Il filo di Arianna. Un'esperienza didattica di cooperazione digitale | Il filo di Arianna. An educational experience of digital cooperation
Martino SacchiPDF: DOI 10.5281/zenodo.6850054
Abstract
The article presents Il filo di Arianna, an educational experience aimed to merge the best features of ICTs and paper communicationmedia. The system has three concentric circles: an on-demand-printed book, which is offered in a digital version on the related website Il filo di Arianna, too; the whole of the multimedia content of the website itself; the “cloud” of the selected internet pages linked from the website. The goal is to help students to build their own texts (the so called “quaderno-dispensa”) by picking up and organizing all this stuff. The students work under teacher’s supervision but in an autonomous way.
Keywords: constructivism, Moodle, teaching, cooperative learning
L’articolo presenta l’esperienza de Il filo di Arianna, che cerca di unire le caratteristiche migliori del medium digitale e di quello cartaceo. Il sistema è una serie di anelli concentrici: un libro realizzato in print-on-demand, i cui contenuti sono replicati nel sito didattico; l’insieme dei contenuti multimediali del sito; la nuvola dei contenuti della rete raggiungibili attraverso link specifici. L’obiettivo è aiutare i ragazzi a costruire un proprio testo (“quaderno-dispensa”) raccogliendo e organizzando tali materiali sotto la guida del docente ma in modo autonomo, diventando così co-autori del proprio sapere.
Parole chiave: costruttivismo, Moodle, didattica, apprendimento cooperativo
L’esperienza di Il filo di Arianna. Rivista on line per la didattica nelle scuole superiori (da ora in poi FdA) inizia ufficialmente nel gennaio del 2009 dopo alcuni anni di sperimentazione (il primissimo sito, non più esistente da tempo, risale al 2006). L’idea di base è semplice: fare interagire tra loro il medium gutemberghiano e quello elettronico per sfruttare sul piano didattico le caratteristiche migliori di entrambi. Vorrei precisare subito che sebbene questo stile di lavoro sia in linea di principio applicabile in ogni campo io l’ho sperimentato effettivamente solo per le materie del mio insegnamento, cioè storia e filosofia, e che solo per quest’ultima mi è stato possibile sviluppare pienamente le idee che cercherò di descrivere in questo articolo. Come si vedrà, si tratta di una proposta in realtà piuttosto moderata, perché si limita a rendere visibile (si potrebbe quasi dire a “oggettivare” hegelianamente), attraverso un uso neanche troppo spinto della tecnologia oggi a disposizione di molti, ciò che fa chiunque studi un po’ sul serio. Si potrebbe forse descriverla come una proposta nel solco dell’attivismo inteso in senso molto ampio, secondo la nota formula per la quale gli studenti devono essere “coautori del proprio sapere” e non semplicemente limitarsi a ricevere le conoscenze per poi ripeterle in modo passivo (posto che qualcuno abbia mai veramente pensato che questo sia studiare).
I poli che entrano in tensione nel sistema FdA, oltre al docente e agli studenti, sono un manuale e un sito ad esso correlato.[1] Com’è noto, il supporto cartaceo offre prima di tutto stabilità: le informazioni sono sempre allo stesso posto, favorendo la memoria visiva, e la sequenza unidirezionale delle pagine organizza automaticamente il flusso delle informazioni in un “prima” e in un “dopo” (basta scorrere l’indice di qualsiasi manuale di filosofia per apprendere che Socrate viene prima di Platone e questi prima di Aristotele) e questo a sua volta fornisce almeno un indizio sulle relazioni causali che intercorrono tra gli eventi (ciò che viene “prima” è molto probabilmente causa di quello che viene “dopo”); perfino il semplice numero di pagine dedicate a un certo argomento fornisce un indizio sulla sua importanza (almeno a livello scolastico). Insomma, «un libro è per sempre», si potrebbe dire parafrasando una nota pubblicità sui diamanti: e non a caso certi docenti usano per decenni lo stesso manuale.
Viceversa il medium elettronico offre fluidità e velocità di elaborazione: parlando in generale, le informazioni possono essere individuate quasi istantaneamente attraverso un uso ragionevole dei motori di ricerca e riorganizzate con facilità per produrre un «output» flessibile e adattabile a molteplici situazioni (stampa su carta, stampa su file, presentazioni in vari formati, da PPT a Prezi), per non parlare del fatto che il testo può essere facilmente integrato con immagini, video e audio.
Il FdA si basa su una sorta di “avanti-e-indietro” continuo tra questi due mondi. Attraverso di esso gli studenti sono chiamati, sotto la guida dell’insegnante, a costruire un proprio testo stabile (chiamato “quaderno-dispensa”[2]) partendo da una serie di materiali “semilavorati” che vengono messi a disposizione su un sito dedicato e, in parte, reduplicati su un manuale (Il filo di Arianna della filosofia) scritto da me e pubblicato in print-on-demand dalla casa editrice milanese Ledizioni.[3] Il punto di riferimento teorico per il progetto potrebbe essere la nozione di “ri-mediazione” di Bolter e Grausin,[4] ossia la riutilizzazione delle caratteristiche di un medium (la stampa) in un altro (lo schermo di un computer) e viceversa. In effetti quello che si cerca di fare con FdA è proprio sfruttare le caratteristiche di un medium usando l’altro medium e viceversa: i contenuti gutemberghiani (il manuale e/o le altre fonti) vengono fluidificati e riplasmati attraverso il medium elettronico per produrre un altro contenuto gutemberghiano (cioè stabile: il quaderno-dispensa) i cui autori però non sono i docenti, ma gli studenti (sotto la guida dei docenti).
L’intero sistema assume l’aspetto di una serie di cerchi concentrici. Al centro sta il nucleo testuale fissato da me e presentato agli studenti sia sul manuale sia sul sito.[5] Teoricamente la forma del print-on-demand permetterebbe di modificare questo testo anno dopo anno, ma di fatto i cambiamenti sono stati finora del tutto marginali. Questo nucleo centrale può essere considerato quindi sostanzialmente stabile. Il secondo cerchio è rappresentato da tutti i materiali presenti solo sul sito. Questi materiali sono di ogni tipo possibile: presentazioni, mappe concettuali, testi originali, testi di approfondimento, foto, immagini, disegni, podcast, video autoprodotti e così via. Questo secondo cerchio è molto fluido e cresce costantemente anno dopo anno, adattandosi anche alla disponibilità di nuovi strumenti informatici. Nella versione su Moodle questo secondo livello comprende anche tutti gli esercizi e i lavori collettivi svolti dagli studenti. In molti casi i materiali sono scaricati dalla Rete e pubblicati sul mio sito per garantirne la fruibilità indipendentemente dal fatto che la pagina originaria rimanga disponibile o meno (il caso tipico sono gli articoli dei quotidiani). In molti casi invece (forse la maggioranza) i materiali sono stati prodotti espressamente per FdA.[6] Il terzo cerchio infine è rappresentato dalla galassia dei contenuti presenti in Rete che vengono raggiunti da link mirati ancorati a pagine specifiche del sito di FdA. Questo cerchio è ancora più fluido del precedente perché, come noto, i materiali pubblicati in internet hanno una loro vita specifica e molto spesso contributi anche ufficiali (per esempio un articolo di rivista pubblicato in pdf) cessano di essere disponibili a distanza di pochi mesi dalla loro pubblicazione oppure sono raggiungibili a un URL diverso. Questa nuvola di riferimenti deve perciò essere continuamente aggiornata e spesso i cambiamenti sono così repentini e imprevedibili da rendere quasi vano questo lavoro.
Il FdA potrebbe essere descritto anche come un albero, dove il nucleo centrale stabile è rappresentato dal tronco e dai rami maggiori, i contenuti residenti sul sito dai rami più sottili e la nuvola di contenuti della Rete dalle foglie e dai fiori. Oppure si potrebbe ricorrere all’immagine della rete stradale di un paese, con l’ossatura principale formata dalle autostrade a indicare il nucleo centrale, il reticolato delle strade statali che sta per i contenuti ospitati direttamente sul sito e la ramificazione delle strade comunali a simboleggiare la infinita ricchezza della Rete. In ogni caso, vorrei che fosse chiara la struttura a più livelli del FdA, che consente di avere insieme stabilità e fluidità.
Sul lato della stabilità, il nucleo centrale del testo pubblicato sul sito è duplicato nel formato cartaceo, ovvero in un manuale vero e proprio, per quanto molto snello nella paginazione (ognuno dei tre volumi è composto di circa 120-130 pagine in formato B5) dal titolo Il Filo di Arianna della filosofia. La scelta di pubblicare un manuale su carta è il risultato di diversi fattori: prima di tutto, si tratta di rassicurare l’apparato della scuola con un oggetto noto e perfettamente inserito nei meccanismi burocratici. Il Filo di Arianna della filosofia infatti, pur essendo pubblicato in print-on-demand (e non essendo quindi disponibile nelle librerie), è registrato presso l’AIE e risulta quindi ufficialmente adottabile. È perciò possibile “riempire la casella” nei consigli di classe di maggio in cui si scelgono i libri per l’anno successivo. Decisivo dal punto di vista normativo è il riferimento alla legge 128/2013, con cui si apriva per la prima volta la possibilità di uscire dal recinto della editoria scolastica tradizionale.[7] In secondo luogo c’è la possibilità di ridurre i costi per i libri di testo[8] rientrando nei limiti previsti senza dover fare equilibrismi morali e burocratici (e in effetti nel 2013 questa fu la ragione fondamentale che portò all’approvazione della mia proposta nei consigli di classe). Infine, pubblicando una versione cartacea si viene incontro agli studenti indicando in modo preciso un perimetro di riferimento per il loro lavoro. Negli anni precedenti alla nascita di FdA infatti avevo provato a realizzare con gli studenti alcuni ipertesti “puri” (ossia dei lavori che esistevano solo in formato elettronico). Si trattava in particolare di un lavoro sulla Firenze rinascimentale costruito in HTML 4.0, che richiese circa due mesi di lavoro continuo da parte di tutta la classe nel laboratorio di informatica. Il risultato finale fu deludente. Emerse dalle prove di verifica che i singoli studenti conoscevano solo il lavoro fatto da loro stessi e avevano una idea molto confusa di tutto il resto. Mi resi conto allora che gli ipertesti didattici sono molto gratificanti per il docente che li progetta conoscendo già il contenuto che deve essere presentato, ma sono un vero rebus per chi li deve studiare senza avere nessuna conoscenza pregressa dell’argomento. Il formato gutemberghiano invece, lineare e unidirezionale (le pagine del libro non a caso sono indicate in modo univoco da una serie numerica), trasforma automaticamente il testo in una sorta di “indice” o di “mappa” che organizza i contenuti sotto forma di narrazione.[9] Dopo questa esperienza (e altre simili, sia pure meno articolate e complesse) mi sono convinto della necessità di mettere a disposizione degli studenti un “canovaccio” stabile, che funga da punto di riferimento per il loro lavoro: un “testo gutemberghiano”, appunto, capace cioè di valorizzare la stabilità dei contenuti e della loro presentazione.
Sull’altro lato, quello della fluidità, si noti che gli studenti, in generale, non sono autorizzati a cercare in modo autonomo contenuti in rete. La ragione di questa limitazione è che nella stragrande maggioranza dei casi tale ricerca viene di fatto demandata agli algoritmi di Google, con risultati a volte comici a volte drammatici.[10] In realtà è preciso compito dell’insegnante far crescere nei ragazzi il senso critico necessario a distinguere tra ciò che è attendibile e adatto al contesto e ciò che non lo è; si potrebbe anzi sostenere che questa primaria funzione di guida critica da parte del docente è esaltata proprio da internet, mentre il manuale su carta rischia di generare l’effetto opposto: “Prof, c’è scritto sul libro!”, dove la parola “libro” tende spesso a essere letta con la maiuscola assumendo contorni tra il magico e il divino. Come ogni docente sa, questo “senso critico” è però un obiettivo da raggiungere con un lungo lavoro, non un dato di partenza su cui contare sin dall’inizio; e poiché il testo del quaderno-dispensa deve essere costruito da subito, la mia scelta operativa è stata quella di limitare[11] il campo d’azione degli studenti a una serie di contenuti validati da me, naturalmente con le dovute e controllate eccezioni.[12]
Il liceo dove insegno, il “Giordano Bruno” di Melzo (Milano), ha tradizionalmente una buona dotazione informatica, senza la quale tutto il progetto sarebbe stato impossibile. La scuola venne cablata nel 2001 e dotata di un primo laboratorio informatico, trasformato qualche anno dopo in un laboratorio misto (informatico-linguistico) piuttosto tradizionale.[13] Nel 2019 è stato inaugurato un secondo laboratorio informatico con 48 macchine distribuite in sei isole con banchi trapezoidali separabili. Tutte le aule sono dotate di computer e lim; con i fondi PON 2020 sono state acquistate delle docucam.[14] Il liceo rientra tra gli istituti raggiunti dalla fibra ottica gestita da Città metropolitana di Milano, che offre in condizioni normali un’ottima stabilità e velocità.[15] Negli ultimi mesi la scuola ha aderito ai PON per la infrastruttura Wi-Fi e per le digital board. Sebbene queste osservazioni sulle infrastrutture siano indispensabili (l’esperienza di questi ultimi due anni ha mostrato al di là di ogni dubbio quanto sia penoso lavorare con strumenti inadatti) le pagine che seguono la lasceranno tra parentesi per concentrarsi solo sulla narrazione dell’esperienza didattica.
