Editoriale
Il numero 16 di "Educazione Aperta" si apre con un Primopiano incentrato su prospettive pedagogiche che emergono dalle lotte dei movimenti indigeni e afrodiscendenti del Brasile e che mettono in discussione spazi educativi omologanti e saperi dominanti di matrice occidentale, valorizzando visioni del mondo, apporti epistemologico-teorici e esperienze proprie di gruppi umani storicamente silenziati. Un valore importante degli articoli raccolti nella sezione tematica è che sono sorti da percorsi didattici, di ricerca e scrittura partecipativi e sono stati elaborati collettivamente, con il contributo determinante di autori indigeni e afrodiscendenti.
Gli autori di questi sei articoli sono tutti studenti e docenti di due istituzioni universitarie – l’Universidade do Estado do Pará e l’Universidade Federal do Pará – situate entrambe nella città di Belém, capitale dello Stato del Pará, nel cuore della regione amazzonica del Brasile. Sono appartenenti a queste due istituzioni anche i curatori del Primopiano, due dei quali – Joelma Alencar e Rodrigo Peixoto – sono stati identificati al di fuori della Comunità di Ricerca, con il proposito di allargare e rendere ancora più plurale il dibattito condotto dalla rivista.
La scelta di dedicare il Primopiano a un contesto geografico così specifico e che in qualche modo può essere percepito come molto distante da noi non vuole generare un sentimento di estraneità o peggio ancora un atteggiamento esotizzante. Al contrario, una riflessione approfondita su concezioni e pratiche educative posizionate, nelle intenzioni della Comunità di Ricerca, mira a complessificare anche nel nostro Paese il dibattito interculturale in un’ottica critica.
In questa prospettiva, è rilevante considerare i rapporti di potere dentro i quali avviene l’incontro tra persone e gruppi umani e, più nello specifico, analizzare la sfera del sapere in quanto terreno di conflitto connotato politicamente rispetto, ad esempio, alle scelte, in genere implicite, intorno a cosa è rilevante insegnare e apprendere e a come debbano realizzarsi i processi di insegnamento-apprendimento.
Il focus sul Brasile all’interno di questo numero ci permette di menzionare due eventi che, passati quasi in sordina nei media italiani, sono tuttavia molto significativi. Il primo è il disastro ambientale che ha colpito lo Stato del Rio Grande do Sul, nel Sud del Brasile. A fine aprile piogge intense hanno iniziato ad abbattersi sullo Stato provocando inondazioni, nello specifico giorno 29 l’Istituto Nazionale di Meteorologia ha emesso la prima allerta rossa e il 1° maggio è stato dichiarato lo stato di calamità pubblica.
Secondo la BBC Brasile, le piogge sono state il risultato di una combinazione di fattori, tra cui una massa di aria calda nell’area centrale del Paese che blocca il fronte freddo che si trova nella regione Sud, generando instabilità. Tra fine aprile e inizio maggio, inoltre, il fenomeno climatico conosciuto come El Niño, riscaldando le acque dell’Oceano Pacifico, ha contribuito ad aggravare l’instabilità. Tutto questo, infine, si è verificato in un quadro di riscaldamento globale, che – come è noto – aumenta e potenzia i rischi climatici.
Secondo i dati divulgati dalla Difesa Civile, attualmente sono 182 le morti accertate; mentre 31 persone continuano a essere disperse. Sono 2.398 milioni, inoltre, i danneggiati dalla catastrofe: l’impatto delle inondazioni ha coinvolto 478 dei 497 municipi dello Stato e 626.000 persone hanno dovuto abbandonare, in modo definitivo o temporaneo, la loro casa. Sono numeri inquietanti che dovrebbero ancora una volta farci riflettere sulla necessità di un cambiamento di paradigma radicale rispetto alla relazione con il pianeta, soprattutto in rapporto a parti del mondo che sono state, e per certi versi continuano a essere, vittime di un modello imperialista di sfruttamento indiscriminato delle risorse.
Il secondo evento cui vogliamo fare riferimento è il lungo e intenso sciopero che ha mobilitato istituti e università federali del Brasile, unendo, dopo più di due decenni, tecnico-amministrativi e docenti. Per quanto riguarda quest’ultima categoria, lo sciopero è iniziato a metà aprile e si è concluso all’inizio di luglio, raggiungendo nel suo momento apicale 65 istituzioni. Le principali rivendicazioni sono state: l’aumento degli investimenti per le università, l’adeguamento degli stipendi all’inflazione che ha colpito duramente il Paese negli ultimi anni, la riformulazione della carriera, il riconoscimento di diritti finora negati ai pensionati e la revoca dei provvedimenti autoritari promulgati durante i governi di Michel Temer e Jair Bolsonaro.
Al di là degli accordi firmati con il governo, rispetto ai quali si registrano polemiche accese all’interno delle due categorie protagoniste dello sciopero, le analisi convergono nel segnalare la natura politica più che sindacale dei suoi guadagni. La mobilitazione, infatti, ha avuto il merito di portare all’attenzione di brasiliani e brasiliane l’università pubblica, che soprattutto nelle regioni più impoverite del Paese – come il Nord e il Nord-Est – versa in condizioni precarie. Ha, inoltre, avuto il merito di mettere in luce le contraddizioni di un governo, eletto e sostenuto da forze progressiste, ma che appare fortemente limitato da pressioni internazionali di carattere neoliberista, orientate a rafforzare il settore privato a detrimento del settore pubblico. Il governo Lula, infatti, non ha sconfessato le politiche di austerità portate avanti dai suoi predecessori, che bloccano gli investimenti in settori di primaria importanza, come l’istruzione e la salute, in un Paese in cui l’accesso a questi beni è stato storicamente negato alla maggioranza della popolazione.
Nel menzionare questa mobilitazione, l’auspicio è che anche in Italia l’attenzione possa tornare a farsi più viva rispetto agli interventi autoritari che stanno colpendo scuola e università. Uno degli ultimi, di particolare gravità, è stato segnalato l’8 giugno, in un comunicato di Flc Cgil. In particolare, il comunicato denuncia l’uso antidemocratico della legge annuale di semplificazione normativa da parte del governo Meloni, che si propone di intervenire sulle politiche scolastiche attraverso lo strumento dei decreti legislativi, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge. Tra i vari aspetti menzionati, è particolarmente allarmante l’intenzione di ridefinire funzioni e competenze degli organi collegiali – tradizionali presidi di discussione e partecipazione all’interno delle istituzioni scolastiche. Per quanto riguarda l’Università, il già esiguo fondo per il finanziamento ordinario è stato ridotto dai 9,2 miliardi del 2023 a 9 miliardi. Per il resto, la ministra Anna Maria Bernini ha istituito un nuovo gruppo di lavoro che dovrà elaborare delle proposte rispetto alla governance degli atenei, lo stato giuridico della docenza universitaria e l’offerta formativa, nel segno dell’efficienza e della razionalizzazione o – detto in altri termini – dei tagli alle risorse.