Educazione e carcere. Una proposta dal Brasile | Education and prison. A proposal from Brazil

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Abstract

The debate on education in prison in Brazil is widening, as a process of mass imprisonment is ongoing, affecting, in particular, young Afro-descendants historically excluded. Conservative policies that want to turn the prison into a merely punitive tool are challenged by others that want to make it an educational experience.

In this article, we will analyze the educational proposal, aimed at social reintegration, of the Associations of Protection and Assistance to the Condemned, which manage “prisons without armed police” accepting people accused of even the most violent crimes, and declare a reduction in recidivism and a lower social and economic cost. The analysis results will be presented here through critical reading, mainly of the founder’s dissemination book.

The research out that prison must be considered an educational community. Therefore, besides school education, additional training is needed for all officials, prisoners, and volunteers. The informal educational processes in the relationships among inmates and the outside world must also be considered when planning education for convicted persons, stimulating the meeting opportunities. At the same time, education aims for society’s institutions to be educated in concomitance with the inmates.

Riassunto

Cresce l’interesse e il dibattito sull’educazione in carcere in Brasile, essendo in corso un processo di incarceramento di massa che affligge in particolar modo giovani afro-discendenti storicamente esclusi. Alle politiche conservatrici che vogliono trasformare il carcere in uno strumento puramente punitivo se ne contrappongono altre che vogliono farne un’esperienza educativa.

Andremo, nel presente articolo, ad analizzare la proposta educativa, volta alla reintegrazione sociale, delle Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati, che gestiscono “prigioni senza polizia armata” accogliendo persone accusate anche dei crimini più violenti, e dichiarano una riduzione della recidiva e un minor costo sociale ed economico. Saranno qui esposti i risultati dell’analisi del modello attraverso la lettura critica, principalmente, del libro di diffusione scritto dal loro fondatore.

Concludiamo che la prigione deve essere pensata come una comunità educativa e che quindi, oltre all’educazione scolastica, è necessaria una formazione aggiuntiva per tutti i funzionari, le persone detenute e i volontari. Devono essere considerati anche i processi educativi informali che avvengono nelle relazioni tra le persone recluse e tra loro e il mondo esterno, favorendo il più possibile momenti di incontro. Allo stesso tempo, l’educazione deve essere rivolta – attraverso l’esempio – anche alle istituzioni della società, che si devono educare in concomitanza alle persone recluse.

Introduzione

Il Brasile, paese caratterizzato da una forte diseguaglianza che colpisce in particolar modo gli afro-discendenti, si caratterizza anche come laboratorio di politiche sociali e educative per contrastare le disuguaglianze in riferimento all’accesso all’educazione da parte di gruppi sociali storicamente esclusi. Si assiste, in particolare, a un dibattito riguardante il carcere, che è la pena principale riservata a questi gruppi.

Siamo di fronte a una sfida sociale: vediamo infatti che, con un aumento del 707% dagli anni ‘90 al 2016, la popolazione carceraria brasiliana è oggi inferiore solo a quella degli Stati Uniti e della Cina, contando più di 750.000 persone. La sfida è anche educativa visto che la popolazione detenuta è principalmente giovane, afro-discendente, ampiamente non scolarizzata[1] e in rapido aumento.

Nonostante esistessero diverse esperienze statali di educazione in carcere già anteriormente – espone Elionaldo[2] – solo nel 2005, durante il I governo Lula, per rispondere a questa condizione viene articolato un Piano Nazionale di Educazione Penitenziaria. Tuttavia, ancora oggi vediamo che solo il 12% della popolazione carceraria brasiliana è coinvolta in qualche tipo di attività educativa, il 10% è impegnato in attività scolastiche (alfabetizzazione, istruzione dalla scuola elementare alla scuola superiore, corsi tecnici, formazione professionale) e il restante 2% è coinvolto in attività complementari, come la remissione della pena attraverso la lettura[3], un qualche tipo di sport, attività culturali e di videoteca[4].

Oltre alle carenze evidenti nell’educazione formale, diverse analisi classiche sulla prigione già denunciavano l’effetto “educativo” criminogeno del contesto sui soggetti incarcerati, che vengono in diversi casi avviati verso carriere delittuose[5] e spinti a integrarsi in organizzazioni criminali[6].  Questa tendenza si riscontra anche nel Brasile contemporaneo studiando, per esempio, dove e in che modo nascono le due organizzazioni criminali più grandi del Paese: il Comando Vermelho (CV), nato nel 1979 nel carcere di Ilha Grande (RJ), e il Primeiro Comando da Capital (PCC), nato nel 1993 nella Casa de Custódia de Taubaté (SP)[7]. Ancora oggi, la prigione è il centro della riproduzione delle organizzazioni criminali, che aumentano il numero di reclute e la loro influenza[8], configurandosi come una delle cause principali dei 553.000 omicidi avvenuti nel Paese tra il 2006 e il 2016[9].

Anche altre ricerche in ambito educativo che si propongono di ripensare l’educazione in spazi di privazione e restrizione della libertà ci segnalano che questa si dà in forma preponderante in altri spazi, come le celle e le relazioni tra gli stessi detenuti e gli agenti, e non solo interni alla scuola in carcere[10]. Con l’idea di ripensare il contesto carcerario perché smetta di generare dinamiche criminogene, emerge l’esperienza di 48 anni di gestione e convivenza con oltre 50.000 persone detenute da parte delle Associazioni di Protezione e Assistenza ai Condannati (APACs). Dichiarando tassi di recidiva inferiori al sistema tradizionale – dall’8% al 15% rispetto al 70% diffuso[11] a livello nazionale[12] – oltre a un costo ridotto per il bilancio dello Stato e rarissimi episodi di fuga, indisciplina, ribellione e violenza, contrariamente a quanto evidenziato all’interno del sistema carcerario brasiliano[13], l’interesse per questo modello di privazione della libertà è in continuo aumento. È oggi studiato e candidato come alternativa ufficiale alla prigione nel contesto brasiliano. Le APACs dichiarano di pensare l’educazione per l’inclusione sociale dei carcerati a partire dalla loro pratica di condivisione del quotidiano con le persone detenute[14] e sarà qui analizzata la loro proposta educativa.

Metodologia

La proposta educativa delle APACs è analizzata in questo articolo principalmente attraverso la descrizione di Mario Ottoboni[15], fondatore della prima APAC, nel suo libro Vamos matar o criminoso?, che viene usato correntemente per diffondere il modello. Questo articolo è frutto di una parte di una ricerca più estesa che ha analizzato anche le pratiche in due unità modello per comprendere le differenze e le continuità con gli ambienti carcerari[16].

La proposta educativa delle APACs

Il modello APAC propone dodici elementi fondamentali atti alla reintegrazione sociale che devono essere necessariamente applicati in modo armonico[17]. L’applicazione isolata di uno o più elementi può infatti portare al fallimento del metodo, così come si è già verificato in differenti occasioni. “L’amore incondizionato e la fiducia”[18] sono aspetti che coronano la prassi metodologica e sono veicolati dall’azione dei volontari[19], che devono accogliere i recuperandos, nome attribuito alle persone private delle libertà nelle APACs, e dialogare con essi senza fare distinzioni. Siamo quindi lontani dalla visione principalmente impostata sulla sicurezza e la pericolosità che caratterizza l’ambiente carcerario, dove la maggior parte degli investimenti sono impiegati per evitare fughe e possibili attacchi da parte dei detenuti. La cura degli spazi interni – come possiamo vedere nella figura 1 – ci è sembrata un’espressione interessante di attenzione per le persone che li abitano.

Figura 1 - Cortile APAC di São João del-Rei. Fonte: archivio della ricerca.

I dodici elementi che compongono il modello APAC sono: (1) la partecipazione della comunità; (2) l’aiuto reciproco tra i recuperandos; (3) il lavoro; (4) la spiritualità; (5) l’assistenza giuridica; (6) l’assistenza sanitaria; (7) la valorizzazione umana attraverso l’educazione, la professionalizzazione e la terapia della realtà; (8) la famiglia; (9) i volontari; (10) il Centro di Reintegrazione Sociale (CRS); (11) il merito e (12) le Giornate di Liberazione con Cristo, un ritiro spirituale organizzato nelle APACs. Andiamo ad analizzare quei principi che riteniamo più interessanti per ripensare il rapporto tra l’educazione e l’ambiente carcerario.

 

Figura 1 - Cortile APAC di São João del-Rei. Fonte: archivio della ricerca.

La partecipazione della comunità è ritenuta essenziale. La costruzione di una APAC comincia dall’organizzazione delle persone disponibili nella società ed è perciò fondamentale la compartecipazione dei suoi membri, in particolare perché – secondo Ottoboni – “non ci sono dubbi che lo Stato si sia rivelato incapace di adempiere alla funzione essenziale della pena, che è proprio quella di preparare il condannato al ritorno alla vita in società”[21].

Vediamo quindi che, fin dall’inizio, l’intervento educativo non è diretto solo alle persone condannate: per Ottoboni, bisogna sfruttare ogni opportunità per affrontare il tema dei gravi problemi delle carceri e per parlare dell’importanza del coinvolgimento della comunità nell’esecuzione penale. Ottoboni sottolinea l’importanza di frequentare le chiese, i media e gli incontri spirituali, oltre a promuovere seminari e conferenze: “la società deve sapere che l’aumento della violenza e della criminalità è legato anche all’abbandono dei condannati dietro le sbarre, che porta a sua volta a un aumento del tasso di recidiva”[22].

È necessario un accompagnamento multidisciplinare per la costruzione di un progetto educativo che punti a sviluppare un nuovo progetto di vita: in assenza di assistenza educativa, psicologica, sociale, giuridica e medica – spiega Ottoboni – gli ex-detenuti sono spesso portati a unirsi al crimine organizzato; ciò accade perché, nel contesto del carcere, essi maturano odio, senso di ingiustizia, voglia di vendetta e sfiducia in sé stessi e non sono in grado di sviluppare alcun progetto di vita per il futuro.

La fiducia è un presupposto essenziale per lo sviluppo di un progetto educativo: Ottoboni[23] spiega che, all’interno delle APACs, si instaurano legami affettivi di perdono, gratitudine e rispetto umano. È per questo che non si verificano rivolte, atti di anticonformismo, violenze e fughe in massa. Ciò avviene – nelle parole del fondatore – anche grazie ai volontari che sono, agli occhi dei detenuti, delle persone che aiutano gratuitamente. In questo modo, il “controllo sociale” passa attraverso le relazioni di fiducia e rispetto che si instaurano all’interno delle unità, senza che sia più necessario l’uso della violenza fisica, della paura e della minaccia.

Il secondo principio dichiara che i recuperandos aiutano gli altri recuperandos. È incentivata infatti una educazione tra pari tra le persone che si trovano in una fase più avanzata del percorso educativo e quelle che sono entrate da poco nelle unità. A tal fine, i recuperandos svolgono anche la cosiddetta “rappresentanza di cella”, responsabilizzandosi per preservare l’armonia e la disciplina all’interno delle celle, occupandosi anche della loro pulizia e dell’igiene, e aiutando a elaborare una leadership in contrasto con il “codice d’onore” carcerario, secondo il quale sono i più forti a comandare, sottomettendo i più deboli: “quando la cella è a posto, l’intero carcere è a posto”, spiega Ottoboni[24].

In questo senso, vediamo che a oggi la solidarietà che si può incontrare nelle carceri col fine di sovvertire le regole non viene incentivata; il Consiglio di Sincerità e Solidarietà (CSS) delle APACs, composto dagli stessi recuperandos, sebbene non abbia poteri decisionali, collabora invece nelle attività e si esprime su questioni come, ad esempio, la disciplina, la sicurezza, la distribuzione dei compiti, la promozione di feste e celebrazioni e la supervisione del lavoro ai fini del calcolo della riduzione della pena[25]. Questo strumento coadiuva l’amministrazione delle APACs contestualmente alla formazione delle persone che vi lavorano. Il presidente, il cui mandato è a tempo indeterminato, viene scelto dalla direzione della APAC stessa; gli altri membri del Consiglio sono scelti dal presidente, con il consenso della popolazione carceraria. Settimanalmente, il Consiglio si riunisce con tutti i recuperandos – senza la partecipazione dei funzionari e dei volontari – al fine di discutere eventuali problematiche e proporre soluzioni alla direzione atte a migliorare l’ambiente della APAC.

Il terzo principio del metodo è il lavoro: sebbene debba far parte della proposta di reintegrazione – allerta Ottoboni – non deve costituire però l’elemento fondamentale del programma. L’alto tasso di recidiva presente nel mondo si registra anche nei luoghi in cui si mette in atto un ritorno al lavoro, dimostrando che il ricorso esclusivo a questa politica è fallimentare. È, per questo modello, necessario mettere il lavoro al servizio dell’educazione per la reintegrazione sociale, piuttosto che sottomettere il progetto educativo alla mera inserzione lavorativa.

Figura 3 - Prodotti artigianali realizzati nella APAC di Itaúna. Fonte: archivio della ricerca.

Vediamo infatti che, nel regime chiuso, il lavoro viene utilizzato per stimolare i recuperandos a lavorare sui propri valori, migliorare la loro autostima e l’immagine di sé stessi, valorizzarsi e riflettere sulla possibilità di cominciare una nuova vita felice[26].  Queste sono le funzioni che le APACs attribuiscono alle attività di artigianato – dette “terapia del lavoro”, laborterapia – svolte all’interno del regime chiuso. Bisogna, peraltro, considerare anche l’aspetto legato alla commercializzazione dei prodotti e alla necessità di disporre di spazi e strumenti adatti a svolgere attività di tappezzeria, pittura di quadri a olio e di piastrelle, graffiti, attività con la ceramica, confezione di reti, tovaglie, tende, lavori in legno e argilla.

Deve essere evitato il lavoro “massificante, standardizzato, industrializzato, in questa fase di espiazione della pena […]”[27]. Lavori di questo genere sono riservati al regime semiaperto, nel quale – secondo il modello APAC – i valori dei detenuti sono stati recuperati e questi hanno acquistato una buona autostima e la consapevolezza dei propri ruoli all’interno della società.

Nel regime semiaperto, il recuperando sviluppa una professione specifica, se non ne ha già una. La Legge di Esecuzione Penale (LEP) brasiliana permette in questa fase le uscite rivolte allo studio e le APACs hanno il compito di aiutare i recuperandos a trovare dei corsi professionalizzanti e le opportunità per qualificarsi presso strutture della città, come, ad esempio, calzolai, panetterie, sartorie e officine meccaniche[28]. Avendo a disposizione lo spazio necessario, le APACs potranno organizzare i propri laboratori e i recuperandos potranno lavorare nel settore amministrativo interno, “dovendo percepire, quando possibile, un compenso a titolo di rimborso per le spese più urgenti”[29].

Figura 4 - Laboratorio nel regime semiaperto. Fonte: archivio della ricerca.

Il lavoro in regime aperto, dove le persone escono per lavorare e rientrano per dormire nelle unità, deve concentrarsi su una professione definita, compatibile con l’offerta disponibile e con la specializzazione del recuperando, che deve aver dimostrato merito e piene capacità di tornare alla convivenza sociale. Prima di riconoscere tale beneficio ai recuperandos, il metodo APAC prevede una preparazione rigorosa[30], indispensabile per non deludere le famiglie che accolgono al ritorno i recuperandos e proteggere la società dal rischio della commissione di nuovi crimini.

Secondo Ottoboni, il detenuto indossa una maschera di difesa, ma in realtà soffre, si sente un mostro più che un essere umano.  È per questo motivo che le APACs si concentrano sulla “valorizzazione umana”, che consiste nel riformulare le immagini comunicate dai recuperandos attraverso la comprensione e l’interesse per loro storie di vita, l’utilizzo dei loro nomi propri, le visite delle famiglie e gli incontri volti a soddisfare alcune necessità umane, focalizzandosi anche sull’educazione e la scuola.

I volontari, pertanto, vengono preparati per lavorare su queste “maschere”, cercando di aiutare il recuperando a liberarsi dalle dipendenze e dalle menzogne, e a concepirsi come “figlio di Dio, come un individuo che può essere felice, che non è peggiore degli altri, in alcun modo”[31]. Nel progetto di valorizzazione umana è inclusa la scuola, la professionalizzazione e la cosiddetta “terapia della realtà”, che si costituisce principalmente attraverso quella che è definita come “pedagogia della presenza”[32], termine mutuato dal pedagogista brasiliano Carlos Costas[33], specializzato nella “socio-educazione” degli adolescenti privati della libertà.

Il metodo APAC considera indispensabile anche il lavoro svolto con le famiglie, ritenendo che queste costituiscano uno dei principali elementi utili a influenzare la decisione di commettere o meno reati e che quindi possano anche motivare i recuperandos all’impegnarsi nelle attività proposte per il ritorno alla società. A questo proposito, il metodo reputa “necessario, dunque, trasformare anche l’ambiente dal quale il recuperando proviene”[34]. Vediamo però che come ambiente di intervento si considera principalmente quello familiare, e non è posta la stessa enfasi sull’ambiente sociale (presenza di organizzazioni criminali) e sull’ambiente economico (forti disuguaglianze sociali) che sono però considerati rilevanti nel spingere e mantenere nella criminalità le persone.

I volontari e le famiglie sono lo strumento chiave per costruire legami d’affetto che si traducano nella sicurezza dell’unità, basata per l’appunto su relazioni di tipo personale. In questo senso, il controllo poggia più sulla convinzione che sulla repressione. Per rafforzare le relazioni affettive, infatti, vengono permesse visite intime da parte dei familiari che, tra l’altro, migliorano la situazione all’interno del carcere abbassando i livelli di conflitto.

Figura 5 - Stanza delle visite intime nella APAC di Itaúna. Fonte: raccolta della ricerca.

Le visite intime sono usate anche come strumento di controllo e di scambio. È obbligatorio per le coppie che lo richiedono prendere parte a corsi e formazioni, permettendo in questo modo di includere nel progetto educativo anche i familiari che non si trovano in stato di detenzione. Anche i familiari delle vittime ricevono pertanto assistenza da parte delle APACs attraverso un gruppo specifico di volontari. Si vuole qui inoltre incentivare la ricostruzione dei legami tra vittime e infrattori nell’ottica della giustizia riparativa[35], contribuendo a educare la società attraverso le vittime.

Le APACs sono basate sulla gratuità dell’assistenza al prossimo e sul lavoro dei volontari, che si formano e apprendono il funzionamento del modello aiutando nelle unità. Nella proposta di Ottoboni, nelle APACs la remunerazione spetta solamente al settore amministrativo. I volontari possono essere portieri, psicologi, assistenti sociali, medici, catechisti, professori (d’arte, di alfabetizzazione, d’infermeria, di musica), predicatori, avvocati, dentisti, preti, la cui remunerazione svilirebbe la forza della partecipazione comunitaria[36].  Dal libro di Ottoboni emerge che la remunerazione fa subentrare un interesse materiale, che può portare al fallimento della APAC incentivando la corruzione. I volontari, al contrario, combattono per la sopravvivenza delle APACs, cercando di superare le difficoltà, anche quelle economiche. In base al modello proposto, i recuperandos solidarizzano con i volontari ma, nel caso questi ultimi venissero remunerati, anche in minima parte, ne prenderebbero le distanze pregiudicando la buona riuscita del programma di reintegrazione.

È necessario che tutta la società venga motivata e chiamata a collaborare al progetto attraverso campagne di raccolta fondi destinati a pagare le spese dei recuperandos e della APAC, in modo tale da non dipendere economicamente da un unico organo finanziatore ed essere, di conseguenza, un progetto più durevole. Vediamo qui una forte sfiducia nei confronti della professionalizzazione e della remunerazione anche dei funzionari. Il rischio è quello di fornire un servizio che dipenda dalla presenza non sempre garantita di volontari disponibili[37].

Il Centro di Reintegrazione Sociale (CRS), una “prigione senza polizia” sotto il controllo diretto delle APACs, è parte fondamentale della metodologia, essendo gli spazi detentivi spesso inadeguati allo svolgimento delle attività educative. In questi spazi non è consentito l’ingresso di armi e gli agenti disarmati sono chiamati educatori sociali e devono essere selezionati tra le persone che credono nella possibilità di ingresso nella società delle persone condannate e formarsi sul funzionamento del modello. Vediamo inoltre che il regime semiaperto è previsto per legge; tuttavia, viene usato poco nella pratica a causa della mancanza di colonie penitenziarie, comportando – secondo Ottoboni[38] – la perdita del diritto a un regime di detenzione meno rigoroso per i condannati.

I Centri di Reintegrazione Sociale (CRS) prevedono, oltre al regime chiuso, due aree destinate al regime semiaperto e a quello aperto, rispettando in questo modo la progressività dell’esecuzione penale e del percorso educativo. Grazie ai programmi educativi messi in atto e al sistema di controllo esercitato nell’ambito del regime aperto, l’APAC non è oggetto di critiche e diffidenza – secondo Ottoboni – come invece sono le altre strutture; queste, infatti, non disponendo di un progetto educativo né di un sistema di vigilanza effettivi, finiscono per essere utilizzate come deposito di merce rubata, costituendo un esempio negativo di reintegrazione sociale. 