Come si svolge concretamente il lavoro didattico con FdA? In realtà la lezione standard è abbastanza tradizionale: l’argomento viene presentato agli studenti usando una classica presentazione o, in mancanza di questa, proiettando direttamente la pagina del FdA relativa ai contenuti in esame. In ogni caso si tratta inizialmente di una lezione frontale. A seconda del setting di classe disponibile concretamente gli studenti seguono strategie differenti: se la lezione è tenuta in aula computer e ciascuno di loro ha una macchina a disposizione, sono invitati a dividere lo schermo in due finestre, una per la pagina del FdA in uso e l’altra per il file Word/LibreOffice del loro quaderno-dispensa. In tempo reale i contenuti vengono trasferiti dal sito alla pagina individuale con un banalissimo copia-e-incolla e i ragazzi cominciano immediatamente la rielaborazione (vedi infra). Se invece la lezione si tiene in classe gli studenti seguono sullo schermo della LIM e prendono appunti o sul device individuale (portatile o tablet; in qualche rarissimo caso qualche studente ha cercato perfino di usare il cellulare) oppure sui loro quaderni rimandando il lavoro di download e di rielaborazione a casa.
In che cosa consiste concretamente il lavoro chiesto ai ragazzi? Anche in questo caso il processo si presenta con una serie di livelli graduali. Il più semplice consiste nella formattazione omogenea dei materiali scaricati dal sito e/o dalla rete: il quaderno-dispensa è in realtà un libro di cui lo studente è co-autore, e deve perciò rispettare le convenzioni editoriali in uso (che devono essere insegnate loro all’inizio del corso).
Gli editor di testo di uso comune (Word e LibreOffice per il mondo Windows, Pages per quello Apple) pur non essendo paragonabili ai programmi di impaginazione professionale sono però più che adeguati per ottenere risultati decorosi (dopo un minimo ciclo di formazione iniziale degli studenti).[16]
Il secondo livello di rielaborazione, che fa entrare gli studenti nel lavoro vero e proprio, consiste nell’aggiungere materiali scelti da loro al testo di partenza. Le informazioni fattuali (per esempio la biografia dei filosofi, volutamente omessa dal manualetto base, oppure i loro ritratti, o l’elenco delle loro opere) rappresentano la forma di integrazione più semplice. Il livello successivo, più complesso, prevede l’aggiunta e per così dire l’assemblaggio sul testo base di testi nuovi (per esempio estratti delle opere dei filosofi oppure della critica): gli studenti sono espressamente invitati a manipolare il testo di partenza (peraltro sempre rinvenibile nella sua forma originale nel manuale cartaceo), aggiungendo contributi provenienti dalle repository del sito oppure dai link certificati che il sito presenta, ma anche togliendo o sintetizzando, se lo ritengono utile. Questo processo è in realtà quasi sempre guidato, nel senso che il docente indica e suggerisce quali testi prendere dalla repository del sito, ma in linea di principio resta sempre vero che gli studenti sono autorizzati a “pascolare” liberamente all’interno del sito.[17] Naturalmente in questa fase di assemblaggio si usano tutti i materiali disponibili: immagini, mappe concettuali, schemi, screenshot catturati da video... Il testo che risulta da questa operazione non è quindi la banale trascrizione di appunti presi a lezione (che sono si presenti, ma solo come approfondimento estemporaneo o commento di passaggi del testo) quanto piuttosto l’assemblaggio, che ciascuno studente produce secondo traiettorie personali e perciò tutte leggermente diverse le une dalle altre, di materiali già validati. Pur correndo il rischio di banalizzare un po’ troppo, la metafora migliore resta forse quella dei mattoncini del lego: ognuno di essi ha una sua autonomia e una sua consistenza e tuttavia vengono usati da studenti diversi per formare, ogni volta, costruzioni diverse. Rientra in questa fase del lavoro, come ho appena detto, anche il recupero degli appunti tradizionali ricavati dalla lezione frontale dell’insegnante. Se i ragazzi hanno seguito tutte le indicazioni che ho descritto prima (e quindi stanno lavorando davanti a uno schermo diviso tra una finestra con il testo di partenza sul sito e una finestra con il word editor su cui stanno costruendo il proprio quaderno-dispensa), sono invitati a inserire direttamente nel proprio testo questi contributi del docente, come una sorta di commento interlinea dei vecchi amanuensi.
A un livello ancora superiore di interazione col testo c’è la costruzione di una sorta di “apparato critico” attraverso l’uso del grassetto per evidenziare le parole chiave[18] e le note a piè di pagina, che spaziano dalla nota biografica alla definizione di un termine dell’italiano d’uso corrente a… tutto ciò di cui lo studente sente la necessità! Una volta scardinata l’idea della “sacralità” del testo manualistico che deve essere ripetuto in modo identico, infatti, tutto è possibile. Questo lavoro può essere fatto in parte in classe, ma in gran parte va svolto a casa perché rappresenta il momento della riflessione personale durante il quale la pura curiosità o la consapevolezza di non conoscere il significato di un termine, il ruolo di un personaggio citato, la posizione di una località dovrebbe spingere lo studente a inserire l’informazione dopo una velocissima ricerca in Rete.[19] I più sofisticati tra gli studenti applicano a questo punto anche i marginalia al testo.
Infine l’ultimo livello è rappresentato dai contenuti personali (osservazioni, riflessioni, critiche) creati dagli studenti stessi. Questo aspetto ovviamente è il più delicato e sono oggettivamente in pochi quelli che riescono a svilupparlo; la mia indicazione è quella di aggiungere questi testi in paragrafi separati caratterizzati da uno sfondo grigio al 5%, in modo da poterli identificare immediatamente al momento del controllo dei quaderni dispensa.
I quaderni-dispensa infatti devono essere consegnati in formato pdf qualche giorno prima delle interrogazioni per il controllo. Io li carico sul mio tablet e poi evidenzio direttamente sul file pdf con il pennino i punti che voglio approfondire direttamente con lo studente. Il lavoro di controllo non è immane come può sembrare perché in realtà si tratta soprattutto di controllare la presenza di blocchi di testo, le sequenze in cui vengono rimontati, la accuratezza con cui sono state inserite le note a piè di pagina, la presenza delle immagini, dei grafici o delle mappe concettuali… la percentuale di testo completamente nuovo che deve essere letto da cima a fondo è di solito modesta.
Stampare o non stampare? Questo dilemma è emerso nel tempo, perché dieci anni fa ero molto deciso nel far stampare su carta (anche solo su fogli formato A4 da raccogliere in un listino[20]) il risultato del lavoro di riorganizzazione, aggregazione, approfondimento svolto dai ragazzi. I costi di questa operazione erano reali, ma comunque inferiori a quelli di un manuale tradizionale. In questo modo si chiudeva il cerchio previsto dal mio impianto teorico: il testo gutemberghiano, una volta smontato e rimontato secondo una sequenza diversa e individuale, veniva riportato alla stabilità e alla permanenza della carta. D’altra parte mi sono accorto che, semplicemente, un numero crescente di studenti non aveva a casa una stampante: non per ragioni economiche, ma solo perché la famiglia preferiva usare quella di ufficio. Parallelamente aumentava il numero dei ragazzi che oltre al portatile poteva usare anche un tablet e dichiarava di preferire studiare direttamente su questo (dopo aver composto il quaderno-dispensa sul portatile). La crisi legata al Covid ha complicato le cose rendendo meno facile l’accesso alle stampanti in ufficio e facendo aumentare le persone che hanno lavorato solo su strumenti elettronici. La situazione su questo punto è fluida e non dispongo di dati sufficienti per dare un giudizio chiaro.
Una caratteristica evidente del lavoro con i quaderni-dispensa è la possibilità di un lavoro collaborativo. In effetti negli anni precedenti alla crisi del Covid è stato possibile, negli anni in cui avevo una classe quinta, realizzare un libro collettivo di filosofia che veniva stampato in print-in-demand e portato all’esame di Stato come documentazione del lavoro svolto. Nel corso dell’anno distribuivo agli studenti la responsabilità di un capitolo (o di una parte di capitolo per gli autori più impegnativi) e nel mese di maggio provvedevo a mettere insieme i contributi e a mandarli alla casa editrice L’edizione che, messa sull’avviso per tempo, riusciva a consegnare le copie in tempo per la prova orale.
La reazione dei ragazzi a questo stile di lavoro non è stata sempre immediatamente positiva. Soprattutto all’inizio di questa esperienza nei primi mesi della classe terza ho incontrato resistenze e perplessità da parte di ragazzi che dichiaravano di impiegare “troppo tempo” per la realizzazione del quaderno e di preferire situazioni più tradizionali (una delle richieste più frequenti era quella di “spiegare sul manuale come gli altri insegnanti”). Tuttavia la ragione principale di questa protesta si basava su un equivoco: i ragazzi non avevano a disposizione un computer a scuola, quindi prendevano appunti a mano e poi si sentivano obbligati a trascriverli integralmente a casa. Con gli anni ho imparato a raffreddare queste polemiche prima di tutto dedicando tutto il tempo necessario a spiegare con cura il senso del FdA e le sue modalità di realizzazione e soprattutto insistendo sul suo aspetto “architettonico”, per così dire, ossia sul fatto che si tratta più di assemblare materiali semi-pronti (testi, grafici, disegni, mappe, immagini, mappe concettuali…) che non di digitare per ore e ore trascrivendo gli appunti.[21]
Riferimenti esterni
Alcuni esempi di quaderni-dispensa di filosofia sono raggiungibili a questo indirizzo: http://www.ariannascuola.eu/blog/2022/01/13/quaderni-dispensa/
Martino Sacchi è laureato in filosofia teoretica presso l’Università Cattolica di Milano nel 1984. Nel 2009 si diploma come Esperto di didattica assistite dalle Nuove Tecnologie presso il Politecnico di Milano. Lo stesso anno apre “Il filo di Arianna, Rivista on line per la didattica nelle scuole superiori”. Dal 2010 è webmaster per il sito del liceo Giordano Bruno di Melzo. Da 2012 al 2016 è cultore di materia presso la facoltà di Sociologia all’Università Cattolica di Milano. Nel 2015 prende il diploma CLIL presso l’Università Cattolica di Milano. Nel 2013 è tutor per il progetto Bicocca Distretto Digitale (corso di formazione per docenti scuola primaria su MOODLE e presso l’Istituto Villoresi di Monza). Nel 2016-2017 tiene cicli di incontri seminariali su Uso di Moodle e delle ICT per la didattica nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di 1° grado (Università Bicocca). Dal 2019 è membro del Direttivo della Società filosofica Italiana – Sezione Lombarda. Pubblica i risultati delle attività di sperimentazione con MOODLE e in generale le ICTs su “Bricks” e “Media Education”.
