Il tutoraggio peer-to-peer nel Service-Learning: fattori strutturali, affettivi e di apprendimento | Peer-to-peer tutoring in Service-Learning: structural, affective and learning factors
DOI: 10.5281/zenodo.8154003 | PDF | Educazione Aperta 13/2023
The pedagogical model of tutoring relies on a facilitative educational and mediating relationship. This article aims to analyse a Service-Learning (SL) project based on one-to-one tutoring, in which a group of university students from different degree courses (Work and Organizational Wellbeing Psychology, Clinical Psychology, Forensic Psychology and Design and Management of Socio-Educational Services) acted as tutors for peer-to-peer accompaniment of 20 youths aged between 16 and 25 years subjected to restrictive measures of personal freedom. By analyzing the situated and participative pathway in which different actors interacted, the impact of the experience was deepened through the analysis of semi-structured interviews conducted with the actors involved - from university students to the contact persons of the partner organization. The study deepens the meaning of the experience, the initial motivations, the perceived impact on oneself and on others, and the role of reflection as a key element of SL, which, during the process guided the participants in analysing participation as a factor to be built upon by overcoming the personal fatigue of operating in a highly socially vulnerable context.
Keywords: service-learning, tutoring, peer-to-peer, impact, reflection.
Premessa[1]
Il presente contributo è frutto di un lavoro di ricerca nell’ambito della didattica universitaria e, più specificatamente, dei programmi di Service-Learning offerti dall’Università LUMSA di Roma.
Si tratta di un percorso situato e partecipativo che ha preso il nome di Progetto HOPE in cui il Service-Learning è stato arricchito attraverso l’inserimento della metodologia del tutoraggio uno a uno, coinvolgendo circa 20 studenti di Psicologia del lavoro e del benessere organizzativo, Psicologia clinica, Psicologia forense e Progettazione e gestione dei servizi socioeducativi, in un processo di affiancamento peer to peer rivolto a 20 giovani adulti sottoposti a misure limitative della libertà personale, di età compresa tra i 16 e i 25 anni. Il progetto è nato dalla partnership tra l’organizzazione ELIS e l’Università LUMSA e ha visto il coinvolgimento di due docenti universitari, un ricercatore, uno psicologo clinico, un criminologo, cinque referenti dell’organizzazione partner e, in modo indiretto, degli operatori sociali.
L’esperienza analizzata nel presente contributo vede l’università svolgere il suo ruolo di istituzione non solo nei confronti degli studenti che ne sono i primi destinatari, ma anche di altri attori sociali del territorio. Il contesto diventa quindi, più esplicitamente, il legame tra insegnamento e terza missione che si fonda sulla contaminazione tra mondo accademico ed extra-accademico (Pellegrino et al., 2019).
Nell’analizzare il percorso situato e partecipativo, in cui hanno interagito docenti, studenti, referenti del terzo settore e giovani in situazioni di marginalità sociale, il presente contributo prende in considerazione tre gruppi di fattori – strutturali, affettivi e di apprendimento (Falchikov, 2001) – che hanno delle implicazioni nel tutoraggio all’interno della più ampia cornice del Service-Learning, con particolare riferimento al superamento dei conflitti emergenti dall’operare in una prospettiva interdisciplinare.
Da un punto di vista strutturale il contributo analizza gli aspetti organizzativi sottostanti la proposta educativo-sociale, con riferimento al modo in cui i diversi soggetti concorrono allo svolgimento di tre fasi chiave: fase preparatoria al tutoraggio, periodo del tutoraggio, compreso il processo di supervisione tanto dei tutor quanto dei tutee e la fase post-tutoraggio. Dal punto di vista affettivo e di apprendimento il contributo approfondisce l’impatto dell’esperienza attraverso l’analisi di interviste semi-strutturate condotte con gli attori del progetto – dagli studenti universitari ai supervisori facenti capo l’organizzazione del terzo settore promotrice dello stesso – soffermandosi sul senso profondo dell’esperienza, sulle motivazioni iniziali, sull’impatto percepito su sé stessi e sugli altri. È inoltre discusso il ruolo della riflessione all’interno del processo di supervisione che ha guidato i partecipanti nell’analizzare la partecipazione come fattore da pensare e costruire insieme, superando la fatica personale di operare in un contesto ad alta vulnerabilità sociale.
All’origine dell’approccio pedagogico del Service-Learning: la dimensione partecipativa
Alla fine del XX secolo – a partire dalle riflessioni filosofico-pedagogiche di autori come Dewey e Freire – si è diffusa una metodologia di apprendimento partecipata e situata, incentrata sulla creazione di comunità di apprendimento i cui soggetti sono attori sociali diversi che condividono riflessioni a partire da azioni concrete svolte insieme (Pellegrino et al., 2019). La dimensione della partecipazione, da punto di vista della pedagogia – in quanto disciplina interessata allo studio del processo formativo del soggetto – è centrale e implica un duplice livello di problematizzazione: “partecipazione come coinvolgimento attivo dei soggetti nei processi di sviluppo locale e partecipazione come pieno coinvolgimento del soggetto nel suo processo formativo” (Del Gobbo, 2010, p. 96). In questo senso, la partecipazione è direttamente collegata all’idea di emancipazione e di empowerment, consentendo il coinvolgimento del soggetto che apprende all’interno di un dato ambiente, in cui assume centralità la conoscenza esperienziale e trasformativa (Orefice, 2006). La dimensione della partecipazione infatti, “sottolinea il valore della co-costruzione della conoscenza all’interno di un processo conoscitivo che è processo di ricerca [e] indagine […] che si realizza attraverso e grazie ad un processo situato e distribuito” (Del Gobbo, 2010, p. 96), partendo dall’assunto che la realtà è un fenomeno esperienziale. La partecipazione, come paradigma formativo, si allontana quindi dall’idea di una conoscenza proposta come risolutiva che finisce per generare dipendenza senza innovazione, puntando piuttosto ad una dinamica di ordine/dis-ordine di costruzione e ri-costruzione dei saperi dal significato profondo per il soggetto in formazione (Orefice, 2006). Inoltre, tale paradigma contrasta “la ‘frammentazione’ indotta dalla suddivisione di temi complessi in oggetti specialistici […] [portando alla creazione di] processi concreti di de-frammentazione delle questioni [e] puntando proprio sull’invito in aula di chi vive in prima persona le questioni affrontate” (Pellegrino et al., 2019, pp. 293-294). Si tratta quindi di una visione didattica fortemente interdisciplinare che valorizza il ruolo delle singole discipline, mettendo insieme la dimensione dell’insegnamento, della ricerca e della terza missione, intesa non solo come scambio e trasferimento di conoscenze (Cesaroni e Piccaluga, 2016), ma anche come azione trasformativa volta a generare valore pubblico e impatto sociale (Bozeman et al., 2015). Se questi sono gli assunti teorici di fondo, occorrono adeguate condizioni, strumenti e metodologie partecipative in grado di valorizzare le suddette comunità di apprendimento in cui diversi soggetti concorrono alla co-creazione di saperi. In questa linea, il Service-Learning (SL) – inteso come modello pedagogico – offre molte opportunità. Si tratta di un approccio che invita a confrontarsi con la complessità, consentendo di procedere dall’analisi, all’esplorazione di un problema o bisogno sociale, per arrivare alla progettazione e all’attivazione di un cambiamento che l’analisi del problema ha indotto, all’interno di un processo educativo che coinvolge più attori sociali.
Il Service-Learning
Il Service-Learning affonda le sue radici nella lezione dell’attivismo e nella pedagogia degli oppressi, caratterizzandosi per una partecipazione strutturata e complessa tra università e comunità. Secondo Butin (2003) sono quattro i pilastri alla base di tale partecipazione: 1) il rispetto dei valori della comunità; 2) la rilevanza delle azioni progettate e condotte con e per la comunità di riferimento; 3) la valorizzazione del ruolo della riflessione sull’esperienza per generare apprendimento; 4) il riconoscimento del valore della reciprocità che deriva dalla stretta partnership università-comunità.
Alla base del Service-Learning vi è l’idea di ‘trasformare’ la realtà grazie ad una partecipazione attiva di ogni soggetto che è chiamato ad essere protagonista del processo, sviluppando conoscenze e competenze dall’interazione con il contesto. Nel SL il processo di generazione dei saperi fa leva sulla dimensione riflessiva a partire dalla dimensione operativa individuale e collettiva, favorendo così un apprendimento significativo. In questa prospettiva l’approccio può essere considerato partecipativo e situato, dal momento che accompagna e sostiene la co-costruzione della conoscenza – in ottica interdisciplinare – all’interno di una comunità che apprende, riflettendo su esperienze concrete. L’apprendimento è infatti frutto di un processo circolare e riflessivo tra gli attori di progetto che condividono e co-producono significati a partire dalle pratiche, in una logica di empowerment (Bochicchio, Viaggiano, 2012). Lo studio di Eyler (2002) sottolinea che il SL è uno valido strumento di collegamento tra lo studio accademico e il servizio alla comunità in cui gli studenti sviluppano atteggiamenti positivi, comprensione dei problemi sociali, apprendimento permanente, capacità di risolvere i problemi, senso di efficacia individuale e coinvolgimento nella comunità. Ricerche più recenti (Culcasi et al., 2022; Lai e Hui, 2018; Hébert e Hauf, 2015) registrano un aumento dei livelli di leadership e di autovalutazione degli studenti che partecipano ad attività di SL.
Il docente che adotta il SL diventa inevitabilmente facilitatore del processo di apprendimento, per promuovere la capacità di “imparare ad imparare” e valorizzare la collaborazione e la corresponsabilità nella progettazione, realizzazione e valutazione delle attività di servizio svolte con e per la comunità (Bochicchio e Viaggiano, 2012). Questo comporta da un lato, il restituire centralità alle persone portatrici di bisogni e competenze e, dall’altro, l’aprirsi alla sperimentazione di diverse modalità di lavoro e di apprendimento. Di fatto, come sottolineato da diversi studiosi (Tapia, 2018), il SL è un approccio pedagogico e non un metodo: in qualità di facilitatore, il docente ha la possibilità di introdurre una o più metodologie (es. Design thinking, Cooperative learning, Philosophy for Children) all’interno di ogni fase di sviluppo del processo, secondo le specifiche caratteristiche e necessità del contesto e degli attori coinvolti.
Nel presente contributo viene proposta l’articolazione del Service-Learning attraverso l’integrazione con il modello del tutoring, di seguito descritto.
Il Tutoring
Il modello metodologico del tutoring “fa leva su una relazione educativa e di mediazione facilitante. Il ruolo centrale delle mediazioni – culturali, educative, disciplinari, sociali, istituzionali – conferisce forma e senso al tutoring” (Biasin, 2018a, pp. 152-153). Lancaster (1992), ritenuto il principale promotore del metodo, lo suggerisce non solo per la sua efficacia didattica ma anche per il suo valore sociale ed etico. Infatti, il tutoring è uno strumento che permette di attuare “una misura democratica di giustizia sociale” (Biasin, 2018b, pp. 152-153), raggiungendo persone provenienti da classi più svantaggiate per le quali l’accesso/il diritto all’educazione non è garantito. Nello specifico, il tutoraggio tra pari ha lo scopo di aiutare a migliorare l’atteggiamento verso l’apprendimento e l’inserimento nella comunità sociale ed è una tecnica utilizzata in contesti diversi proprio per il suo essere altamente flessibile per contenuti, fasce d’età, numero di studenti e livelli di competenza. L’idea di fondo è quella di considerare gli studenti come portatori di esperienze diverse che interagiscono tra loro nel percorso formativo. Infatti, secondo Biasin (2018a), il tutoraggio è un dispositivo pedagogico pensato per favorire l’empowerment degli studenti e aiutarli a compiere scelte personali e professionali, oltre che di studio.
Secondo Baptista (1998), il tutoring prevede alcune figure essenziali: la prima è quella del tutor, il quale ha una grande responsabilità che si manifesta nel dare una risposta educativa autentica e competente, capace di accogliere le richieste del contesto e di sviluppo personale di chi accompagna; la seconda figura è quella del tutee, colui a cui è rivolto il sostegno e l’accompagnamento e che presuppone fiducia e disponibilità nei confronti del tutor. Altra figura fondamentale è quella del docente o adulto di riferimento, che supervisiona il processo, secondo gli obiettivi stabiliti, lasciando al contempo ampia libertà di azione, senza quindi dirigere il comportamento all’interno della relazione tutoriale. Seguendo la metodologia, da un punto di vista applicativo il tutoring prevede di dividere gli studenti in coppie, all’interno delle quali uno studente agisce come tutor e l’altro come tutee (Rosewal et al.,1995). La relazione che si imposta è di tipo orizzontale e si sviluppa come forma di aiuto e come rapporto di prossimità, facendo leva sulla reciprocità, sulla condivisione e sull’incontro.
Anche se l’azione tutoriale di per sé non garantisce effetti positivi sul tutee, già dagli anni ‘80 alcune ricerche (es. Ehly, Larsen, 1980) riportano che gli studenti si sentono più a loro agio con un tutor alla pari rispetto ad altre figure di riferimento, sono meno restii nel fare domande e riescono a concentrarsi su un problema. Più recentemente, alcune ricerche (Biasin, 2018b) registrano impatti positivi in termini di valorizzazione del senso di autoefficacia individuale e di incremento della motivazione allo studio (Pascarella, Terenzini, 2005). Nella ricerca di Mynard (2007) vengono segnalati altri benefici significativi per gli studenti come la percezione di fare qualcosa di utile per gli altri e di essere un membro utile della comunità’ e ‘la percezione di essere più responsabili. L’impatto positivo non riguarda infatti solo coloro che rivestono il ruolo di tutee ma anche coloro che ricoprono il ruolo di tutor.
