La scuola fuori dalla scuola. L’esperienza dell’Agrinido/Agri-Infanzia della Natura | The school outside the school. The experience of the Agrinido/Agri-Childhood of Nature

The contribution focuses on the pedagogical perspectives underlying the emergency and resilience educational practices, which have characterized the work of the Agrinido/Agri-Infanzia della Natura in San Ginesio (Macerata), in recent years: from the 2016 earthquake to Covid-19 pandemic.

F. Di Luca, La scuola fuori dalla scuola. L’esperienza dell’Agrinido/Agri-Infanzia della Natura, in “Educazione Aperta” (www.educazioneaperta.it), n. 9 / 2021.

PDFDOI 10.5281/zenodo.5163603


L’Agrinido/Agri-Infanzia della Natura 0-6 anni di San Ginesio (MC) nasce da un progetto innovativo di agricoltura sociale promosso dalla Regione Marche la cui titolarità è della Società agricola La Quercia della Memoria con la collaborazione dell’Associazione dei genitori Nella Terra dei Bambini. L’obiettivo fin dall’inizio è stato quello di assicurare un servizio educativo alla prima infanzia in un’area rurale marginale dell’Appennino maceratese, all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. L’Agrinido, Agri Infanzia della Natura è operativo dal 2012 all’interno delle strutture dell’azienda agricola biologica, oggi inagibili a causa degli eventi sismici del 2016. È convenzionato con il Comune di San Ginesio ed è riconosciuto, autorizzato e accreditato dalla Regione Marche. Il modello pedagogico, in un’ottica di superamento dei contesti spezzati di asilo nido e scuola dell’infanzia, sperimenta nuovi modelli organizzativi nell’ambito del D. Lgs 65/2017 che ha istituito il sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai 6 anni.

Le strutture educative sono state duramente lesionate dagli eventi sismici del 2016; solo grazie alla caparbietà delle famiglie che usufruiscono e sostengono questa idea di scuola in natura, insieme alla fiducia e all’impegno di tanti cittadini e cittadine, associazioni e istituzioni pubbliche che hanno manifestato nelle settimane successive al terremoto la loro solidarietà, il servizio educativo ha potuto riaprire utilizzando lo spazio di una tenda yurta, acquistata grazie alle donazioni.

Da oltre quattro anni 22 bambini sono ospitati all’interno della tenda, una condizione dettata dall’emergenza che doveva essere temporanea, ma perdura nel tempo, attraversando anche l’attuale tempo del Covid-19. I ripetuti tentativi per la ricostruzione di nuove strutture volte al futuro, la disponibilità di un terreno e di un nuovo progetto architettonico acquistati e poi donati dall’associazione e dall’azienda agricola all’amministrazione comunale, non hanno ancora portato al reperimento delle risorse necessarie al ripristino degli spazi fisici.

Nel momento della ripartenza delle scuole, ove il dibattito sul ruolo della natura è particolarmente ampio, l’esperienza educativa dell’ Agrinido/Agri-Infanzia della Natura di San Ginesio, assieme a quella della rete regionale, può essere di grande riferimento poiché ha maturato nel tempo una ricerca attorno alla relazione tra bambini e natura e tra natura e benessere, grazie anche alla particolare identità pluriventennale di centro di educazione ambientale del WWF Italia e di bio-fattoria didattica e sociale.

La relazione con il “fuori” è una grande pista di ricerca per l’educazione dell’oggi e del futuro, anche in tempi di emergenza, ma non s’improvvisa; ha bisogno di chiare e fondate cornici culturali e teoriche di riferimento, di esperienze riflettute e supervisionate, documentate e messe continuamente in dialogo con altre realtà. Questo contributo va nell’ottica di esplicitare i pensieri che sottendono molte delle pratiche del percorso di pedagogia dell’emergenza e della resilienza che sta caratterizzando l’operato dell’Agrinido/Agri-Infanzia della Natura in questi ultimi anni. Infatti, fin dal trauma del terremoto del 2016, l’approccio educativo e didattico che ha riaccolto i bambini in fattoria e nel borgo lesionato di Vallato dopo il sisma e dopo il lockdown ha avuto come centrale il tema dell’ambiente educativo e degli spazi tra il dentro e il fuori e tra il fuori e il dentro. L’idea di bambino, di bambina, di comunità, di fattoria come contesto quotidiano tra natura selvatica, ad alta naturalità, e natura addomesticata e la relazione tra natura e benessere sono idee fondanti. Poi c’è l’importante tema del curriculum ecologico 0-6, ovvero una cornice di riferimenti e di traiettorie condivise, che danno coerenza al percorso dalla nascita ai 6 anni e che trovano nella progettualità dell’Agrinido e dell’Agri-infanzia non un contatto sporadico o prevalentemente intellettuale e cognitivo con la natura e con la fattoria, bensì quotidiano, esperienziale, emozionale, corporeo, riflessivo e spirituale nel ritmo dei processi produttivi e naturali, stagionali, mensili e settimanali.

Il focus che il terremoto ha messo profondamente in discussione è la “casa”: le case di ogni famiglia, i borghi, le “Case dei bambini” ovvero i servizi educativi e le scuole, distrutte e lesionate, abbandonate e lasciate forzatamente, in attesa di essere ricostruite. La casa non è solo un involucro fisico; ciò che si è profondamente incrinata è la casa interiore, è il corpo psichico in stretta relazione con la fisicità del corpo, nel complesso sistema integrato corpo-mente. Quello che è stato necessario ricostruire al rientro post-terremoto è il senso di protezione della casa quale involucro fisico sufficientemente sicuro per poi motivare l’uscire ed il ritornare, quando il fuori è troppo e si cerca un rifugio nel quale proteggersi.

Il tema della “casa” è centrale anche nella pandemia da Covid-19, soprattutto lo è stato durante il lockdown, seppure in una prospettiva ribaltata. Con il terremoto le case sono state lesionate o sono crollate, dalle case si è dovuti uscire per salvarsi, le caratteristiche strutturali e ambientali hanno determinato livelli di sicurezza diversa per le persone. Nel lockdown si è stati forzatamente chiusi in casa per garantire il distanziamento, evitare l’incontro e l’assembramento, per essere più sicuri; le case sono diventate gli spazi di vita minimali, il mondo rimpicciolito del singolo e delle famiglie, il punto di partenza per perlustrare e capire il mondo fuori.

La prima casa che il bambino deve costruire e conquistare è il proprio corpo. Lavorare sulla casa in tempi di emergenza significa allora lavorare non solo sulle architetture, ma anche sull’involucro fisico, fisiologico, emotivo, psichico e di pensiero del corpo dei bambini, e soprattutto sulla salute di tali corpi costitutivi, sull’armonia della loro interazione. Nel primo settennio la salute passa attraverso la cura del corpo ed in questo particolare tempo di sviluppo evolutivo si mettono le basi per la salute della vita futura. Il corpo è un tema critico dell’emergenza Covid-19: isolato, distanziato accuratamente per non permettere che la socialità sia contagiosa, limitato nel movimento, messo in quarantena, ammalato, soccorso, bisognoso di protezione e di cure, vulnerabile, salvato o non. Se il corpo, quindi, è quel mantello protettivo e di confine che contiene ed ha bisogno di essere contenuto e protetto, è un organo in relazione con il mondo dentro e fuori di ognuno, è la prima casa del bambino, pelle fisica e psichica. Ecco perché la cura del corpo e del senso del tatto come sicurezza è una priorità del lavoro educativo di tutti i rientri e le riaperture.

Il lavoro in emergenza si è centrato sui quattro sensi basali che strutturano la salute del primo settennio e che costruiscono a poco a poco la percezione del sé corporeo del bambino, della casa corporea in cui abita, in cui vive, in cui sta e attraverso cui si muove e si esprime. I quattro sensi sono il senso del tatto, del movimento, dell’equilibrio e il senso della vita, tutti legati alla fisicità, al mondo interno e al corpo fisico e che vengono di solito profondamente lacerati durante i traumi.

I limiti e confini del senso del tatto vengono stimolati fin dall’inizio (nascita, parto) dalla relazione dialogante con l’adulto anche se i bambini e le bambine sempre più oggi sono lasciati soli e viene chiesto loro di cavarsela, di comprendere, di adeguarsi alle richieste esterne, di prendersi responsabilità premature e precoci. È necessario tornare al senso del tatto, del limite e del confine corporeo quale cura dell’adulto per accogliere le tristezze, gli spaesamenti, le domande anche implicite dei bambini. Le routine nel ritmo quotidiano dell’asilo sono oggetto di riflessioni e nuova problematizzazione così come la cura del vestirsi, del portare calore e gioia per controbilanciare le percezioni di freddezza, di durezza e di dolore, le impressioni, i giudizi ed i sentimenti di paura, angoscia e disperazione provenienti dal mondo fuori e dentro i contesti familiari; i tempi e gli spazi di vicinanza, lontananza, prossimità e contatto. Le esperienze di ansia e angoscia si presentano là dove il limite viene meno, dove lo spazio tra sé e il mondo creato dal senso del tatto viene invaso da eventi che non si riescono a comprendere, che arrivano come un’onda senza la pausa della risacca, senza respiro. Il senso del tatto restituisce il mondo che si tocca e l’atmosfera nella quale si è immersi; il tatto e l’ansia si esprimono sotto la pelle: i capelli si drizzano, viene la pelle d’oca e la sudorazione fredda, la pelle è profondamente irritata. Senza una pelle, sostenuta e data dall’adulto, i bambini e le bambine sono feriti dal mondo fuori ed ogni cosa è sentita più forte perché non mediata da quella copertina di protezione che sta alla responsabilità dell’adulto genitore o maestro che sia.

