineare una situazione di ricerca emergente, nella quale la ricerca sembra andare incontro al ricercatore, imporsi alla sua attenzione e alla sua analisi. La straordinarietà della situazione, la necessità di trasformare in telematico un seminario di un’intera giornata, in un momento storico nel quale l’incertezza investe ogni ambito sociale e nel quale l’aula virtuale sembra per un verso un porto sicuro e, per l’altro, un luogo nel quale il desiderio collettivo di ritorno alla normalità prende forma, delinea un campo di ricerca specifico e molto interessante.
La ricerca-azione, proprio per la possibilità che i soggetti coinvolti interpretino, anche nello stesso momento, ruoli differenti, delinea una situazione didattica e di ricerca riflessiva (Mortari, 2008), nella quale le attitudini e le pratiche didattiche e di ricerca, anziché presentarsi come separate, si contaminano reciprocamente in un meccanismo di co- partecipazione metodologica (Tarsia, 2020). In una simile condizione riflessiva, l’attività didattica del docente è inframmezzata da momenti di osservazione partecipante, nei quali il docente utilizza tecniche diffuse nella ricerca etnografica (egli infatti annota interventi, reazioni, impressioni sue e dei partecipanti su quanto accade nel gruppo classe), mentre l’attività di ricerca è contaminata dall’attività didattica attingendo in quest’ultima idee per la formulazione delle ipotesi di ricerca, ma anche elementi per il loro continuo aggiustamento e per la loro contestuale verifica.
In particolare, il docente annota in un diario di campo, nel corso dell’attività didattica, non solo la frequenza dei propri interventi e di quelli degli studenti e dei tutor, quanto il loro stile. Inoltre, il docente registra gli interventi verbali degli allievi e raccoglie gli eventuali testi che liberamente, nei giorni successivi al seminario, alcuni studenti inviano al docente, riferendo in essi le loro interpretazioni dell’esperienza educativa vissuta. Le note del docente, le registrazioni audio degli interventi degli studenti e i commenti scritti dagli studenti costituiscono i materiali di studio della ricerca. L’analisi di questi materiali, dopo la conduzione nell’intero anno accademico di otto workshop che coinvolgono complessivamente settanta studenti, consente al docente-ricercatore l’identificazione dei seguenti quadri analitici:
- la problematizzazione;
- la partecipazione;
- la progettazione.
Questi quadri, coincidenti con le diverse e successive fasi del seminario, appaiono interessanti per il loro potenziale analitico; come se la loro analisi consentisse di scavare all’interno e tra le pratiche didattiche e di scoprire i meccanismi cognitivi e normativi che maggiormente trasformano l’esperienza educativa del workshop telematico in un’esperienza politica e, in particolare, in apprendimenti condivisi di modi di pensare e di agire democratici.
Dal tema del seminario alla sua problematizzazione
La prima fase dello schema pragmatico di didattica e di ricerca emergente dall’analisi è la problematizzazione del tema del seminario. È questa una fase in cui i partecipanti al workshop, includendo tra essi anche il docente, iniziano a conoscersi reciprocamente, in cui l’interesse personale per il tema, annidato nelle biografie dei diversi partecipanti, inizia a trasformarsi in interesse comune. In questa fase le caratteristiche tecniche del virtual learning environment sono fondamentali, la qualità della connessione di tutti i partecipanti, le qualità video e audio delle partecipazioni, la facilità nelle condivisioni del video appaiono elementi che condizionano in maniera determinante la strutturazione dell’esperienza educativa. Come compreso da Ranieri e Manca (2013), le innovazioni tecnologiche che strutturano un ambiente di apprendimento digitale non solo svolgono una funzione di regolazione della partecipazione, ma la modellano, conferendo ad essa una forma maggiormente orizzontale, portando alla luce conoscenze informali e generando modi condivisi di formazione del sapere. Durante la fase della problematizzazione, il tutor d’aula e il docente devono essere in grado di fornire istruzioni tecniche relative alla partecipazione telematica al workshop, ma devono anche, sin da subito, promuovere l’autonomia degli studenti, la loro possibilità di integrare l’uso di una pluralità di risorse tecnologiche e di aiutarsi reciprocamente nella soluzione di possibili problemi tecnici. La problematizzazione, intesa come condivisione non di un problema sociale, ma della relazione dei partecipanti con quel problema, definisce una situazione di co-ricerca, l’emergenza di una comunità che si configura innanzitutto come una comunità di ricerca (Stenbom, 2018).
La sfida della partecipazione in un virtual learning environment
Durante la problematizzazione, il docente e il virtual learning environment appaiono alleati nella definizione di un ambiente didattico democratico. Il docente deve non tanto riuscire a promuovere la partecipazione di tutti gli studenti, quanto far emergere il valore della partecipazione di ciascuno nella definizione-comprensione collettiva del problema trattato. A questo fine, il docente è impegnato nella scoperta del carattere personale delle diverse partecipazioni e nella promozione di consegne individuali finalizzate a rappresentare e comunicare, anche attraverso la creazione e l’utilizzo integrato di risorse e contenuti multimediali, per esempio immagini, audio e video, il contributo di ciascuno alla definizione del problema. La promozione della partecipazione sociale in un workshop telematico non è scontata, le abilità tecniche degli studenti sono differenti e le diverse abilità possono facilmente tradursi in ostacoli e scoraggiare la partecipazione. Nel meccanismo di valorizzazione della partecipazione degli studenti, il virtual learning environment (vle) deve consentire a tutti gli studenti performances adeguate, ossia la ricerca e la condivisione veloce e di qualità di contenuti multimediali. Il virtual learning environment, nell’esperienza educativa telematica, si configura non solo come un’infrastruttura mediale e uno spazio agito ma come un corpo esso stesso, una struttura che con le sue caratteristiche può contribuire ad accrescere le possibilità di partecipazione degli attori coinvolti nel processo educativo. Ciò che tuttavia è importante considerare è il fatto che le caratteristiche tecniche del vle si configurano come delle potenzialità, ossia come delle possibilità inserite in un più ampio e complesso processo di attivazione sociale. In realtà, la fase della problematizzazione, in quanto fase di innesto del problema posto dal seminario in un processo di conoscenza reciproca, è una fase che prepara un’attitudine partecipativa specifica, la ricerca di una partecipazione personale significativa rispetto al gruppo e rispetto al problema trattato. In un contesto telematico, i docenti e i tutor d’aula hanno la funzione di far conoscere le possibilità del vle e, in qualche modo di addomesticarlo, di facilitarne l’uso e di diffondere tra i partecipanti uno spirito di mutuo aiuto, ma non solo. I docenti legittimano collettivamente una forma significativa di partecipazione sociale: una forma attenta agli altri. Nel corso dell’esperienza educativa, un docente che illustra le potenzialità del vle, che mostra come il vle consenta l’archiviazione di contenuti mediali condivisi e all’occorrenza la loro ripresa, che dà evidenza alle chat tra i partecipanti, che sottolinea nell’ambito delle chat parole chiave ricorrenti, che indica attività ipertestuali quali per esempio l’attivazione di link condivisi, che invita uno studente a mostrare a tutta la classe come è riuscito a postare un messaggio o un video, trasforma un ambiente didattico virtuale in luogo educativo partecipativo (Parola e Ranieri, 2011), ossia un luogo in cui tutti possono trovare chances di partecipazione simili al processo di apprendimento. Affinché quest’ultimo meccanismo si attivi, il lavoro di presentazione-mediazione che il docente fa del vle deve essere concepito come un lavoro sociale istituente, come un lavoro che tende alla scoperta-valorizzazione del contributo di tutti, un lavoro che si fa esso stesso struttura logica e normativa finalizzata a mettere ciascuno nelle condizioni di scoprire il proprio valore, le potenzialità degli strumenti tecnologici come mezzi per esprimere il proprio contributo alla definizione del problema e per sperimentare la gioia della partecipazione a un lavoro collettivo.
La dimensione politica dell’esperienza: co-progettare insieme
La terza e ultima fase del workshop, coincidente temporalmente con le ore pomeridiane dell’attività didattica, è quella della progettazione. Agli studenti che partecipano al workshop è richiesta l’ideazione e l’elaborazione di un progetto di integrazione degli alunni stranieri a scuola. Il gruppo deve conseguentemente identificare un contesto nel quale elaborare il proprio progetto, deve ricostruire le caratteristiche territoriali e istituzionali del problema in quel contesto, deve condividere possibili soluzioni, definendo gli attori istituzionali da coinvolgere, le attività da svolgere, le risorse finanziarie da utilizzare. Al termine dell’attività di progettazione, i vari componenti del gruppo presentano all’intera classe il progetto ideato. Dal punto di vista didattico, la fase della progettazione svolge la funzione della rielaborazione critica e personale dei contenuti appresi durante le fasi precedenti. Dal punto di vista della ricerca, consente al ricercatore di scoprire i modi di pensare e le pratiche che il gruppo condivide. La specificità della consegna didattica, ossia la richiesta di un’attività di cooperative learning finalizzata alla simulazione di un intervento progettuale concreto, promuove all’interno del gruppo un definito stile creativo, non solo attento alla partecipazione di tutti, ma basato su una sorta di gioco di empowerment reciproco. Nella dinamica sociale interna ai gruppi progettuali si osserva come ogni studente voglia dimostrare al gruppo di poter apportare al gioco cooperativo un contributo importante, ma al tempo stesso, come sia impegnato in un lavoro di ascolto e di considerazione delle idee altrui. Il lavoro di co-progettazione si struttura non solo e non tanto come un lavoro creativo, quanto come un travail social nel senso durkheimiano del termine, come un lavoro di rifrazione e riflessione reciproca dei significati attribuiti ai problemi e alle soluzioni modellato dalla tessitura di un’idéalisation commune (Durkheim, 1893). Quest’ultima più che come un obiettivo di integrazione sociale esterno rispetto ai partecipanti al seminario, si realizza attraverso condivisioni di esperienze e idee, attraverso l’esplicitazione di saperi taciti. In simili meccanismi comunicativi, la costruzione della co-progettazione nasce da pratiche non solo di ascolto ma di considerazione reciproca, come se solo dalla considerazione reciproca, dalla consapevolezza nei diversi partecipanti del valore dell’apporto di ciascuno potesse derivare l’ideazione di un buon progetto. In questo contesto, l’attenzione reciproca si nutre di significati affettivi e normativi, essa è alimentata dal bisogno non solo dell’idea originale dell’altro, ma dal bisogno della sua prossimità, assume la forma di un’accoglienza, di un pensiero collettivo che si sviluppa nell’orizzontalità e che nasce dal desiderio contestuale di essere accolti e di dare accoglienza all’Altro. L’accezione ermeneutica dell’accoglienza, ossia la possibilità di pensare l’accoglienza dell’Altro nella cornice della costituzione del sé[4]4, assume, nella fenomenologia dei progetti ideati dagli studenti dei workshop, modi espressivi specifici e ricorrenti, modi che hanno nell’arte, e particolarmente in testi poetici, in dipinti, in brani musicali, nell’ideazione di attività teatrali le loro forme espressive elettive.
La fase della presentazione del progetto all’intera classe seminariale partecipa alla trasformazione democratica dell’esperienza educativa. La presentazione non è un momento in cui gli studenti, che a turno presentano una parte del progetto, mostrano le loro capacità, non è più un momento individuale, è il momento del gruppo come entità collettiva e in quanto tale è fondamentalmente un momento corale, in cui rafforzare reciprocamente le argomentazioni delle soluzioni progettuali adottate e in cui mostrare più che la bontà del progetto, la sua bellezza.
Le funzioni politiche del docente
I quadri analitici delineati, rivelando la logica e le pratiche sociali che strutturano il gruppo, portano alla luce i comportamenti del docente nel trasformare, in un contesto telematico, l’esperienza didattica in un’esperienza democratica. L’analisi rivela innanzitutto nel docente un’attitudine didattica specifica, la scelta di uno schema didattico che predilige la formazione orizzontale e co-partecipata del sapere alla sua trasmissione verticale. Questa attitudine porta immediatamente in primo piano i partecipanti e la situazione esperienziale che si condivide, moltiplica i fuochi dell’azione didattica, consente di illuminare l’intera scena e fondamentalmente trasforma l’azione didattica del docente in un agire didattico co-partecipato, alimentato dalle relazioni individuali e sociali che il docente riesce a tessere all’interno del seminario. Il meccanismo attraverso cui il docente crea un agire didattico co-partecipato è molto specifico, non è semplicemente un’apertura fenomenica all’Altro e, in particolare, allo studente, ai suoi interessi e ai suoi bisogni, è piuttosto “un lavoro di co-creazione di relazioni attenzionali” (Donati, 2011). Un simile lavoro richiede, innanzitutto, un’apertura all’Altro che non è solo disponibilità a conoscere l’Altro ma è anche e soprattutto disponibilità a farsi conoscere dall’Altro sia nel proprio ruolo professionale che come persona umana e, frequentemente, nel “nesso pratico” che connette il ruolo professionale con la condizione umana personale.
La relazione educativa attenzionale non è una relazione orizzontale, come erroneamente a volte potrebbe sembrare, è piuttosto una relazione in cui il docente induce sé stesso e gli studenti ad attribuire significati nuovi alla relazione gerarchica che si vive. Quest’ultima si configura come una relazione fondata sulla scoperta e sulla creazione di un mondo emotivo comune, che ha la duplice funzione di far sentire gli studenti certi di poter partecipare alla situazione didattica e, al tempo stesso, desiderosi di partecipare. In gioco è la formazione di un’autorevolezza eccedente la situazione educativa, la costruzione di una relazione fondata da una parte sulla comprensione da parte del docente del desiderio dello studente di essere conosciuto e accettato come una persona unica, e dall’altra, il riconoscimento da parte dello studente della credibilità del docente e del suo progetto educativo (Vinci, 2017). Indispensabile in questo meccanismo appare il coinvolgimento del docente e la sua disponibilità a connettere l’esperienza educativa alla costituzione della società, la sua disponibilità a mostrare agli studenti e a sé stesso la possibilità di un altro mondo da ideare insieme e per la costruzione del quale impegnarsi insieme. Fondamentale per il docente è, conseguentemente, decostruire il predefinito set della situazione didattica, i suoi tempi, i suoi predefiniti significati individuali per includere nella sua co-istituzione i significati che gli studenti hanno già dato o sperano di dare all’esperienza didattica. Centrale è, dunque, la disponibilità del docente a scoprire ed accogliere le diverse motivazioni degli studenti mostrando come i loro interessi non siano già iscritti in una predefinita struttura sociale ma siano tutti ugualmente degni di attenzione e di considerazione. La considerazione che il docente rivolge agli interessi e ai desideri degli studenti rappresenta non solo una leva della partecipazione individuale, ma la leva della sua qualità e della sua direzione politica.
L’alleanza tra il docente e il virtual learning environment
Il meccanismo attraverso cui il docente promuove la creazione di un agire didattico democratico, in un contesto telematico, è molto specifico (Rivoltella, 2021), non si configura semplicemente come un’apertura fenomenica all’Altro e, in particolare, allo studente, ma piuttosto come un lavoro di co-creazione della forma di una relazione sociale democratica. Il virtual learning environment in questo meccanismo svolge una specifica funzione pragmatica: contribuisce a ridefinire i significati che i partecipanti attribuiscono alla relazione educativa e a rimodellare le pratiche partecipative. In un contesto telematico, la relazione educativa non è una situazione interpersonale sviluppata in uno spazio fisico, ma una situazione interpersonale tecnologica, in cui il medium tecnologico, la piattaforma web con le sue caratteristiche tecniche, condiziona le possibilità di conoscenza che si sviluppano tra i diversi partecipanti e, conseguentemente, le loro possibilità di partecipazione (Rivoltella e Rossi, 2019). La conoscenza del medium tecnologico, durante i seminari e di fronte ai differenti dispositivi hardware dei vari studenti, assume la forma di una co-sperimentazione continua. Il “provare a”, l’invito “a fare così”, la condivisione della soluzione trovata, il carattere non generalizzabile della soluzione, così come l’euforia per il tentativo riuscito generano, all’interno dell’aula telematica, almeno tre effetti principali. Il primo è la diffusione di uno spirito di solidarietà: salvo rare eccezioni, nell’aula telematica si è tutti sempre un po’ apprendisti. La condivisione di questa condizione ha conseguenze pratiche, ma anche mentali: induce l’aiuto reciproco, provoca maggiore comprensione per gli inconvenienti tecnici e per le inabilità personali che possono insorgere. Il secondo effetto è invece una sorta di ridimensionamento del sapere pre-codificato, questo effetto è prodotto dal “condizionamento quasi organico” che l’utilizzo degli strumenti tecnologici esercita sulla costruzione del sapere: il programma della lezione è, in questo contesto, completamente condizionato dalle possibilità di intervento e di partecipazione multimediali offerte dal virtual learning environment, la performance didattica, soprattutto quella del docente, non è conseguentemente esclusivamente affidata al suo sapere disciplinare, ma è quanto meno condizionata anche dalle sue abilità tecnologiche e dalle caratteristiche tecniche del virtual learning environment. La performance didattica è dunque molto meno auto-centrata e auto-definita, appare più multidimensionale e multi-agents. Il terzo effetto è un effetto cognitivo: in un contesto telematico, l’immediata percezione dell’intera aula con le sue dinamiche partecipative anche non verbali manca e, conseguentemente, il docente, senza quella pre- conoscenza che nell’aula in presenza si manifesta immediatamente, è maggiormente indotto a promuovere la partecipazione di tutti. Questa situazione di minori elementi percettivi immediatamente disponibili per definire le dinamiche interpersonali e conoscere i partecipanti si traduce, quasi paradossalmente nel docente, in maggiori inviti a partecipare rivolti a tutti gli studenti: da questo effetto derivano maggiori spazi di partecipazione e, in tante situazioni, maggiori sorprese sia tra gli studenti che tra il docente e gli studenti. Dagli effetti appena descritti deriva la formazione di un sapere circolante che si struttura, in comparazione con quanto avviene in un’aula in presenza, in maniera meno definita, più errante e, conseguentemente, per certi aspetti, in maniera più aperta e partecipata. Il virtual learning environment e il docente co-strutturano un ambiente didattico associato che appare particolarmente idoneo a suscitare relazioni educative democratiche non in maniera standardizzata o predefinita ma quando si realizzano specifiche situazioni istituzionali e didattiche (Van Dijck et al., 2020). In particolare, nel workshop telematico oggetto di questa analisi, queste situazioni emergono quando il docente, attraverso le possibilità di partecipazione offerte dal vle, riesce a promuovere la singolarità della partecipazione di tutti e a trasformare questa partecipazione in ben-essere comune. L’innovazione, coerentemente a quanto ricostruito dal dibattito sulle tecnologie digitali in ambito educativo (Ranieri, 2020), non dipende esclusivamente dalla tecnologia, ma dalla sua iscrizione in un più ampio campo di condizioni istituzionali di cui il docente si fa interprete. Con Dewey (1916) si può affermare che l’innovazione tecnologica diviene democratizzante se iscritta in una filosofia dell’educazione che promuove la costituzione di valori pubblici. In particolare, il workshop costituisce un ambiente dal potenziale democratico quando promuove, sia nel docente che negli studenti, una partecipazione personale originale e riflessiva, quando non solo attiva tra i partecipanti una sorta di empowerment reciproco, ma quando suscita in tutti rispetto e comprensione dei punti di vista altrui, anche se differenti dai propri, attenzioni e disposizioni all’apprendimento reciproco, consapevolezze del valore della progettualità comune.