Il CRS garantisce inoltre che la pena venga scontata anche in regime aperto e semiaperto, vicino al nucleo familiare e ad amici e parenti, favorendo così il processo di reintegrazione in società. I CRS, infatti, sono unità ristrette e territorialmente più diffuse, che non possono accogliere più di duecento recuperandos, al fine di evitare un’assistenza di tipo massificato, che svilirebbe il modello e renderebbe impossibile la costruzione di relazioni tra recuperandos, funzionari e volontari, fondamentali per il progetto educativo, e allo stesso tempo incentiverebbe la nascita di rivolte e la costituzione e il potenziamento di gruppi criminali.

Nella proposta delle APACs, la progressione di regime avviene sulla base di una valutazione del merito che non è legata alla mera obbedienza, ma allo svolgimento delle diverse attività nelle unità. Secondo Ottoboni, infatti, l’obbedienza è un’imposizione coercitiva propria del sistema carcerario comune, non adatta a giudicare il merito. Il metodo APAC prevede che vengano valutati la qualità dei servizi e delle proposte di socializzazione, il lavoro come membro del CSS o rappresentante di cella, l’impegno nelle attività di pulizia o di segreteria e anche le relazioni con gli altri recuperandos, visitatori e volontari. I richiami, gli elogi, le uscite e i compiti espletati sono alcuni degli elementi di cui si tiene conto nella valutazione, che non poggia quindi sulla mera condotta. Un’ulteriore questione oggetto di analisi attiene ai rapporti tra recuperandos e tra questi ultimi e i volontari o i visitatori.

Nelle APACs, la partecipazione alle attività educative è obbligatoria e gli sforzi in tal senso sono considerati un merito, in quanto utili a migliorare il regime. Il risarcimento della vittima, il desiderio di riparare ai danni causati, di chiedere perdono e di pentirsi sono considerati dei segnali di un buon recupero.

Vediamo infine che è proposta una scala graduale di recupero basata sul merito. Stando a quanto argomentato da Ottoboni nella sua opera “Vamos matar o criminoso”, le APACs considerano l’esecuzione penale un fenomeno graduale nel quale vengono concessi dei “benefici” ai recuperandos sulla base di quello che viene definito merito. Vediamo, sinteticamente, le diverse fasi del percorso[39]:

  1. Regime chiuso – stadio iniziale: il recuperando è chiuso in cella;
  2. Regime chiuso – primo stadio: il recuperando, qualora possibile, viene trasferito in una sezione o in una cella, separato dalle persone che si trovano allo stadio iniziale;
  3. Regime semiaperto: il recuperando viene trasferito in un CRS non sorvegliato dalle forze dell’ordine[40]. Può ottenere delle borse di studio per prepararsi professionalmente;
  4. Regime aperto: il recuperando ritorna nelle unità solo per dormire e nei giorni festivi e, se autorizzato, può lavorare durante il giorno. Il CRS deve disporre di uno spazio dedicato a questo regime.

Ci sembra importante presentare brevemente, ma in modo più dettagliato, le fasi del percorso. Durante lo stadio iniziale del regime chiuso, la partecipazione alle attività viene definita spontanea. Tuttavia, il recuperando che richiede assistenza presso le APACs deve partecipare alle attività proposte: messa o culto evangelico[41], scambio di corrispondenza con i volontari, lettura in biblioteca, lezioni e conferenze sulla religione, valorizzazione umana e meditazione, studio della Bibbia o preghiere in cella. Tutto il lavoro viene coordinato dalla direzione amministrativa delle APACs.

Nel primo stadio del regime chiuso, vengono approfondite le attività svolte nello stadio iniziale e se ne aggiungono di nuove. In questa fase, “la partecipazione alle attività di stampo religioso sarà spontanea, ma obbligatoria[42] in caso di attività di socializzazione”[43]. In questo stadio, il modello offre delle attività educative rivolte a migliorare la scolarizzazione e le conoscenze dei recuperandos, “tenuto conto del grande valore sociale che ciò rappresenta”[44]. Ciò viene fatto per mezzo di corsi di alfabetizzazione e scolarizzazione media e superiore[45].

Nel regime semiaperto, l’ingresso del recuperando viene celebrato con un evento solenne, al quale partecipano volontari, padrini e familiari. Il metodo crede nel recupero di qualsiasi persona, anche di chi si comporta in modo indisciplinato in carcere, e attribuisce alle stesse carceri la corresponsabilità per le violenze che si verificano[46].

Nel regime aperto, vengono ospitati i recuperandos che si sono comportati in modo esemplare durante l’esecuzione degli obblighi previsti nei regimi più restrittivi. Questo perché, se qualcuno venisse inserito direttamente in questa fase, difficilmente rispetterebbe le regole “senza prima conoscere le avversità del carcere”[47]. In sostanza, il metodo è dipendente dall’esistenza del carcere comune perché i detenuti rispettino le regole e sia mantenuta la disciplina interna anche senza l’ausilio di polizia penitenziaria armata.

Conclusioni

Nel dibattito sempre più urgente che riguarda l’educazione e il carcere, l’esperienza delle APACs in Brasile ci offre una valida e concreta trasformazione dei sistemi e delle pratiche educative – seppur con alcune criticità, qui evidenziate – per affrontare l’educazione di persone condannate attraverso un ripensamento dell’ambiente di privazione della libertà, in modo da renderlo più adeguato all’individualizzazione del percorso educativo volto al ritorno alla società.

Oltre all’educazione formale – che dovrebbe essere garantita e lo è solo a una parte minima della popolazione detenuta – le APACs vogliono ripensare il carcere come a una “comunità educativa”[48], intendendo tutte le persone che vi partecipano come soggetti dell’educazione attuata all’interno del carcere.

Vediamo che le unità di privazione della libertà per esercitare una funzione educativa, secondo le APACs, devono almeno essere più ridotte e più radicate nel territorio in modo da poter consentire un intervento educativo individualizzato che valorizzi ogni persona. È necessario inoltre garantire un ambiente di fiducia attraverso la compartecipazione alle attività degli istituti anche delle stesse persone detenute e, allo stesso tempo, ci deve essere una selezione adeguata del personale a occuparsi della sicurezza, che deve credere nel – e contribuire al – progetto educativo. Il lavoro è fondamentale nei progetti educativi, ma non è sufficiente, e non può essere l’unico fine per un’educazione che aspiri al ritorno in società delle persone private della libertà. È inoltre importante una liberazione progressiva delle persone incarcerate per permettere percorsi educativi più efficaci.

Bisogna infatti concentrarsi sull’educazione non formale e informale per analizzare le esperienze di costituzione dei soggetti in carcere. In questo senso, si vede la necessità di pensare accuratamente anche alla formazione del personale penitenziario e dei volontari al suo interno. Notevole è anche l’educazione tra pari che le persone detenute svolgono tra di loro e che può avere una grande influenza nell’inserimento in un progetto educativo o all’interno di organizzazioni criminali.

Le APACs ci insegnano inoltre che anche le istituzioni e la società devono essere “rieducate” a vedere le persone condannate come esseri umani che devono ritornare in società. In questo senso, è necessaria una progressiva apertura alla società degli spazi di reclusione e della società per le persone che si incontrano recluse. Attraverso misure che aumentino sempre di più gli spazi di incontro, si possono ricostituire i legami interrotti tra le persone detenute e la comunità al di fuori.

Vediamo però ancora che le APACs si basano su una dipendenza dal sistema carcerario comune, come altre alternative al carcere, che rappresenta una presenza che oscura ogni scelta definita “libera”. La mancata partecipazione alle attività può comportare infatti un regresso alla prigione.

Questo è particolarmente problematico se pensiamo che differenti lavori nelle unità non sono pagati, che la “spiritualità” è ritenuta obbligatoria e che, nonostante ci sia una riflessione in corso, nelle APACs ancora non sono ufficialmente considerate le religioni non cristiane, in particolare quelle afro-discendenti diffuse in Brasile.

Bisogna inoltre sottolineare come si senta la mancanza, nel modello, di una forte critica all’incarceramento in massa particolarmente evidente in Brasile e denunciato da differenti ricercatori[49] – con i suoi connotati razzisti e classisti – e l’eccessivo peso attribuito alle famiglie nel processo di incarcerazione, che può mascherare le cause strutturali nei processi di selettività penale[50].

Un’educazione che riguardi le persone incarcerate non può infatti prescindere dal funzionamento dell’istituzione carceraria nella società contemporanea[51]. Senza questa conoscenza, il rischio è quello di riprodurre, all’interno delle proposte educative, stereotipi e risposte punitive anche quando non sarebbero necessarie.

Quella delle APACs può essere una proposta educativa alternativa a quella che si ritrova nel sistema carcerario comune, ma non certamente l’unica. Pensando al carcere come a una “situazione-limite”[52], si sente la necessità di studiare quindi altre proposte educative concrete, altri inéditos viáveis[53], inedite e percorribili, per le persone appenate che facciano emergere altri possibili cammini educativi superando le criticità individuate.

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Sergio Grossi ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Padova e l’Università Federale Fluminense di Rio de Janeiro, è laureato in filosofia, cognizione e psicologia presso l’Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea magistrale in Progettazione e gestione degli interventi educativi nel disagio sociale.  Parte di questa magistrale è stata completato a Parigi X Nanterre. Ha effettuato ricerche e ha lavorato come educatore sociale in carcere, con adolescenti privati della libertà, persone senza fissa dimora, richiedenti asilo, persone con sofferenza mentale e prostitute vittime della tratta di esseri umani. La sua attuale ricerca si sviluppa in un dialogo critico tra educazione degli adulti, sociologia carceraria e criminologia critica, analizzando concezioni e pratiche educative in progetti di reinserimento sociale definiti alternativi.

 

[1] Departamento Penitenciário Nacional (DEPEN), Levantamento Nacional de Informações Penitenciárias – Infopen Mulheres, 2a Edição, Ministério da Justiça e Segurança Pública, Brasília 2018; S. Grossi, Un’altra Educazione è Possibile Nelle Prigioni? Il Caso Dell’Associazione Di Protezione e Assistenza Ai Condannati (APAC), Tesi di dottorato discussa presso l’Università di Padova, Padova 2020.

[2] E. F. Julião, Escola Na Ou Da Prisão? in “CEDES [Online]”, n. 98, 2016, pp. 25-42.

[3] È possibile, per le persone private di libertà in Brasile, diminuire la pena attraverso la lettura e la scrittura di riassunti.

[4] Departamento Penitenciário Nacional (DEPEN), Levantamento Nacional de Informações Penitenciárias Atualização - Junho de 2016, Ministério da Justiça e Segurança Pública, Brasília 2017.

[5] E. Goffman, Prisoes, Manicomios e Conventos, Perspectiva, São Paulo 1996.

[6] M. Foucault, Vigiar e Punir: Nascimento Da Prisão, Vozes, Petropolis 2004.

[7] C. Amorim, Comando Vermelho: A História Do Crime Organizado, Editora Record, Rio de Janeiro 1993; B. P. Manso e C. N. Dias, A Guerra: A Ascensão Do PCC e o Mundo Do Crime No Brasil, Editora Todavia, São Paulo 2018.

[8] Fórum Brasileiro de Segurança Pública (FBSP), Anuário Brasileiro de Segurança Pública 2014 a 2017 - Facções Prisionais No Brasil 2018, São Paulo 2018.

[9] Instituto de Pesquisa Econômica Aplicada (IPEA), Fórum Brasileiro de Segurança Pública (FBSP), Atlas Da Violência 2018, São Paulo  2018.

[10] A. C. G. Costa, Socioeducação: Estrutura e Funcionamento Da Comunidade Educativa, Secretaria Especial dos Direitos Humanos, Brasília 2006; A. C. G. Costa, Por Uma Política Nacional de Execução Das Medidas Socioeducativas - Conceitos e Principais Norteadores, Presidência da República Secretaria Especial dos Direitos Humanos, Brasília 2006; E. F. Julião, Escola Na Ou Da Prisão?, in “CEDES [Online]”, n. 98, 2016, pp. 25–42; E. F. Julião, F. Rodrigues, A. C. Godinho, Política Nacional de Educação Nos Espaços de Privação de Liberdade: Análise Da Organização Da Educação Escolar e Não Escolar Nos Planos Estaduais de Educação Nas Prisões, in AA. VV., Educação Em Prisões: Princípios, Políticas Públicas e Práticas Educativas, CRV, Curitiba, 2018.

[11] Conselho Nacional do Ministério Público, A Visão Do Ministério Público Sobre o Sistema Prisional, Gráfica e Editora Movimento, Brasília 2016.

[12] Non è così facile una comparazione tra i due sistemi, in quanto le APACs attraggono una parte della popolazione detenuta che sceglie di lavorare e studiare. Una discussione approfondita di questi dati si può incontrare in  S. Grossi, Un’altra Educazione è Possibile Nelle Prigioni? Il Caso Dell’Associazione Di Protezione e Assistenza Ai Condannati (APAC), op. cit.

[13] Mecanismo Nacional de Prevenção e Combate à Tortura (MNPCT), Relatório Anual (2017), 2018, url: http://pfdc.pgr.mpf.mp.br/temas-de-atuacao/tortura/relatorios-mnpc/mnpct-relatorio-anual-2017-2018; Pastoral Carcerária, Tortura Em Tempos de Encarceramento Em Massa, 2018, url: https://carceraria.org.br/wp-content/uploads/2016/10/Relatório_Tortura_em_Tempos_de_Encarceramento_em_Massa-1.pdf.

[14] Ministério da Justiça e Segurança Pública, Estudo Preliminar a Metodologia APAC e a Criação de Vagas No Sistema Prisional a Partir Da Implantação de Centros de Reintegração Social, 2019, url: http://depen.gov.br/DEPEN/depen/ouvidoria/EstudoPreliminarAMetodologiaAPACeaCriacaodevagasnoSistemaPrisionalapartirdaImplantacaodeCentrosdeReintegracaoSocialSITE.pdf.

[15] M. Ottoboni, Vamos Matar o Criminoso? Método APAC, Paulinas, São Paulo 2014.

[16] S. Grossi, Un’altra Educazione è Possibile Nelle Prigioni? Il Caso Dell’Associazione Di Protezione e Assistenza Ai Condannati (APAC), op. cit.

[17] M. Ottoboni, Vamos Matar o Criminoso? Método APAC, op. cit.

[18] Ivi., p. 65.

[19] Abbiamo notato una riduzione dei volontari impegnati nelle unità conformemente alla professionalizzazione delle unità e all’assunzione di funzionari stipendiati. Per approfondire vedi S. Grossi, Un’altra Educazione è Possibile Nelle Prigioni? Il Caso Dell’Associazione Di Protezione e Assistenza Ai Condannati (APAC), op. cit.

[20] F. Valdeci, Juntando Cacos, Resgatando Vidas, O Lutador, Belo Horizonte 2016.

[21] M. Ottoboni, Vamos Matar o Criminoso? Método APAC, op. cit., p. 66.

[22] Ivi, p. 67.

[23] Ibidem.

[24] Ivi, p. 70.

[25] Nella legislazione brasiliana, ogni dodici ore di scuola o tre giorni di lavoro la pena totale può essere abbreviata di un giorno.

[26] M. Ottoboni, Vamos Matar o Criminoso? Método APAC, op. cit.

[27] Ibidem.

[28] Ivi. p. 77.

[29] Ibidem.

[30] M. Ottoboni, Vamos Matar o Criminoso? Método APAC, op. cit.

[31] Ibidem.

[32] La Pedagogia della presenza, sintetizzando, è una corrente di pensiero che afferma che la presenza dell’educatore, che si manifesta soprattutto nella creazione di un autentico legame con l’educando, è fondamentale per stimolarlo ad esplorare il suo potenziale e a favorire le condizioni di apprendimento, vedere: V. Ferreira, Juntando Cacos, Resgatando Vidas, op. cit.

[33] A. C. Gomes da Costa, Pedagogia Da Presença: Da Solidão Ao Encontro - Introdução Ao Trabalho Sócio-Educativo Junto a Adolescentes Em Dificuldades, Modus Faciendi, Belo Horizonte 2010.

[34] Ibidem.