Le manifestazioni di fragilità e malessere che appaiono nei bambini possono essere diverse: da disturbi appena percettibili della vita emotiva a veri e propri disturbi con gravi sintomatologie ossessivo-compulsive, fobiche e di rifiuto della relazione. Ciò che anche noi abbiamo potuto riscontrare sono manifestazioni di iperattività e di inquietudine con la comparsa di immagini, ricordi e conversazioni dolorose, contrapposti a stati più di paura che sono comparsi nell’addormentamento o nel sonno agitato o interrotto, all’allontanamento dalla relazione per la paura dell’altro (ad esempio nella limitazione all’abbraccio e al tocco), a forme di stress fisico e fisiologico (trattenere la pipì, enuresi notturna, ritorno al pannolino, mangiare compulsivo).

Nella prassi della pedagogia d’emergenza e curativa ci si prende cura delle ferite dell’anima dei bambini e delle bambine. Nello sviluppo evolutivo del primo settennio significa prendersi cura in particolare dei quattro sensi basali legati alla fisicità e che nel tempo si apriranno al mondo esterno e alla relazione animica con quanto è fuori ed in sensi che sempre più portano alla relazione con l’altro da sé.

Prendersi cura delle ferite dell’anima dopo un trauma o un’emergenza vuol dire curare il confine tra sé e l’altro, lavorando negli interstizi della relazione, in quello spazio visibile ma maggiormente invisibile che collega l’uno all’altro; vuol dire prendersi cura in maniera devota dell’involucro pelle quale confine con il mondo che definisce, individua, separa, distingue, che riconnette con il dentro e fuori da sé.

Il secondo senso basale al quale va data priorità è il “senso del movimento”, ben conosciuto come propriocezione, che negli Agrinido/Agri-Infanzia si esprime liberamente e può essere sostenuto già prima della conquista del camminare, ovvero nelle fasi più importanti e strutturanti il camminare, il correre, l’incedere nel mondo.

Nei contesti naturali esterni e soprattutto nella forma del gioco libero, i bambini e le bambine possono liberarsi dalla grave limitazione del movimento che è inflitta all’infanzia non solo in tempi di Covid-19, poiché pervade l’apprendimento a scuola.

Muoversi nel mondo (basti pensare alle sfumature impercettibili del movimento del volto, delle labbra, degli occhi) è sentire il mondo, essere vicini al sentire dell’altro, è riconoscere empaticamente il tu. Molte delle limitazioni corporee portate prima dal terremoto, alle quali oggi si aggiunge l’esperienza traumatica planetaria del Covid, peseranno non solo sull’abilità fisica del movimento, ma anche sulla modulazione e sulla regolazione dei movimenti del sentire e del pensare.

L’Agrinido/Agri-Infanzia offre quel sano ambiente per riabilitare il movimento a partire dal corpo fisico in esperienze protette, strutturate ma soprattutto libere, spontanee e gioiose. I contesti naturali del fuori della yurta sono la fattoria e la natura più selvatica e sono sempre situazioni aperte all’imprevisto, tra il domestico e il selvatico (fosso, torrente, incolti, ginestreti, boschi, zone rocciose, punti panoramici ove guardare l’alto del cielo e le profondità delle valli, il vicino, ma anche l’ampiezza del paesaggio…). Questa esperienza ritmica di movimento, tra ciò che è maggiormente noto ed il meno noto, fino all’avventura dello sconosciuto, può essere immaginata come un percorso di conoscenza e allontanamento radiale da una base sicura e certa (punto focale) a ciò che è più aperto all’imprevisto e al ragionevole rischio. Questo può offrire ai bambini e alle bambine, fin dall’inizio dell’ambientamento e del rientro dopo una sospensione, un graduale riavvicinamento alla natura libera del movimento, così necessaria e importante per i processi vitali e di salute, secondo i ritmi individuali. Il corpo del bambino e della bambina nell’esperienza dell’Agrinido/Agri-Infanzia può esprimersi nella sua complessità e globalità grazie anche ai confini che non solo l’adulto pone, ma che la natura stessa evidenzia ed ha in sé, sostenendo esplicitamente, anche se con un linguaggio diverso, la funzione protettiva e regolativa delle figure educative. Se il senso del tatto è la “casa” così come è fatta ed i confini tra il dentro e il fuori, il movimento ci porta al dov’è la casa (una sorta di geografia percettiva dell’io) e con che cosa è in relazione. Dove è posizionata la mia casa? Da dove parto per andare a…? Da dove parto per tornare a…?

Il terzo senso basale è il “senso dell’equilibrio”, strettamente connesso al senso del movimento ed a volte difficilmente distinguibile da esso; va anch’esso sostenuto e curato soprattutto nelle situazioni di emergenza e nella pedagogia della resilienza. Accanto al grande movimento c’è il micro-movimento delle mani e quello dei piedi che sostengono la verticalità, situano nel mondo, saldano a terra, permettono il correre e l’arrampicarsi. L’ergersi in piedi, il portarsi in posizione eretta è una delle conquiste più importanti dei primi tre anni della vita; è così importante da lasciare tracce nella postura futura di ciascuno nel mondo. Il bambino piccolo è continuamente alla ricerca dell’equilibrio così come del disequilibrio, in un oscillante lavorio del corpo fisico e dell’interiorità verso il centro. La centralità durante il terremoto e nell’esperienza traumatica del Covid è stata profondamente alterata; è stato difficile riportare alla calma il proprio corpo, i pensieri e l’interiorità. È proprio questo il lavoro che bambino e bambina fanno nella matrice filogenetica e ontogenetica: mettersi in piedi e trovare l’equilibro del centro rapportandosi al sopra e al sotto, all’avanti e al dietro, alla destra e alla sinistra dello spazio intorno a loro. Quando poi si attraversa un trauma e si perde il centro, allora la ricerca diventa necessaria per recuperare la tranquillità e la libertà interiore dell’io. L’equilibrio non è solo il senso che permette di non cadere quando siamo in piedi o inciampiamo, ma ci rende presenti a noi anche quando tutto intorno vacilla. Questa è una qualità tipicamente umana poiché gli animali non hanno equilibrio ma bilanciamento, sottomesso alle tre dimensioni spaziali.

Nell’esperienza educativa dei centri estivi, dopo il lockdown, abbiamo osservato l’intensificarsi della ricerca dei bambini e delle bambine sulle soglie, sui confini, sullo stare “tra” due poli, in uno stato di rischio e di disequilibrio, e poi sul ritornare ad uno stato di quiete. Alcuni esempi: esplorare e tracciare il confine tra il bosco e il campo coltivato, arrampicarsi sugli alberi frequentemente, attraversare un torrente sopra un grande tronco caduto ed il fermarsi al centro con le gambe a ciondoloni verso l’acqua ad esplorare il vuoto, il sopra e il sotto, l’equilibrio precario. Nella metafora della casa il senso dell’equilibrio è quel senso che dalla nostra casa ci vede in armonia con tutto ciò che c’è intorno, nello spazio, in equilibrio con l’ambiente.

L’ultimo senso basale è il “senso della vita” nel quale si sperimentano tutte le forze che costruiscono e formano il corpo e si riconduce alla percezione del benessere, del sentirsi bene. Sono processi legati alla vita: la respirazione, il calore corporeo, il nutrimento, l’accrescimento, la secrezione e la riproduzione, presenti in ogni cellula del corpo. Con tali processi si fonda il proprio stare bene. È un senso difficile da immaginare poiché subcosciente; lo si percepisce quando si rompe ovvero quando non si sta bene (ad esempio nella malattia, nel dolore, nella fame). Altrimenti è un’esperienza di presenza, di identificazione con sé stessi e di benessere salutare, di sicurezza nel proprio corpo. Durante un trauma, il senso della vita viene disturbato da irritazioni e malattie provenienti sia dall’anima che dal corpo ed incide profondamente sul collegarsi all’altrui pensiero, sull’acquisire un pensiero critico e autonomo, il tutto in relazione allo sviluppo del bambino e della bambina. Quando in generale non si sta bene, si fa fatica anche a pensare ed a mantenere un pensiero flessibile e aperto. Tra benessere fisico, emotivo e apprendimento c’è una stretta connessione e durante i primi anni dell’infanzia il sistema nervoso autonomo serve esclusivamente alla percezione del senso della vita e del benessere, ed ogni impressione che arriva dal mondo esterno viene messa in relazione con il corpo.

