Editoriale
Suona come un esplicito invito, questo numero di “Educazione Aperta”, a situare l’educazione all’aperto (!) e in natura (!): un invito che parte da una prospettiva pedagogica che restituisce significato allo spazio e alla progettualità necessaria a trasformarlo in ambiente relazionale e “sensibile”, e a farne “teatro” dell’incontro e delle infinite forme di comunicazione possibile. Un invito dunque che propone di aprire il discorso sugli spazi educativi ad uno sguardo d’insieme e alla complessità e varietà delle pratiche perché si riesca a mutare il sentire comune e orientarlo verso una concreta unità tra Scuola e Territorio.
La “svolta” all’aperto per la Scuola e la proposta educativa da cui emerge può sembrare una mera risposta alle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria da Covid-19. Ma uscire dagli spazi chiusi è un gesto che va oltre questa contingenza e porta con sé la necessità di una più ampia riconfigurazione degli spazi e delle pratiche educative: quella “uscita”, con tutte le esperienze concrete di cui questo numero è testimonianza, riattiva e legittima la sfera della sensorialità e della mobilità, fa spazio in maniera più esplicita alla corporeità perché quel “fuori” e quella natura verso cui si va e dentro cui si fanno accadere le cose suoni come “ambiente” di cui si è parte e quindi condizione (organica) del vivere e del coltivarsi. L’invito ad “uscire” mediato dalle tante esperienze ripercorse attraverso i diversi contributi presenti nel volume, danno sostanza alla pedagogia attiva, all’ipotesi bio-culturalista, alle scienze bio-educative, e quindi a quella certa cultura dell’educazione che sostiene e orienta, talvolta auspica, il delinearsi di politiche in grado di mobilitare i sistemi territoriali e le risorse locali per alimentare e dare vita alle comunità, attraverso una visione che si alimenta dei ‘classici’ e ne metabolizza le istanze di di-vergenza e di sapere critico.
L’esplorazione, l’osservazione, la sperimentazione, costituiscono la quotidianità degli attrezzi e delle pratiche che un’educazione all’aperto richiede e implica, ma sono soprattutto parte di un dispositivo pedagogico troppo spesso tenuto da parte o ridotto a momento residuale ed eccezionale che torna a far riflettere sulla necessità continuamente sperimentale degli ambienti e delle metodologie di apprendimento. In questo senso la lettura di questo numero di Educazione Aperta non va intesa come un nostalgico e arcadico ritorno alla natura quanto invece come segno per rintracciare l’attualità e l’emergenza della dimensione vitale e trasformativa che attraversa ogni essere vivente, e quindi segna un’altra cartografia utile a una ricognizione del pedagogico della condizione umana. Una ricognizione tra boschi e giardini, piante e animali, materiali e paesaggi differenti, che del “fuori” porta l’eccezionalità e la sconfinante imprevedibilità per restituire all’educazione, “dentro” o “fuori” che sia, quella matrice sensibile ludica e riflessiva che la rende spazio extra-ordinario di conoscenza e tras-formazione del mondo e del Sé. Una mappa-simbolo di un’educazione al sentire, di un apprendimento incorporato che richiede interazione e partecipazione e restituisce trasversalità allo sguardo ecologico come postura necessaria a riconnettere l’umano al cosmico e il singolare al plurale, riconoscendo come artificio necessario ogni gesto di Cura, ogni azione, in grado di trasformare il mondo in mondo-di-vita. Natura e artificio, proprio secondo questa cartografia, disegnano un unico esteso territorio attribuito all’infanzia ma che di fatto è proprio dei multiformi processi del vivere e dell’apprendere (continuo) che non ha età perché è di tutte le età e fa di natura e artificio, come di arte e scienze, le dimensioni attraverso cui la città/comunità si fa educante e opera verso quello che si può chiamare “piantare scuole”. L’invito a “uscire” a cielo aperto diventa come quello del “piantare scuole” perché “sento sia importante ricordarsi che il mondo è quel pane di cui abbiamo bisogno, un pane che poi abbiamo anche chiamato scuola per ricordarci di nutrircene quotidianamente e di saperlo preparare con la cura necessaria, perché poi nel vederlo lievitare si impari a lavorare con il tempo, a crescere in un ambiente e ad accogliere e generare l’inatteso. Il mistero e la bellezza racchiusi nell’incognita della crescita sono gli stessi del mondo biologico e di quello cosmico cui apparteniamo, e sono la materia viva” , danzante, che smuove e prova a fare spazio alla scuola e alla dimensione per-formativa dell’imparare/apprendere.
Da John Dewey a Maria Montessori, da Célestine Freinet a Jerome Bruner ed Edgar Morin, ciascuna esperienza ripercorsa negli scritti è testimonianza e attualizzazione di un sapere e di una “filosofia” che suona e risuona e si dà come “laboratorio”, come “teatro”, e introduce le categorie di esperienza e di lavoro come trasversali perché l’educazione assuma la qualità e la complessità della formazione. La lettura di questo numero di Educazione Aperta si configura come un percorso spaziante che ripensa la Scuola e attraversa spazi e ambienti differenti chiedendo loro di farsi parte di un sistema e di una strategia educativa e formativa in cui ciascuno partecipa di quello spazio generativo che chiamiamo comunità e che produce ricerca.
In conclusione due notizie: da questo numero “Educazione Aperta” verrà pubblicata prevalentemente in formato elettronico: riserveremo il cartaceo solo ad alcuni numeri. La rivista, inoltre, è stata inserita dall’Anvur nell’elenco delle riviste scientifiche dell’area 11- Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche.