Editoriale
Le percezioni della pandemia così come le risposte individuali e collettive sono cambiate nel corso dei mesi, eppure la metafora che associa questo evento a una guerra ha continuato a essere dominante e persistente nel discorso pubblico. Pensiamo al termine “coprifuoco” che di recente ha iniziato a essere usato per identificare la misura di contenimento del contagio, che prevede la riduzione dell’orario in cui è possibile stare fuori casa. Questo linguaggio è stato problematizzato da più parti; in particolare, nell’ultimo Grande Seminario della Comunità filosofica femminile Diotima che si è tenuto lo scorso ottobre, Lucia Vantini ne ha sottolineato la tendenza a distorcere l’esperienza, riportando tutto allo scontro con un nemico e senza dare conto dell’essenziale: ovvero il nostro desiderio di legami con cui spartire la vita. Il linguaggio bellico, infatti, ci spinge a ricercare il colpevole, ci rende sospettosi e rivali gli uni degli altri, riduce la nostra azione a una mera difesa dell’esistente.
La necessità di prendere le distanze da questo immaginario è stata probabilmente la ragione profonda, anche se non subito evidente e dichiarata, che ci ha spinti a dedicare questo numero di “Educazione Aperta” all’educazione nei contesti di conflitto armato e post-conflitto. L’intento non è solo di contribuire a un’operazione di ordine simbolico ma anche di ampliare l’orizzonte rispetto ai conflitti armati, mostrando le risorse, fragili ma pure imprescindibili, che l’educazione è capace di attivare o potenziare persino in situazioni caratterizzate da violenza estrema, oppressione e negazione dei diritti umani. I quattro articoli che compongono il Primopiano dunque discutono il tema del conflitto in un’accezione molto specifica; allo stesso tempo, esplorano metodologie e pratiche nonviolente e partecipative che, pur essendo nate dal lavoro con persone direttamente colpite dalle guerre, sono foriere di possibilità trasformative anche per altri spazi e tempi.
A “una madre di tutte/i noi”, Lidia Menapace, dedichiamo la citazione della copertina. Si tratta di un passaggio di un suo intervento in occasione del 25 aprile del 2018 nel cortile della Scuola di Pace di Monte Sole, durante il quale spiegava come la sua iniziale paura delle armi si sia gradualmente trasformata in una posizione disarmista e poi compiutamente nonviolenta. Il pluralismo di tematiche e voci caratterizza, come di consueto, le sezioni Esperienze e Studi e Blog. Quest’ultima tuttavia ospita anche cinque testi, che interloquiscono gli uni con gli altri, essendo stati elaborati in un percorso di discussione e scrittura collettiva. Si tratta di contributi che analizzano l’impatto della pandemia e delle misure di contenimento del coronavirus in alcuni servizi educativi, a partire da un punto di vista interno e contestuale, e che pertanto contribuiscono a mettere a fuoco le questioni aperte di un momento storico che certamente resterà impresso nella memoria collettiva. Un numero sulle narrative della pandemia come guerra e sulla guerra come dispositivo di disumanizzazione e come sfida alle pratiche educative. Due temi che interpellano la ricerca pedagogica e la sfidano a ripensarsi nel doloroso e fecondo frangente storico che stiamo attraversando.