Note
[1] Per essere precisi i siti da me creati e gestiti sono in realtà due: uno (www.ariannascuola.eu) realizzato con Joomla 2.4 e totalmente aperto, il secondo (www.ariannascuola.org) realizzato con Moodle 3.3 e fruibile solo dopo la registrazione (gratuita) sulla piattaforma. Negli ultimi due anni mi sono concentrato sullo sviluppo di questo secondo sito per le enormi potenzialità offerte da Moodle sul piano didattico, ma nelle pagine che seguono tralascerò volutamente di discutere le funzionalità di questo straordinario CMS. In ogni caso, il progetto FdA è nato sin dall’inizio come qualcosa di aperto a tutti (i contenuti originali del sito sono pubblicati con licenza Creative Commons BY-NC-SA): gli insegnanti non solo possono accedere liberamente alle risorse presenti ma soprattutto sono invitati collaborare con la pubblicazione di propri contenuti (oppure iscrivendo le proprie classi, indipendentemente dalla scuola di appartenenza, nella versione realizzata con Moodle). Devo ammettere apertamente che questo aspetto del progetto è parzialmente fallimentare: se dal punto di vista della pura comunicazione tra il 1° gennaio 2012 e l’8 gennaio 2022 Google Analytics accredita il sito ariannascuola.eu (quello aperto a tutti senza registrazione) di 746.988 pagine viste da 281.141 visitatori unici (con una prevedibile punta di 7.439 sessioni nel maggio del 2020) dal punto di vista di vista del coinvolgimenti dei altri docenti i risultati sono sconfortanti (in dieci anni solo una decina circa di colleghi ha scelto di usare FdA, sia iscrivendo le loro classi sia condividendo i loro contenuti.
[2] L’espressione è infelice, me ne rendo conto. Venne scelta all’inizio in un modo frettoloso che doveva essere provvisorio ma che poi, come spesso accade, si è cristallizzato diventando qualcosa di cui non sono più riuscito a liberarmi. Considero il fatto di non essere stato capace questi anni a trovare un nome migliore una spia d’allarme che segnala una spiacevole mancanza di chiarezza concettuale. Colgo l’occasione di questo articolo per lanciare una richiesta di aiuto a tutti i lettori per individuare una formula migliore.
[3] La casa editrice provvede anche al numero ISBN e alla registrazione AIE. Per storia invece il nucleo centrale è rappresentato dal manuale tradizionale in adozione.
[4] Bolter J., Grusin R., remediation, Guerini Studio, Milano 2002.
[5] Spiegherò subito sotto le ragioni di tale reduplicazione.
[6] Questo apre lo spazio per una discussione (che non intendo affrontare qui) su cosa voglia dire essere “autore” al tempo della Rete. Senza nessuna pretesa di essere esaustivo, quello che intendo dire è che per pubblicare contenuti di livello tecnico accettabile sulla Rete oggi è necessario un livello di competenza tecnica molto più alto e più ampio che nel passato gutemberghiano: per esempio è necessario non solo saper fare fotografie ma anche elaborarle in postproduzione con un software adeguato e lo stesso vale per i video, gli audio e le animazioni. In generale, le funzioni che in epoca gutemberghiana erano distribuite tra un numero elevato di specialisti (con il conseguente incremento dei costi) adesso possono (e quindi tendenzialmente “devono”) essere svolte da una persona sola. Da questo punto di vista l’evoluzione della figura professionale del giornalista e in particolare del giornalista televisivo è illuminante.
[7] Vi si legge tra l’altro, all’art. 6, c. 1: “Gli istituti scolastici possono elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento; l’elaborazione di ogni prodotto è affidata ad un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell’opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare nel corso dell’anno scolastico”.
[8] Le copie cartacee de Il filo di Arianna della filosofia sono ufficialmente in vendita a 9,90 euro contro i 30-40 euro di un libro di filosofia tradizionale.
[9] Non a caso si chiede al compagno di studi: «Dove sei arrivato?», come se l’apprendimento fosse un viaggio nello spazio.
[10] Ogni anno per esempio c’è qualche studente che volendo inserire nella pagina di storia dedicata alla battaglia navale di Lepanto del 1571 l’immagine di una galea sceglie ingenuamente la proposta di Google di una galea greca del IV secolo a.C.
[11] Per modo di dire, si intende: il sito di FdA raccoglie decine di anni di lavoro, contiene centinaia di pagine scritte da me e molte centinaia di contributi scaricati dalla Rete e validati oppure link a pagine web controllate e validate. Se qualche improvvido studente pensasse di far colpo sul docente scaricando tutto scoprirebbe probabilmente di avere tra le mani l’equivalente (come numero di pagine) di diversi manuali tradizionali.