Il tutoraggio uno a uno come modalità di realizzazione del Service-Learning: il progetto HOPE
Diversi studi in letteratura (es. Culcasi, Cinque, 2021; Moses et al., 2014; Tomelleri et al., 2020) hanno indagato la relazione tra tutoring e Service-Learning, mettendone in luce i benefici per gli studenti universitari che hanno l’opportunità di acquisire maggiore consapevolezza delle diversità e della complessità delle situazioni di vulnerabilità sociale, sviluppare senso civico e arricchire il proprio percorso accademico riducendo al contempo il carico di responsabilità delle organizzazioni del terzo settore che spesso si trovano a rispondere ai bisogni di un grande numero di utenti. Nello studio di Chien e colleghi (2018) gli autori hanno raccolto 140 diari settimanali analizzando la capacità di risolvere i problemi, l’empatia e l’interazione sociale. I tutor hanno riconosciuto le competenze acquisite con il Service-Learning e hanno descritto l’esperienza come occasione di apprendimento; inoltre, nello stesso studio anche le abilità sociali dei tutee, come la gestione delle relazioni interpersonali e la comunicazione, sono migliorate.
Il progetto di Service-Learning analizzato nel presente contributo è nato dalla partnership tra l’organizzazione ELIS e l’Università LUMSA ed è stato applicato inserendo la metodologia del tutoraggio uno a uno, coinvolgendo circa 20 studenti del Dipartimento di Scienze Umane. L’iniziativa, della durata complessiva di 7 mesi, aveva l’obiettivo di creare le condizioni per il reinserimento socio-economico di giovani-adulti che hanno commesso reati prima dei 18 anni di età e ridurne il rischio di recidiva di reato; ha previsto un affiancamento peer to peer per 20 ragazzi in conflitto con la legge, in carico all’USSM-Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Roma e in accordo con le autorità di giustizia minorile competenti.
Le attività promosse dall’organizzazione partner per i giovani in conflitto con la legge prevedevano: percorsi professionalizzanti in meccanica d’auto e in termoidraulica, con lo scopo di fornire loro le competenze professionali utili all’inserimento nel mercato del lavoro; la realizzazione di un piano individuale di sviluppo basato su due attività, un percorso di Life coaching mediante il Circle-Time e un programma di tutoraggio uno a uno con il coinvolgimento di tutor universitari, all’interno del più ampio percorso di recupero e crescita personale.
Da un punto di vista di coordinamento, il progetto ha coinvolto due docenti universitari e un ricercatore (lato università), cinque referenti interni all’organizzazione partner, due esperti esterni – una psicologa clinica e un criminologo – e in modo indiretto gli operatori sociali che avevano in carico i tutee. Di seguito vengono analizzati gli aspetti organizzativi relativi alla proposta progettuale, con particolare riferimento a come i diversi soggetti hanno concorso alla co-conduzione delle fasi chiave del tutoraggio: fase preparatoria, fase di supervisione e fase conclusiva.
Fase preparatoria
La fase preparatoria al progetto (dicembre-gennaio 2022) ha previsto l’apertura di un bando interno all’Università a cui gli studenti del Dipartimento di Scienze Umane potevano applicare come attività extracurricolare. I referenti dell’organizzazione partner, insieme ai docenti, hanno organizzato presso l’Università LUMSA un incontro da tre ore per presentare il progetto e due intere giornate dedicate ai colloqui one-to-one con gli studenti interessati, sia per approfondirne le motivazioni sia per valutare esperienze pregresse e disponibilità orarie compatibilmente con il percorso accademico. Nella fase di selezione è stata data particolare importanza ai seguenti aspetti: capacità di ascolto e competenze relazionali, precisione, puntualità e capacità organizzativa autonoma, gestione dello stress, flessibilità, motivazione e condivisione della mission di progetto.
A seguito della selezione gli studenti sono stati coinvolti in sei incontri di formazione a cura del Coordinatore del Dipartimento di criminologia e sociologia delle devianze del Centro per gli studi criminologici, giuridici e sociologici di Viterbo. I temi trattati sono stati: la devianza e la criminalità minorile in Italia, le modalità di inquadramento giuridico e le modalità di supporto e tutoraggio. Tali incontri, iniziati durante la fase preparatoria, sono proseguiti durante il periodo di tutoraggio, consentendo il pieno coinvolgimento degli studenti all’interno dell’ambiente di intervento e dando quindi centralità alla conoscenza esperienziale.
Fase di supervisione
All’inizio dell’attività di tutoraggio (gennaio-aprile) ad ogni studente universitario è stato assegnato un tutee con il quale ha svolto un incontro settimanale della durata di un’ora ciascuno, per il periodo di 4 mesi. La fase centrale ha infatti previsto 20 ore di attività di Service-Learning, ovvero la disponibilità ad incontrare i tutee una volta a settimana in un giorno e orario concordato insieme, presso la struttura ELIS.
L’obiettivo dell’attività tutoriale era quella di instaurare una relazione positiva ed una comunicazione efficace con il tutee, sostenerlo nel percorso professionale, ascoltarlo ed accoglierlo, mostrare un modello positivo di comportamento, recepire eventuali problematiche ed aiutarlo nelle strategie di risoluzione. La finalità ultima dell’attività di tutoring all’interno della relazione d’aiuto (mai salvifica, mai colludente), era quella di promuovere i valori del rispetto, della tolleranza, della condivisione, dell’onestà e della responsabilità, attraverso l’accompagnamento nella presa di coscienza del danno arrecato dal reato commesso.
Per tutto il periodo di tutoraggio, gli studenti universitari sono stati seguiti in incontri di supervisione di gruppo, condotti dalla psicologa di progetto e da un referente universitario, allo scopo di creare uno spazio di confronto e comprensione, per affrontare al meglio situazioni sfidanti e complesse e superare i conflitti emergenti dall’operare in un contesto interdisciplinare. La psicologa di progetto ha offerto una prospettiva esperta rispetto a ciò che si verificava nel corso degli incontri con i tutee, instaurando un dialogo autentico e partecipato con i membri del gruppo. Le supervisioni – otto incontri complessivi svolti due volte al mese – hanno favorito negli studenti l’elaborazione dell’esperienza e la metacognizione per dirigere i propri processi di apprendimento. In particolare, la dimensione della partecipazione all’interno delle supervisioni ha dato valore al processo di co-costruzione della conoscenza, invitando gli studenti a portare in aula i vissuti sulle questioni affrontate. Inoltre, la provenienza accademica degli studenti coinvolti ha favorito il dialogo interdisciplinare all’interno dell’esperienza, facendo leva su quella dimensione riflessiva propria dell’approccio del SL.