[35] La giustizia riparativa è un modo diverso di pensare il crimine e la risposta al crimine che si concentra sulla riparazione dei danni causati dalla criminalità e sulla riduzione dei danni futuri attraverso la prevenzione della criminalità. Si richiede che i trasgressori si assumano la responsabilità delle loro azioni e del danno che hanno causato e cerchino un risarcimento per le vittime. Il risarcimento da parte dei colpevoli è finalizzato al reinserimento di entrambi all’interno della comunità e richiede uno sforzo di cooperazione da parte delle comunità e del governo. Vedi: F. L. A. Silva, Método APAC: Modelo de Justiça Restaurativa Aplicada à Pena Privativa de Liberdade, Uniflu, Rio de Janeiro 2007; Centre for Justice & Reconciliation, What Is Restorative Justice?, 2020, url: http://restorativejustice.org/restorative-justice/about-restorative-justice/tutorial-intro-to-restorative-justice/lesson-1-what-is-restorative-justice/#sthash.HMuJ50OU.XhC0x22c.dpbs.

[36] Nelle APACs visitate, abbiamo riscontrato che – contrariamente a quanto presentato da Ottoboni – molti degli incarichi ricoperti dal personale volontario vengono pagati normalmente dallo Stato o da altri enti, oppure sono affidati a stagisti, vedere: S. Grossi, Prisões Sem Polícia: Um Encontro Com as APACs (Associação Para a Proteção e Assistência Dos Condenados) Brasileiras, in Aa. Vv., Políticas Públicas En Defensa de La Inclusión, La Diversidad y El Género, ed. Nieves Sanz Mulas, a cura di R. Guzmán Ordaz, M. C.  Gorjón Barranco, N. Sanz Mulas, Universidad de Salamanca, Salamanca 2019, pp. 55–78, url: http://girdiversitas.usal.es/wp-content/uploads/2019/05/Políticas-públicas-en-defensa-UV.pdf.

[37] È possibile constatare tuttavia che, nel contesto d’espansione attuale delle APACs, i fondi pubblici stanziati dallo stato di Minas Gerais rappresentano la principale fonte di sostentamento delle unità, mentre le raccolte fondi costituiscono solamente una minima parte delle entrate totali, instaurando una stretta dipendenza delle APACs dal potere pubblico statale.

[38] Ivi, p. 96.

[39] Ivi, p. 108.

[40] Attualmente, quando disponibile, anche le prime due fasi si svolgono in un CRS senza polizia.

[41] Anche se nel libro ufficiale non sono considerati altri culti, essi esistono di fatto nelle APAC (S. Grossi, Un’altra Educazione è Possibile Nelle Prigioni? Il Caso Dell’Associazione Di Protezione e Assistenza Ai Condannati (APAC), op. cit.). Esistono delle sperimentazioni di inclusione dell’Umbanda e il Candomblé (Ibidem), religioni di matrice africana che affrontano grandi problemi nell’inserirsi nel sistema penitenziario in Brasile e che nel 2010 costituivano lo 0,09% della popolazione di Minas Gerais, per un totale di 17.451 persone (Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística, Censo de 2010, 2010, url: https://ww2.ibge.gov.br/home/estatistica/populacao/censo2010/default.shtm), stato dove si sono sviluppate maggiormente le APAC.

[42] Tale “spontaneità obbligatoria” può dare luogo facilmente a comportamenti religiosi simulati per ottenere i benefici offerti dalle APACs.

[43] M. Ottoboni, Vamos Matar o Criminoso? Método APAC, op. cit., p. 115.

[44] Ivi, p. 116.

[45] Osserviamo che si sta diffondendo anche l’istruzione superiore che, a quanto sembra, viene offerta soprattutto attraverso accordi con università che impartiscono corsi a distanza.

[46] Abbiamo osservato che, nonostante questa prospettiva, la transizione attraverso i diversi regimi dipende dal consenso dei giudici e dei delegati di polizia, che possono avere visioni molto differenti riguardo il processo di reintegrazione sociale. In questo senso, come affermato, le APACs svolgono anche il lavoro educativo di convincere i giudici e la polizia che il recupero presso di esse è possibile.

[47] Ivi, p. 135.

[48] C. G. Costa, Socioeducação: Estrutura e Funcionamento Da Comunidade Educativa, Secretaria Especial dos Direitos Humanos,  Brasília 2006.

[49] L. Wacquant, As Prisões Da Miséria, Jorge Zahar, Rio de Janeiro 2011; J. Borges, Encarceramento Em Massa, Pólen Livros, São Paulo 2019; Pastoral Carcerária, Tortura Em Tempos de Encarceramento Em Massa, op. cit.; V. M. Pimenta, Por Trás Das Grades – o Encarceramento Em Massa No Brasil, Editora Revan, Rio de Janeiro 2018.

[50] L. Wacquant, Punishing the Poor: The Neoliberal Government of Social Insecurity, Duke University Press, Durham 2009; A. Baratta, Resocialización o Control Social: Por Un Concepto Crítico de ‘Reintegración Social’ Del Condenado, in Criminología Crítica y Sistema Penal, Comisión Andina Juristas y la Comisión Episcopal de Acción Social, Lima 1990, url: http://perso.unifr.ch/derechopenal/assets/files/articulos/a_20120608_01.pdf.

[51] S. Grossi, Educação Para Uma Prisão Alternativa Ou Uma Alternativa à Prisão? O Modelo Das Associações de Proteção e Assistência Aos Condenados (APACs) No Brasil e Os Debates Abolicionistas, op. cit.

[52] P. Freire, Pedagogia Do Oprimido, Paz e Terra, Rio de Janeiro 1987.

[53] P. Freire, Pedagogía Da Esperanca: Um Reencontro Com a Pedagogía Do Oprimido, Paz e Terra, Rio de Janeiro 2011.