[12] Per esempio all’inizio della classe terza in filosofia chiedo ai ragazzi di individuare testi di canzoni che affrontino il problema del senso dell’esistenza, e in questo caso ciascuno è libero di inserire nel proprio quaderno-dipensa ciò che preferisce.
[13] Trenta postazioni separate da divisori e dotate di cuffia per l’ascolto.
[14] Ossia delle webcam orientabili anche verso il basso, in modo da poter catturare quanto disposto sulla cattedra (libro, foglio di carta, piccoli oggetti) e mandarne l’immagine sullo schermo di classe attraverso il proiettore.
[15] In ogni caso non si pensi che siano tutte rose e fiori. Capita con una certa frequenza che la linea abbia qualche problema tecnico, oppure che vengano modificati i parametri di sicurezza del firewall, o qualche altro fatto di natura meramente tecnica che blocchi la possibilità di lavorare con la Rete.
[16] Personalmente inizio l’anno di terza con un paio di lezioni in cui allineo le competenze della classe su una serie di azioni base: impostare font e dimensioni, rimuovere la formattazione originale (in particolare quella HTML), applicare una formattazione giustificata e la sillabazione, modificare l’indentazione di un paragrafo, aggiungere grassetto e corsivo, inserire e gestire le immagini, creare didascalie in modo da poterle indicizzare automaticamente, applicare gli stili ai titoli in modo da poter creare indici automatici, creare marginalia usando le caselle di testo.
[17] Inutile farsi illusioni: la stragrande maggioranza degli studenti, oserei dire la quasi totalità, si limita ad aprire solo i file che vengono espressamente indicati dall’insegnante (lo provano i log di Moodle). Paradossalmente, è più facile che i più intraprendenti si affidino direttamente alla Rete per trovare i loro materiali aggiuntivi (questo è vero soprattutto per le immagini) e in questo caso i risultati rischiano di essere non all’altezza delle aspettative.
[18] O al limite del corsivo: la sottolineatura è tassativamente vietata.
[19] A questo livello del lavoro non ho alcuna remora a suggerire l’uso sistematico di Wikipedia. Quando si tratta di controllare la data di nascita di un personaggio, il titolo di un libro, la data di una battaglia Wikipedia è perfetta. Quello che è importante è insegnare subito ai ragazzi a indicare la fonte dalla quale hanno tratto le loro informazioni, cominciando a far comprendere loro l’esistenza di livelli diversi di attendibilità.
[20] In una versione più sofisticata si procedeva alla stampa di tutto il quaderno solo a fine anno in formato B5 utilizzando le apposite funzioni di impaginazione fronte retro di Adobe e poi la si faceva fascicolare in copisteria in modo da ottenere un vero e proprio libretto.
[21] Per esempio un sondaggio anonimo svolto nel 2017 in una terza scopri che alla data del 22 novembre, ossia dopo circa due mesi, gli studenti avevano dedicato circa 25 ore alla realizzazione del quaderno-dispensa: circa tre ore a settimana. Il dato era stato ricavato dalla finestra di dialogo “Proprietà” dei file dei ragazzi.
Martino Sacchi è laureato in filosofia teoretica presso l’Università Cattolica di Milano nel 1984. Nel 2009 si diploma come Esperto di didattica assistite dalle Nuove Tecnologie presso il Politecnico di Milano. Lo stesso anno apre “Il filo di Arianna, Rivista on line per la didattica nelle scuole superiori”. Dal 2010 è webmaster per il sito del liceo Giordano Bruno di Melzo. Da 2012 al 2016 è cultore di materia presso la facoltà di Sociologia all’Università Cattolica di Milano. Nel 2015 prende il diploma CLIL presso l’Università Cattolica di Milano. Nel 2013 è tutor per il progetto Bicocca Distretto Digitale (corso di formazione per docenti scuola primaria su MOODLE e presso l’Istituto Villoresi di Monza). Nel 2016-2017 tiene cicli di incontri seminariali su Uso di Moodle e delle ICT per la didattica nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di 1° grado (Università Bicocca). Dal 2019 è membro del Direttivo della Società filosofica Italiana – Sezione Lombarda. Pubblica i risultati delle attività di sperimentazione con MOODLE e in generale le ICTs su “Bricks” e “Media Education”.