Per tutto il periodo di tutoraggio anche i giovani-adulti in conflitto con la legge sono stati seguiti dal referente di progetto in 20 incontri condotti attraverso la metodologia del Circle-Time. Ogni incontro aveva la durata di quattro ore, rientrando all’interno del percorso di Life coaching per loro previsto dall’organizzazione partner.
Fase conclusiva
Nella fase conclusiva del progetto è stato organizzato un incontro di riflessione presso l’Università in cui gli studenti hanno creato una narrazione comune dell’evoluzione del loro percorso, attraverso l’impiego di immagini che era stato chiesto loro di portare sulla base delle emozioni provate lungo l’arco del progetto. All’incontro di riflessione è seguito un evento presso l’associazione partner con il coinvolgimento di tutti giovani adulti in conflitto con la legge, gli studenti universitari, i referenti delle organizzazioni coinvolte e gli assistenti sociali.
I giovani adulti hanno raccontato i loro percorsi professionalizzanti in meccanica d’auto e in termoidraulica e i tutor hanno condiviso il significato dell’esperienza di accompagnamento, dialogando con i partecipanti. Tra le testimonianze più rilevanti, una tutor ha sottolineato l’importanza della gestione dei momenti critici durante il progetto: “il rapporto con i ragazzi è stato pieno di emozioni altalenanti. Si sono creati alcuni rapporti di amicizia più profondi e anche le crisi sono state trasformate in occasioni: per parlare delle nostre emozioni e delle nostre paure. Con questo progetto abbiamo dimostrato che gli errori non devono per forza identificare una persona e il suo futuro: possiamo tutti lavorare e possiamo tutti migliorare”. In sede di evento il dialogo comune ha fatto emergere come l’attenzione verso i tutee non abbia riguardato solo gli aspetti contenutistici ma si sia espresso sotto forma di riconoscimento identitario, di vicinanza, cura e comprensione, che presuppone una corresponsabilità e un mutuo apprendimento tra tutor e tutee.
Obiettivi e ipotesi
Partendo dall’assunto che nelle relazioni sia racchiusa un’importante chiave della crescita personale e professionale dei tutor e dei tutee, il metodo del tutoraggio peer to peer utilizzato all’interno dell’itinerario di Service-Learning si è basato sul costruire una sorta di laboratorio sociale per sviluppare nuove consapevolezze e co-progettare azioni comuni, dando la possibilità agli attori coinvolti di mettere in campo le proprie conoscenze e competenze. L’obiettivo dello studio è stato quello di indagare il valore formativo e l’impatto del progetto. In particolare, si ipotizza che la metodologia utilizzata del peer tutoring dentro la macro progettazione del Service-Learning sia stata percepita dagli studenti universitari come formativa (impatto percepito su sé stessi e sugli altri a livello personale e professionale). Inoltre, sulla base di alcune ricerche (es. Deeley, 2016) che sostengono il ruolo determinante della riflessione per l’apprendimento nel SL, si ipotizza che la riflessione abbia avuto un peso specifico nello sviluppo di tale percezione positiva.
Metodo
Partecipanti e procedure
Allo studio hanno preso parte 9 soggetti (Nmaschi=3; Nfemmine=6) di cui sei studenti universitari e tre collaboratori dell’organizzazione partner, comprese le figure dello psicologo e del criminologo. I sei studenti universitari (Nmaschi=2; Nfemmine=4) hanno un’età compresa tra i 23 e i 25 anni. Al momento dello studio gli studenti regolarmente iscritti presso l’Università LUMSA frequentavano i seguenti corsi di laurea: Psicologia del lavoro e del benessere organizzativo (N=4), Psicologia clinica (N=1) e Progettazione e gestione dei servizi socioeducativi (N=1). Ai partecipanti è stato chiesto di prendere parte a delle interviste semi strutturate a distanza di tre mesi dalla fine del progetto. Tutti i partecipanti hanno dato il loro consenso formale alla partecipazione alla ricerca che è stata condotta secondo la legge europea sulla privacy e sul consenso informato (GDPR 2016/679).
Strumenti
Al fine di indagare l’impatto dell’esperienza sono state condotte delle interviste semi strutturate, prevedendo un insieme fisso e ordinato di domande aperte con possibili adattamenti e variazioni in base ai contenuti emergenti durante lo svolgimento delle stesse. Questa tipologia di intervista permette di far esprimere all’intervistato il proprio punto di vista liberamente, descrivendo tutto ciò che ritiene opportuno. L’intervista somministrata era composta da sette domande. Un esempio di domanda è: “Se e in che modo ti hanno aiutato gli incontri di riflessione con la psicologa e con l’esperto di criminologia del progetto?”.
Piano di analisi
Nell’ambito del Service-Learning, l’utilizzo di quale approccio di ricerca (e relative tecniche) sia meglio adottare è tema di dibattito all’interno della comunità scientifica (Ria, 2018). La sfida è quella di rilevare adeguatamente l’impatto dei progetti, considerando la loro complessità in termini di componenti che sono molteplici. In questo senso, un approccio di ricerca particolarmente interessante è quello qualitativo. In riferimento al presente studio, sono due le ragioni principali che hanno portato a tale scelta: l’esigenza di voler indagare a fondo il significato dell’esperienza vissuta dai partecipanti e il numero ridotto di studenti che ha preso parte all’esperienza; tale numerosità non avrebbe permesso la scelta di un approccio quantitativo, per il quale è necessario raggiungere la potenza statistica. Al contrario, il metodo qualitativo si dimostra efficace nell’intento di individuare diverse sfumature di un comportamento o di un evento che altrimenti non potrebbero essere colte, considerando le complesse interazioni di relazioni umane e altri fattori (Cohen, 2011). Anche per questi motivi, la maggior parte degli studi sul Service-Learning adotta un approccio di tipo qualitativo (McNatt, 2019). I dati delle interviste sono stati analizzati mediante un’analisi del contenuto. Nello specifico, è stato seguito un approccio di analisi induttivo per identificare temi emergenti sia per ciò che concerne l’esperienza vissuta secondo il punto di vista degli studenti, sia per ciò che concerne il punto di vista dei collaboratori.
Risultati
Di seguito vengono presentati i risultati delle analisi relative agli studenti (Tabella 1).
Fattori strutturali
Da un punto di vista dei fattori strutturali, dalle interviste degli studenti sono emerse due macro categorie: la prima relativa alla metodologia, alla sua articolazione e organizzazione e all’impatto potenziale; la seconda relativa alla dimensione riflessiva.
In merito alla prima categoria – da ora ‘metodologia’ – gli studenti hanno messo in evidenza la validità della proposta progettuale loro rivolta in ambito universitario per la possibilità di “approfondire aspetti teorici nella pratica”, per “lo stile di apprendimento diretto e personalizzato” e perché risponde a delle dimensioni di senso, generalmente poco attenzionate nella formazione accademica; in tal proposito uno studente afferma: “le istituzioni non tengono conto del lato umano quindi è solo la parte nozionistica che importa e questo crea un grosso danno perché ci sono delle persone dietro gli studenti”. Questi aspetti sono anche alla base delle motivazioni che hanno portato i tutor a partecipare al progetto, oltre ad una spontanea curiosità di aderire ad attività che “non si fanno spesso in università”. Sono state però evidenziate anche alcune criticità rispetto alla sostenibilità di applicare il SL attraverso il tutoraggio uno a uno, soprattutto quando si hanno classi con grandi numeri. Sull’articolazione della metodologia alcuni studenti hanno sottolineato l’utilità e, allo stesso tempo, la difficoltà di avere delle date stabilite per gli incontri di supervisione di gruppo, condividendo obiettivi e scadenze. Da un punto di vista di impatto in ambito di vulnerabilità sociale gli studenti menzionano le potenzialità dell’approccio: alcuni accennano al miglioramento del senso di responsabilità dei tutee, allo sforzo personale di “non identificarsi in delle etichette preconfezionate e togliersi le maschere del menefreghismo perché è più importante quello che c’è dentro”. In particolare, sul tema dell’impatto potenziale della proposta uno studente afferma: “questo progetto li aiuterà nel futuro e li aiuta adesso perché guardare il mondo con gli occhi di qualcun altro e quindi ripercorrere questo mondo nei tuoi occhi e vedere qualcosa che prima ti sembrava grigio con colori diversi, ti aiuta. Li ha aiutati sicuramente a guardarsi in maniera diversa e a rivalutarsi”. Per contro, c’è chi nelle interviste riporta un quadro complessivo meno positivo affermando che tra i tutee “a livello pratico c’è chi ha capito l’importanza del progetto e chi l’ha capito troppo tardi, all’ultimo. Però, in generale, credo che arrivati alla giornata conclusiva in cui si sono tirate le somme e loro hanno visto la fatica e l’impegno che hanno messo tutte le persone che hanno preso parte al progetto, credo che abbia avuto un impatto per progetti futuri, per prendere le cose da un altro punto di vista”.
In merito alla seconda categoria – dimensione riflessiva – ne emerge il grande valore di orientamento e di confronto tra pari. Rispetto al primo punto gli studenti considerano fondamentali i momenti di supervisione per “capire la direzione da prendere, uscire dal disorientamento e acquisire chiavi di comprensione su persone molto distanti dal proprio percorso di vita”. Alcuni riferiscono che “al di là della parte teorica che è fondamentale, poi c’era la relazione vera e propria dove ci si confrontava umanamente e si accoglievano ottimi spunti di riflessione”. Dalle interviste emerge anche la centralità del feedback come strumento di lavoro. In questo senso è interessante notare come gli studenti abbiano dato egual peso e misura alle tue tipologie di supervisione: la prima di carattere più formativo con il criminologo, la seconda di carattere più relazionale con la psicologa di progetto. In questa linea una studentessa afferma: “le supervisioni con il criminologo mi hanno aiutata a dare un approccio teorico iniziale e pratico poi, ragionando su esempi concreti della sua esperienza sul campo. Il suo background ha avuto un bell’impatto perché vedevi che bastava una frase riportata o comunque una tua impressione su quello che avevi vissuto e lui coglieva subito il problema e la situazione. Con la psicologa è stato altrettanto importante, mi sono accorta che aveva un metodo, faceva domande ben specifiche a ognuno di noi, ci metteva a volte anche in difficoltà perché chiedeva cose a cui effettivamente nessuno sapeva rispondere e di conseguenza ci faceva ragionare”. Tra gli intervistati c’è anche chi ha dichiarato di non essere riuscito a partecipare alla maggior parte degli incontri di supervisione ma di averne percepito l’importanza per comprendere le dinamiche all’interno della relazione tutoriale. Seppur sia un caso isolato è interessante riportarlo nei risultati per opportune riflessioni nelle discussioni dell’articolo.
Per quanto riguarda invece la dimensione del confronto tra pari all’interno delle supervisioni, gli studenti hanno dichiarato che “era un modo per scaricare il peso delle confessioni che si facevano”, “un modo per comprendere come gestire le situazioni critiche” sottolineando, in alcuni casi, quanto la riflessione di gruppo sia stata un supporto a livello personale per affrontare momenti di difficoltà oltre il progetto. Alcuni, in particolare, hanno menzionato il ruolo di ‘pungiball’, assunto a rotazione per contenere le frustrazioni e le difficoltà incontrate dai membri del gruppo, mentre altri hanno descritto tale componente di riflessione tra pari l’aspetto più importante del progetto perché “con un coetaneo ti senti meno giudicato, entri più facilmente in relazione, esprimi dubbi, ti fai comprendere in modo più semplice e ti senti più sostenuto”.
Fattori affettivi
Da un punto di vista dei fattori affettivi nelle interviste degli studenti sono emersi diversi sentimenti, stati d’animo e reazioni, sia nei confronti dei rispettivi tutee, sia sull’esperienza in generale.
In merito ai tutee tra i sentimenti più citati vi è la speranza, quell’attesa fiduciosa di qualcosa che ci si augura avvenga secondo i propri desideri. In questa linea, una studentessa afferma: “spero di avergli lasciato un’altra prospettiva, l’idea che esistono tante soluzioni e alternative a certe esperienze”. C’è chi invece dichiara di aver provato un senso di impotenza e dispiacere perché crede che l’esperienza non abbia aiutato la crescita personale del tutee: “io mi sono ritrovata in una vita già un po’ arresa, nel senso che questa persona diceva ‘la mia vita è questa, sono anche felice delle mie scelte, non ho alternative’ quindi lo dico con grande dispiacere e con grande senso di realtà ma non credo di aver lasciato un segno positivo”. Sempre rispetto ai tutee emerge anche il desiderio, un sentimento che viene menzionato in relazione all’essere presente per l’altro: “Sono arrivata lì con la bugia un po’ di poter fare qualcosa invece poi mi sono resa conto solo di poterci essere, quindi il testimoniare il mio desiderio di esserci”.
In merito all’esperienza nel suo complesso gli studenti hanno espresso la curiosità di cimentarsi in qualcosa di nuovo, il piacere di aiutare altre persone, conoscere nuove storie e rendersi utili “facendo il proprio pezzettino di responsabilità”. Inoltre, è emerso un generale senso di positiva scoperta per la significatività dell’esperienza.
Fattori di apprendimento
Da un punto di vista dei fattori di apprendimento dalle interviste degli studenti sono emerse due macro categorie: la prima relativa alla crescita personale, la seconda alla crescita professionale.