Conclusioni
Il workshop telematico sull’integrazione degli alunni stranieri a scuola, svolto in un’università telematica nell’a.a. 2020-2021, è una pratica didattica sperimentale analizzata con il metodo della ricerca-azione. La trasformazione comporta nei docenti, nei tutor e negli studenti, che hanno partecipato ai diversi cicli, l’adozione di una specifica attitudine riflessiva e l’interpretazione simultanea di un duplice ruolo: quello attribuito dalla situazione didattica del workshop e quello del ricercatore-analista. L’analisi rivela non solo l’importanza della didattica partecipata nel suscitare negli studenti e negli stessi docenti modi di agire e di pensare democratici, quanto l’importanza di intrecciare e contaminare la logica della ricerca con quella dell’insegnamento. La logica della ricerca innestata in quella didattica porta alla luce la funzione politica del docente nella costituzione di un’intersoggettività nuova, non basata esclusivamente sull’autoaffermazione personale, quanto su un principio di scoperta e di aiuto reciproci. La linfa di questa logica è data dagli aggiustamenti cognitivi (Chazel, 1997) che la logica della ricerca genera sulla didattica, essi non solo consentono la formazione di un sapere partecipato, ma elucidano una situazione esperienziale inedita. Quest’ultima delinea un campo di ricerca e di costruzione critica del sapere modellati sul riconoscimento delle possibilità reciproche del docente e degli studenti nel costituire un altrove e un altrimenti. È l’invito che il docente rivolge a ciascuno studente a partecipare alla costruzione di un mondo emotivo comune e, allo stesso tempo, l’esperienza pragmatica dell’incontro (Tarsia e Cappa, 2021), il fatto di sentirsi il docente stesso debitore nel processo di apprendimento, che ridefinisce la tradizionale relazione di potere tra docente e studente e istituisce, aldilà dei ruoli educativi asimmetrici che strutturano la relazione educativa, la possibilità di una relazione sociale democratica.
All’interno del workshop, l’analisi mette in luce la funzione pragmatica dell’ambiente didattico virtuale. Il virtual learning environment si configura come un ambiente associato tra uomo e macchina, condizionato dalle qualità tecniche delle piattaforme web e dei dispositivi hardware utilizzati e dalle abilità tecnologiche degli utenti, ma modellato, nelle pratiche partecipative che promuove soprattutto dalla relazione educativa che si instaura tra i docenti e gli studenti.
L’analisi, pur con le caratteristiche di una ricerca esplorativa, sembra tracciare alcuni percorsi attraverso cui, i docenti universitari, anche in un ambiente telematico, potrebbero riuscire a suscitare modi di pensare e di agire democratici. Questi percorsi per un verso mettono in luce alcuni limiti della ricerca e, per l’altro, suscitano nuove domande. I limiti sono connessi al periodo storico straordinario nel quale la ricerca è stata realizzata e all’effetto specifico che la straordinarietà della situazione può aver avuto sui partecipanti. Le nuove domande si configurano, invece, come inputs per ulteriori ricerche. Se infatti l’attitudine pratica del docente, la sua disponibilità affettiva e il suo impegno etico a suscitare in tutti gli studenti chances simili di partecipazione sembrano evidenti, restano ancora da esplorare le condizioni istituzionali che maggiormente potrebbero promuovere, nei docenti universitari e nei diversi contesti accademici, questo tipo di disposizioni.
Riferimenti bibliografici
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Note
[1] Per un’analisi approfondita della tesi di R. Boudon sull’Inégalité des chances si rinvia a Boudon, Bulle e Cherkaoui, 2001.
[2] Si ricordi che nel 1971 J. Rawls pubblica A Theory of Justice e che R. Boudon avvierà, sin dagli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del volume, un’analisi critica della teoria di Rawls. Per una sintesi della critica che Boudon rivolge a Rawls si rinvia a Boudon, 1975, pp. 193-221.
[3] Per una recente analisi sociologica del termine ex-perire si rimanda a Giaccardi e Magatti, 2020.
[4] Per una ricostruzione multifocale di questa prospettiva si rinvia a Levinas, Marcel e Ricoeur, 2008.
L’autrice
Fiorella Vinci è professoressa associata in sociologia dei fenomeni politici e giuridici presso l’Università degli Studi eCampus. Analista della sociologia dell’azione pubblica, tra i suoi interessi scientifici menzioniamo l’analisi delle politiche europee di coesione, le condizioni istituzionali che promuovono azioni pubbliche prossime e riflessive, il rapporto tra educazione e sviluppo politico ed economico e sociale.