Le esperienze del terremoto e del lockdown hanno profondamente incrinato anche il senso della vita ovvero il come ci si sente dentro alla propria casa, l’abitare la casa. Il senso della vita è l’essere, il come si sta, bene o male, ed anche questo parte dal corpo. Curare il senso della vita nel bambino piccolo significa prendersi cura dei bisogni fondamentali di fame e sete, sonno e veglia, caldo e freddo e soprattutto dell’autoregolazione di tali ritmi vitali.

Il lavoro di pedagogia dell’emergenza e della resilienza si centra non solo sulle fatiche del trauma e della malattia, ma soprattutto sul sostenere le forze di salute e di prevenzione, dalla disgregazione alla coesione, dalla frammentazione alla riattivazione delle sorgenti della guarigione e delle capacità adattative, allo sviluppo delle capacità interiori di maturazione e crescita. Il nostro sguardo educativo, tenendo ben presenti le necessità del momento, ha cercato di volgersi al futuro, alla salute nel linguaggio, nelle parole, nelle emozioni, nei gesti, nell’alimentazione passando da un’idea di corpo come serbatoio di malattia e contagio, a quella di corpo serbatoio di salute. Come trovare riparo alla sofferenza e alle ferite? Ma soprattutto come incrementare le forze di salute è stata la domanda incessante. La cura delle forze di salute è ancora più impegnativa della cura della malattia; è responsabilità forte e pratica. Nell’educazione dell’infanzia custodire la presenza, gli sguardi, le attenzioni, la vicinanza, l’ascolto individualizzato, il dare tempo, l’agire con delicatezza, il mostrare comprensione, curare i ritmi ed i bisogni dei bambini e delle bambine, il dare conforto, il condividere buone esperienze di con-tatto, avere il coraggio dell’uscire fuori, là dove la natura conserva ancora il suo potenziale riparativo e rigenerativo, è grande responsabilità. Quindi, a questo punto, la scuola fuori dalla scuola cos’è e com’è? È una scuola che mette in relazione il dentro con il fuori, in una dinamica osmotica; è una scuola che si prende cura dei confini, delle pelli e degli involucri tra le cose e le persone; è una scuola del contatto tra il sé e l’altrui mondo e del coraggio (da “cor” e “agere”), dell’agire col cuore; è una scuola della fiducia nel bambino; della ricerca degli equilibri; è una scuola nella vita e alla vita.

Bibliografia

Glockler M., Domande e riflessioni sulla crisi da coronavirus in ottica medica, in Coronavirus: una crisi come superarla?, a cura di M. Glockler, A. Neider e A. Ramm, Edizioni Arcobaleno, Milano 2020.

Kalsched D., Il trauma e l’anima, Edizione Moretti e Vitali, Milano 2013.

Levine P. A. e Kline M., Il trauma vista da un bambino. Pronto soccorso emotivo per l’infanzia e l’adolescenza, Astrolabio, Roma 2009.

Vincenti V., Che senso ha la mia vita? La difficile situazione dell’infanzia di oggi osservata dal punto di vista sensoriale, Conferenza online, Scuola Steiner Waldorf Micheliana, 12 Marzo 2021.

 

Federica Di Luca, titolare dell’aziona agricola La Quercia della Memoria, educatrice da oltre 25 anni educatrice ed operatrice in contesti sociali ed ambientali ad alta biodiversità con approfondita esperienza nella relazione essere umano/ambiente e bambino/natura. Fortemente impegnata nella ricerca e nello sviluppo delle pedagogie attive (in particolare Montessori e Steiner) con un ampio ventaglio di fasce di età. Specializzata in educazione alla pace e gestione maieutica dei conflitti, in metodologie autobiografiche e biografie di comunità, in educazione e servizi d’emergenza e pedagogia curativa, anche con il supporto educativo e terapeutico degli animali. Curatrice di articoli divulgativi in riviste specializzate del settore educativo ed in pubblicazioni online e cartacee. Imprenditrice agricola specializzata nell’ideazione, progettazione, gestione e promozione di servizi ambientali e attività connesse all’agricoltura multifunzionale ed orientate alla sostenibilità. Formatrice per numerosi enti pubblici e privati a livello regionale e nazionale. Impegnata negli ultimi anni nel coordinamento pedagogico di servizi educativi e scuole 0-6.