Sulla crescita personale gli studenti dichiarano che grazie all’esperienza hanno scoperto alcuni loro punti di forza e qualità “che non avev[ano] ancora scoperto perché non messi in pratica”; di essere usciti dalla propria comfort zone, “riflettendo molto su determinate tematiche e interfacciandosi con realtà molto diverse”; di essere riusciti a superare alcuni limiti, accogliendo i fallimenti e superando il senso di impotenza all’interno della relazione tutoriale invece di abbandonarla; di essersi arricchiti dalla condivisione e dallo scambio di esperienze che “hanno un grandissimo valore a prescindere dal risultato”.
Sulla crescita professionale molti hanno sottolineato la dimensione di orientamento. In merito una studentessa ha affermato: “a livello professionale a me è servito tanto perché ho capito che è questo il settore in cui vorrei lavorare e quindi mi ha aiutata proprio a toccare con mano quello che vorrei fare in futuro”. Un’altra dimensione emersa è quella dello sbocco lavorativo che affiora sia nella percezione di potersi spendere i metodi appresi nella carriera futura sia nella possibilità di accedere a dei ruoli professionali che valorizzano le capacità sviluppate; a questo proposito uno studente afferma: “a livello professionale mi ha lasciato molto per poter coltivare eventualmente un’esperienza di Service-Learning che può servire effettivamente a livello lavorativo”.
Categorie | Subcategorie | Dimensioni |
Fattori strutturali | area metodologica
dimensione riflessiva
| approfondire aspetti teorici nella pratica apprendimento personalizzato cura degli aspetti umani sostenibilità della proposta struttura, obiettivi e scadenze impatto potenziale
guida e comprensione peer education feedback |
Fattori affettivi | stati d’animo legati ai tutee
stati d’animo sull’esperienza
| speranza desiderio delusione dispiacere impotenza
curiosità piacere stupore |
Fattori di apprendimento | crescita personale
crescita professionale | qualità personali e punti di forza superamento di limiti comfort zone arricchimento personale
orientamento sbocco lavorativo spendibilità dei metodi appresi |
Tabella 1. Matrice di codifica del SL articolato attraverso il tutoraggio uno a uno – studenti.
Organizzazione partner
Di seguito vengono presentati i risultati delle analisi condotte sulle interviste dei referenti di progetto, esterni all’Università (Tabella 2).
Fattori strutturali
Per quanto riguarda i fattori strutturali, dalle interviste dei referenti di progetto sono emerse due macro categorie: la prima relativa alla validità del metodo in termini di articolazione e impatto sociale; la seconda relativa alla dimensione riflessiva.
In merito alla prima categoria i referenti di progetto mettono in luce diversi aspetti sul metodo del tutoraggio uno a uno nel più ampio quadro del Service-Learning: “favorisce la relazione, il confronto, la condivisione, la capacità di chiedere aiuto e di offrirlo”, rappresentando quindi “un’opportunità da potenziare in ambito accademico”. Da un punto di vista di impatto, gli intervistati menzionano sia l’area dei tutor sia dei tutee; sui primi affermano che il principale beneficio sta nell’essere entrati all’interno di un’organizzazione che dedica spazio, tempo e risorse umane (progettisti, psicologi, criminologi etc.) con le quali si sono interfacciati come colleghi e non come studenti, diventando a tutti gli effetti parte di un tavolo di lavoro. Un intervistato, in particolare, menziona il momento di chiusura e celebrazione del progetto come manifestazione concreta di questo ampio tavolo a cui hanno partecipato a diverso titolo più soggetti e istituzioni. Viene inoltre menzionata la reale opportunità di poter dare risposta ad un bisogno reale (e in linea con le proprie competenze accademiche): “è uno dei pochi progetti che si mette in ascolto di quelle che possono essere le esigenze di questi ragazzi perché l’abitudine degli operatori nei confronti di questo disagio è quella comportarsi come osservatori. [...] Invece il progetto HOPE capovolge questa dinamica, da oggetto di osservazione da parte di altri diventi soggetto di osservazione di te stesso, cioè inizi a lavorare e ad ascoltare te stesso e gli altri, e attraverso l’auto-percezione puoi ridefinire la tua identità”. Quest’ultimo aspetto riguarda ovviamente anche l’impatto sui tutee, che hanno l’opportunità di avere uno spazio sicuro all’interno di una relazione positiva in cui essere ascoltati e ascoltarsi per auto-percepirsi in modo nuovo. Gli intervistati hanno sottolineato il fatto che gli studenti universitari fossero lì per ascoltarli “senza compenso e senza ricevere tanti crediti formativi è stata una grande scoperta per loro”, facendo capire “che le persone non hanno per forza un secondo fine”. Inoltre, un ultimo elemento di impatto viene menzionato in merito al confronto con i tutor che permette ai tutee di conoscere contesti di vita differenti, di aprirsi e confidarsi e, in alcuni casi, di creare dei legami che vanno oltre il progetto. Va segnalato che come nel caso degli studenti anche i referenti hanno messo in evidenza alcune criticità dell’approccio, in particolare, la sostenibilità delle supervisioni in termini di risorse.
In merito alla seconda categoria i referenti di progetto mettono in luce come la dimensione della riflessione condivisa abbia aiutato gli studenti a conoscere il punto di vista degli altri su come stavano vivendo il progetto e grazie a questo a conoscere meglio sé stessi, la propria emotività e capacità di relazione. Inoltre, viene menzionato che le supervisioni sono state uno spazio all’interno del quale costruire un gruppo e “sentirsi un gruppo, un ingranaggio importante all’interno di un ingranaggio ancora più grande”. Altro elemento importante della riflessione per gli intervistati è la possibilità di sostenere e incoraggiare gli studenti nei momenti critici, rinnovando la motivazione di fronte alle difficoltà e offrendo una prospettiva esperta: “voi avete bisogno di motivazioni in assenza delle quali magari fate un colloquio con uno di loro, non raggiungete gli obiettivi che vi eravate prefissati, allora potreste pensare di non essere adatti a quel mestiere”.
Fattori affettivi
Per quanto riguarda i fattori affettivi nelle interviste dei referenti di progetto sono emersi diversi sentimenti, stati d’animo e reazioni, che a loro avviso hanno investito tutor e tutee. Su entrambi, gli intervistati hanno osservato sentimenti di diffidenza e frustrazione legati alle barriere iniziali del processo di conoscenza, attraversando i quali, in alcuni casi, si è riusciti a costruire una relazione paritetica e di fiducia (“non sempre perché molto spesso i ragazzi anche alla fine si mostravano diffidenti o comunque avevano difficoltà ad aprirsi completamente”). Questo sentimento di diffidenza viene menzionato in particolare per i tutee in quanto “abituati ad essere osservati speciali e questo li mette in una posizione di forte imbarazzo [...] allora tendi a mascherarti, a giustificarti, [...] a creare un muro”. A questo, nella maggior parte dei casi, si aggiungono i bassi livelli di autostima.
