Innovare il canone dei saperi per una reciprocità dell’istruzione | Innovating the canon of knowledge for reciprocity of education

Durante il periodo del primo lockdown è nato un progetto di formazione e autoformazione di insegnanti costituitosi in gruppo dal nome Indici paritari. In qualità di docenti della scuola pubblica di vario ordine e grado siamo impegnate nell’innovazione del canone delle discipline verso un’apertura alla diversità e alle pari opportunità e nell’applicazione di un linguaggio inclusivo.

Spesso siamo incappate nella lettura di manifesti e documenti di vario respiro che acclamano il tempo di un nuovo corso della scuola, di un’ennesima riforma che dia rinnovato respiro e nuova linfa ad un’istituzione in crisi profonda, come mostrato effettivamente dai dati delle rilevazioni OCSE PISA 20181. Al di là di facili e stagionali (per lo più estivi) dibattiti sulla scuola di altri tempi il gruppo di cui faccio parte è fermamente convinto che la spinta innovatrice debba partire anche dal basso, da chi si trova ad avere nella mani quella cassetta degli attrezzi dell’insegnate per mettere in atto una critica del presente, attraverso la relazione tra le varie voci di cui è fatta la comunità educante e soprattutto indirizzando lo sguardo sul vero obiettivo dell’educazione.

La reciprocità dell’educazione

La lingua latina ci ricorda che il termine educare vuol dire allevare ma anche aiutare a mettere in attotrarre nella giusta via che è per chi scrive la via della reciprocità e non della conduzione univoca. L’operazione di innovare il canone dei saperi e riformare il linguaggio verso una parità dei generi parte dal concetto che la scuola, in quanto luogo e condizione di studio, debba dare voce a tutti/e e a ciauscuno/a, docenti e discenti in una costruzione condivisa. Diversamente, nella consueta trasmissione dei valori e dei contenuti riconosciamo da tempo oramai il metodo della gerarchia patriarcale, eurocentrica e sessista che intendiamo decostruire a partire dagli strumenti didattici quotidiani. Mettere in luce tale tendenza della tradizione può essere fatto di concerto e dal basso se l’insegnante assume il ruolo della ricercatrice,2 se la progettazione didattica si avvale della riflessione a monte, in itinere e a margine. La didattica trasmissiva ha mostrato e continua a mostrare di non riuscire a smuovere e produrre risultati tesi a cambiare in maniera radicale le condizioni sociali di partenza delle giovani generazioni. Costruire eguaglianza sociale, infatti, vorrebbe dire aprire ad un nuovo corso in cui la conoscenza dia voce al margine, alla differenza, alla valorizzazione di quei saperi negati che devono essere fine e mezzo di una progettazione collettiva. Indici paritari3 è un gruppo di docenti di vario ordine e grado che si impegna dal Giugno 2020 a riformare la didattica in senso egualitario. Riteniamo infatti che le differenze sono delle risorse solo se si dà la possibilità di costruire un discorso comune, un dialogo reciproco che nasca dalla critica della tradizione, per la comprensione del tempo presente e la costruzione di un futuro sostenibile.

Per fare ciò l’istituzione deve riscoprire e riappropriarsi del suo carattere pubblico e molteplice, una comunità educante in grado di accogliere tutte e tutti, di fornire strumenti, metodi, esempi differenti. Aprire all’educazione di genere, alla pedagogia della differenza, all’insegnamento policentrico presuppone un profondo lavoro di formazione nel decostruire tanti di quegli stereotipi culturali, spesso inconsapevoli, verso un’educazione che spinga al pensiero critico. L’esercizio politico sta nel riflettere sul valore pubblico e non solo statale dell’istituzione scolastica, sulla necessità di rifondare il suo carattere di luogo di mera trasmissione della traditio verso una comunità dialogante.

Quali strumenti scegliere?

E come sarebbe possibile se non si partisse da una critica dei contenuti e degli strumenti adottati in classe? Occorre indossare gli occhiali del genere, dell’intersezionalità, per valorizzare le differenze contribuendo al cambiamento. Restituire la parola ad ogni corpo, istanza e soggettività oltre il genere, l’etnia e l’abilità si realizza tramite un lavoro quotidiano di attenzione e cura del linguaggio, scelta dei contenuti, attenta selezione di spazio da riservare a chi o cosa di solito è fuori dal focus, spostando di volta in volta lo sguardo. L’istruzione è in fondo una questione di incastri di varie prospettive, epistemologiche, disciplinari, sociali e culturali, in cui gli attrezzi della docente sono l’operosità scientifico-metodologica alla base. Indici paritari si ripromette di iniziare a lastricare quella strada4 da preparare assieme, con le buone pratiche come l’adozione alternativa del libro di testo, la lettura ad alta voce di testi scelti dal gruppo classe (forme di sperimentazione attiva, di autoproduzione didattica nella tradizione freinetiana), con la critica al metodo e allo strumento tradizionale, nella continua ricerca di uno spazio molteplice di narrazioni.

La docenza come impegno militante

Fare scuola vuol dire dunque agire per ridurre la povertà culturale e sociale a cui siamo chiamate a prender parte in maniera politica5 e militante. La docente assume il suo ruolo solo e se fa della sua professionalità un ponte, una mediazione per le/i discenti, non se si pone in maniera asimmetrica senza rispetto delle differenze. Dunque è nella discussione agita all’interno della comunità che si debbono porre sotto critica i contenuti e il linguaggio proposti dalla manualistica, chiamare chi impara a dare la propria opinione sull’assenza di categorie di persone, di classi sociali, di figure e di modelli culturali altri nelle discipline e nei nuclei epistemologici che si affrontano nel percorso di studi. Si scoprirà infine che essi sono perfettamente in grado di comprenderne le ragioni se si dà loro modo di sedimentare il germe della critica, quale capacità di discernere il valore. Diverse visioni del mondo possono contribuire a creare giovani generazioni preparate alla complessità del reale, alla fluidità del presente e alle sfide del futuro multiculturale. Questa è in fondo una visione politica della scuola, quale svago6 ovvero luogo di impegno intellettuale.