Lato studenti sono stati osservati un forte entusiasmo, curiosità di sperimentarsi in un ruolo nuovo, mettersi nei panni di un altro e di capire quali possano essere le dinamiche sottostanti certe scelte devianti, se di scelte di parla. A quest’ultimo aspetto si collega l’empatia quale principale porta d’accesso agli stati d’animo dell’altro e come motivazione a fare qualcosa per il prossimo. Un intervistato afferma: “ho trovato per la prima volta un gruppo davvero curioso, interessato, anche se il proprio tutorato non si presentava all’incontro. Non è sempre stato semplice però nonostante tutto sono stati caparbi”.
Fattori di apprendimento
Per quanto riguarda i fattori di apprendimento dalle interviste dei referenti di progetto sono emerse, come nel caso degli studenti, due macro categorie: la prima relativa alla crescita personale, la seconda alla crescita professionale, entrambe riferite sia ai tutor sia ai tutee.
Da un punto di vista di crescita personale i referenti hanno osservato nei tutor lo sforzo di riconoscere e superare i propri pregiudizi e di lavorare sui punti di miglioramento. Hanno inoltre osservato una crescita in termini di capacità di accogliere l’altro diverso da sé e di mantenere un impegno preso. In particolare, da un punto di vista professionale viene menzionata l’esperienza di collaborazione con diversi profili. Un altro elemento rientra, a loro avviso, nell’aver imparato a relazionarsi e ad essere ‘guida’ di altre persone.
Per quanto riguarda i tutee i referenti hanno osservato un’apertura al cambiamento: non tutti i ragazzi hanno imparato nei corsi professionalizzanti, “quello che è abbastanza alla portata di tutti loro non è l’apprendimento, è il cambiamento. [...] In termini di cambiamento sono tutti bravi, perché cominciano a capire che [...] ‘se io ascolto, poi quando viene il mio turno gli altri ascoltano me’ [...] e se io ascolto gli altri c’è la possibilità che mi crei una nuova opinione [...] e questo è un cambiamento epocale perché da lì ricomincia tutta una storia nuova, [...] è una rivoluzione [perché] se li metti in movimento tu stai generando una forma di autostima”. Da un punto di vista professionale hanno invece osservato l’acquisizione di un metodo, ad esempio “se per fare il meccanico devi alzarti la mattina presto, devi dedicare particolare attenzione a quello che fai, devi studiare come funziona il motore allora comprendi l’importanza della disciplina, dello studio, dell’acquisizione di competenze”. Un intervistato menziona che tra i giovani-adulti alcuni sono riusciti anche ad ottenere degli stage formativi, ciò è determinato dal fatto che alcuni “hanno imparato che vuol dire iniziare a entrare nel mondo del lavoro e assumersi una responsabilità”. In definitiva, anche se non tutti i ragazzi sono riusciti a cogliere appieno le opportunità di progetto, i referenti credono che sia stato piantato un seme i cui frutti si vedranno su lungo periodo.
Categorie | Subcategorie | Dimensioni |
Fattori strutturali | area metodologica
dimensione riflessiva
| relazione confronto condivisione chiedere e offrire aiuto lavoro interdisciplinare insostenibilità per risorse
sostegno conoscenza di sé e degli altri gruppo incoraggiamento motivazione |
Fattori affettivi | tutor
tutee
| frustrazione diffidenza caparbietà entusiasmo curiosità empatia
frustrazione diffidenza bassa autostima |
Fattori di apprendimento | crescita personale
crescita professionale | pregiudizi punti di miglioramento apertura al cambiamento
collaborazione relazione e guida metodo di lavoro
|
Tabella 2. Matrice di codifica del SL articolato attraverso il tutoraggio uno a uno – organizzazione partner.
Discussione
Il presente studio ha voluto indagare l’efficacia del Service-Learning universitario articolato con la metodologia del tutoraggio uno a uno all’interno di un contesto ad alta marginalità sociale, volto ad accompagnare un gruppo di giovani-adulti in conflitto con la legge in un percorso di reinserimento lavorativo e di crescita personale. Nell’analizzare il percorso situato e partecipativo in cui hanno interagito docenti, studenti, referenti dell’organizzazione partner e giovani-adulti, il presente contributo ha condotto delle interviste semi strutturate e analizzato i dati sulla base di tre gruppi di fattori: strutturali, affettivi e di apprendimento (Falchikov, 2001).
Da un punto di vista strutturale è interessante sottolineare la percezione degli studenti sulla riflessione quale elemento centrale per orientarsi e apprendere e, in particolare, il valore del confronto tra pari attraverso l’utilizzo dei feedback. Nonostante nessuno studente abbia formalmente abbandonato il percorso prima del termine, in un caso isolato un intervistato ha dichiarato di non aver potuto prendere parte a diversi incontri di supervisione ma di averne comunque apprezzato il valore, allo stesso modo dei colleghi che hanno partecipato attivamente. In questa sede si può ipotizzare che la dimensione informale del gruppo dei pari – con cui è possibile condividere l’esperienza anche oltre i tempi formali di progetto – possa aver inciso in tal senso. Questo a sottolineare come la dimensione del gruppo dei pari sia fondamentale per supportare quella logica di partecipazione come co-costruzione della conoscenza, superando le difficoltà derivanti dal non riuscire a garantire un’adesione attiva costante. In questo senso è interessante notare che la ‘fatica’ della partecipazione è stata maggiormente percepita dagli studenti sugli appuntamenti di supervisione piuttosto che sugli incontri con i tutee. L’analisi delle interviste non permette di ipotizzare una relazione tra la difficoltà di partecipare alle supervisioni e alcuni fattori specifici ma la letteratura del settore (es. Deeley, 2016) suggerisce una certa resistenza ai processi di riflessione quando questi richiedono agli studenti di modificare profondamente i personali schemi interpretativi per interiorizzare l’esperienza.
Anche per i referenti di progetto la dimensione riflessiva ha avuto un ruolo centrale, permettendo agli studenti di vivere un’esperienza formativa significativa, conoscendosi di più sia nella relazione con il gruppo sia con i tutee. Quanto emerso conferma le ipotesi iniziali e trova riferimenti in letteratura: lo studio di Lazar e Preece (1999) riporta che le sessioni di feedback tra pari – organizzate in modo strutturato all’interno dei progetti di Service-Learning – svolgono un ruolo significativo per il successo dei progetti stessi. Inoltre, secondo gli studi di Furco (2009) nel SL “la riflessione è il fattore che trasforma un’esperienza interessante e impegnata in qualcosa che influisce decisamente sull’apprendimento e sullo sviluppo degli studenti”; è il mezzo fondamentale per prendere consapevolezza di ciò che è stato acquisito in termini di conoscenze, competenze, valori importanti per la propria vita e il proprio stare dentro la comunità. Da un punto di vista affettivo e di apprendimento è emerso quanto il superamento dei conflitti emergenti dall’operare in un contesto nuovo e ad alta vulnerabilità sociale – e le emozioni altalenanti derivanti – abbia conferito all’esperienza un valore formativo, di crescita personale e professionale, confermando quanto emerge dalla letteratura del settore (es. Moses, Fry, 2014) in merito allo sviluppo di una maggiore consapevolezza delle diversità e della complessità delle situazioni di vulnerabilità sociale. Da questo punto di vista è interessante notare che la maggior parte degli studenti ha avuto percezione di essere portatore di impatto sociale. Questi risultati sono in linea con alcuni studi (es. Mynard, 2007) che segnalano come tra i benefici significativi riportati dagli studenti vi sia tale percezione di essere membri di una comunità, facendo qualcosa di utile per gli altri. I referenti di progetto confermano l’impatto positivo dell’esperienza da un punto di vista affettivo e di apprendimento: in particolare, per gli studenti universitari il fatto di aver risposto ad un bisogno sociale reale e di essere entrati all’interno di un’organizzazione, interfacciandosi con diverse figure professionali come colleghi e diventando a tutti gli effetti parte di un tavolo di lavoro che ha dato valore alla co-costruzione della conoscenza partendo dai vissuti esperienziali.
In linea generale, superando le difficoltà delle complesse dinamiche relazionali e di contesto, i risultati dello studio aprono a interessanti prospettive di articolazione dell’approccio del SL attraverso il tutoraggio uno a uno, al fine di lavorare sulla dimensione della partecipazione, da intendere come coinvolgimento attivo dei soggetti nei processi di sviluppo locale e nei propri processi formativi. Rimane aperta la questione sulla criticità del metodo al momento di proporlo a un numero più ampio di partecipanti, anche rispetto alle risorse che questo implicherebbe in termini organizzativi e di supervisione.
Limiti e studi futuri
Il presente studio presenta alcuni limiti. Il primo fa riferimento alla scarsa durata del progetto; infatti sebbene abbia avuto una durata complessiva di 7 mesi, gli incontri tra tutor e tutee si sono realizzati durante 4 mensilità. Altro limite è il numero dei partecipanti alle interviste, dovuto al numero dei partecipanti stessi al progetto che prevedeva posti limitati. Direttamente collegata a questo limite si è presentata la criticità di non aver potuto suddividere il campione per individuare quali siano stati i risultati dell’intero processo con le rispettive differenze tra gli studenti che hanno partecipato a tutto il percorso e chi non è riuscito a garantire una partecipazione costante. D’altra parte, trattandosi di un itinerario complesso al quale più attori hanno partecipato a diverso titolo, potrebbe essere infruttuoso suddividere i diversi livelli di partecipazione, essendo questi – almeno nel caso del progetto in esame – sfumature facenti parte del processo stesso. Studi futuri potrebbero indagare il peso di specifici fattori sulla dimensione della partecipazione. Un altro limite del presente studio riguarda il non aver potuto coinvolgere i tutee nelle interviste; è rilevante sottolineare a tal proposito come il SL implica un approccio bidirezionale dell’azione solidale. In tal senso, sarebbe stato interessante considerare anche l’impatto che tale esperienza ha avuto su emozioni e apprendimento, intervistando coloro che, formalmente, si ritiene essere i primi beneficiari del progetto. Da un punto di vista di approccio alla ricerca, anche se il metodo qualitativo permette di approfondire dinamiche e vissuti che l’esperienza ha generato, allo stesso tempo si limita ad una dimensione descrittiva che non permette di indagare l’eventuale incremento di competenze cognitive e non cognitive. Infine, il tempo trascorso tra la fine del progetto e la realizzazione delle interviste (4 mesi) può essere inteso come ulteriore limite. Infatti, i ricordi dell’esperienza potrebbero essere stati meno vividi e per tale ragione anche le verbalizzazioni degli intervistati potrebbero essere state inficiate. Per contro, tale nesso temporale potrebbe aver permesso ai partecipanti di riflettere profondamente sul senso dell’esperienza vissuta, restituendo una visione più articolata di quello che è stato l’impatto che tale progetto ha generato in loro.
Studi futuri potrebbero raccogliere dati qualitativi attraverso un diario o un personal journal in modo da fornire una fotografia completa del cambiamento dei fattori strutturali, affettivi e di apprendimento nel tempo. Sarebbe inoltre opportuno coinvolgere un campione più ampio di studenti, senza però snaturare la specificità del progetto. Infine, un puntuale monitoraggio degli esiti e dell’impatto sui primi destinatari sarebbe auspicabile per una visione completa dei benefici dell’approccio del Service-Learning, soprattutto in congiunzione con l’utilizzo della metodologia del peer tutoring.
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Note
[1] Ad Irene Culcasi si attribuisce la supervisione della progettazione e conduzione dello studio, la stesura del contributo, l’analisi dei dati, l’editing e la revisione del lavoro; a Camilla Pettini la pianificazione e conduzione dello studio; a Maria Cinque la stesura del paragrafo 6 e la revisione del lavoro.
Le autrici
Irene Culcasi (i.culcasi@lumsa.it). Assegnista di ricerca e docente a contratto di Service-Learning presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università LUMSA di Roma, dove coordina l’area dei progetti della Scuola di Alta Formazione EIS (Educare all’incontro e alla solidarietà). Ha conseguito un dottorato di ricerca in Contemporary Humanism presso la LUMSA, con doppio titolo presso la Pontificia Universidad Católica de Chile. È membro fondatore dell’European Association of Service-Learning in Higher Education (EASLHE) e cofondatrice e vicepresidente di Comparte Onlus.
Camilla Pettini (c.pettini@lumsastud.it). Neo laureata in psicologia del lavoro e del benessere organizzativo presso l’Università LUMSA di Roma. Ha elaborato una tesi dal titolo “Efficacia del tutoring e importanza delle soft skills nel mondo della scuola e del lavoro”. Attualmente svolge un tirocinio abilitante nell’area HR presso un’azienda specializzata in reclutamento ICT.
Maria Cinque (m.cinque@lumsa.it). Professore Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università LUMSA di Roma, dove coordina il corso di Scienze dell’Educazione ed è Direttore della Scuola EIS (Educare all’incontro e alla solidarietà). Dirige il corso di specializzazione per il sostegno didattico agli alunni con disabilità e diversi Master per il personale docente di ogni ordine e grado. Ha un dottorato di ricerca in Tecnologie dell’insegnamento e della comunicazione e i suoi principali interessi di ricerca si concentrano sulle competenze trasversali e digitali, sulla formazione dei docenti universitari e sul Service-Learning.