Fornire “tutti gli usi della parola a tutti”, parafrasando Rodari7 oggi, vorrebbe dire aprire l’immaginario anche verso tutte quelle soggettività mancanti, di consueto assenti o distorte. Interpretare come in discussione e in fieri la costruzione del proprio percorso educativo è possibile se si impara a riflettere sui ruoli di genere, sulle rappresentazioni sociali e culturali di donne, uomini e infanti nel presente e nel passato.

Partecipare al messaggio educativo

Vari studi scientifici8 ci forniscono dati e spiegazioni chiare sul messaggio fornito dalle storie e dalle vicende narrate nei testi scolastici, di come i modelli di comportamento e di rappresentazione influiscono sui/sulle discenti. L’assenza di una rappresentazione adeguatamente equilibrata impedisce la creazione di modelli sociali non sessisti e paritari che limitano la realizzazione futura di giovani bambine e bambine: non si tratta infatti solo di un problema che si caratterizza per l’assenza di paritarie figure di riferimento femminili, ma tale questione riguarda entrambi i generi e non solo, si potrebbe allargare facilmente la ricerca critica verso i temi della diversità per constatarne il sostanziale vuoto o frequente distorsione. Sarebbe molto semplice notare come la maggior parte dei manuali scolastici anche della scuola secondaria perpetuano nella lingua e nei contenuti delle narrazioni distorte delle minoranze, corredate di stereotipi pietisti ed escludenti, che nascono da una prospettiva univoca.

La prospettiva di genere

Se nelle narrazioni private e di comunità è più facile contare sul confronto fra pari e su una tradizione di saperi che viaggiano su fili più intimi, c’è però la dimensione pubblica, dove si apre un altro panorama: in chi -infatti- ci possiamo specchiare nella storia, nella politica, nella scienza, nell’arte, nella musica, nello sport, nella tecnologia e in tutti i campi del sapere? Quale ruolo pubblico per le donne, per l’infanzia e per le persone con bisogni speciali ci viene presentato per tutti i secoli passati e fino al ‘900? (Presenze accennate tra parentesi, poi risucchiate e non si capisce bene se assunte o espulse in una narrazione maschile, che a volte rimane tale anche se a compierla sono altre soggettività - laddove chi racconta non si interroga sullo sguardo che assume, sul linguaggio che sceglie, sulle modalità di analisi.)

Si trascorrono gli anni della scuola dell’obbligo apprendendo da testi che raccontano scoperte e invenzioni, fatti, guerre, conquiste, opere d’arte dove gli autori sono gli uomini, prevalentemente bianchi ed europei. Non serve qui ripercorrere i curricoli di tutte le discipline per toccare il nucleo della questione: in ciò si propone come oggetto di studio, per come è ordinato il sapere, c’è una gerarchia delle informazioni che lascia fuori le donne, e tutte le altre soggettività, fino a cancellarle. E non si tratta soltanto di chi ha compiuto imprese importanti, creato opere, scoperto o inventato qualcosa, si tratta di un’assenza dalla vita quotidiana. Trovare una soluzione nella ricerca transfemminista spetta al corpo docente, tanto quanto permettere alle nuove generazioni di prendere parte a questo processo.

Urge, dunque, una revisione profonda dei canoni a cominciare dal restituire sguardi differenti per fornire ai bambini e alle bambine spazi più ampi per pensarsi e agire, per inventare il proprio futuro. Per una realizzazione piena della cittadinanza democratica perché la scuola non è un mondo a parte ma è nel mondo: è necessario che chi fa scelte quotidiane sia consapevole del fatto che ogni discorso non è neutrale, ma nasce da una precisa scelta che taglia fuori qualcosa, anche se proposto dall’editoria specialistica. In conclusione chi fa scuola deve iniziare a praticare la produzione cooperativa di un sapere molteplice e paritario, in cui il/la discente sia parte attiva, soggetto capace di fare un uso personale e critico della propria conoscenza.

Filomena Taverniti, laureta in Lettere Classiche all’Università di Roma Tre, docente di Lettere alla scuola secondaria di primo grado, membro del gruppo Indici paritari. Più donne nei testi scolastici e un nuovo linguaggio.

Indici paritari. Più donne nei testi scolastici e un nuovo linguaggio nasce durante il primo lockdown e raggruppa insegnanti di diversi ordini di scuola. Si tratta di un gruppo Facebook9 a cui sono iscritte attualmente più di 3000 persone, docenti e studiosi/e. Il nostro primo obiettivo è quello di mettere in evidenza la totale invisibilità delle donne nei libri di testo della varie discipline. Riteniamo necessaria la riscrittura dei vari canoni con un linguaggio che sia rispettoso ed inclusivo dei generi. Per questo abbiamo scritto un comunicato, avviato una raccolta firme e infine ci siamo rivolte alle case editrici incontrando i vertici dell’AIE. Per questo abbiamo dedicato spazio alla formazione delle/dei docenti. In una scuola che educhi ad una cittadinanza attiva e paritaria nuove narrazioni sono necessarie a partire dai libri di testi.
Sono socie fondatrici Diana Lenzi, Monica Di Bernardo, Fabiola Del Vecchio, Giulietta Stirati, Antonella Petricone, Filomena Taverniti.