Dimenticanza o negligenza? | Oversight or negligence? 

PDF: DOI 10.5281/zenodo.6855543

Tutti i paesi che hanno a cuore la convivenza civile, pacifica e gentile tra i loro concittadini hanno nella costituzione un articolo che fa riferimento all’uguaglianza.
La Francia, ad esempio, e la Germania.
Questo è l’articolo 3 della nostra costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Sintetico. Chiaro. Non ammette discussioni.
Sono intenzioni, naturalmente.
Dichiarazioni di principio.
Poi, nella realtà le cose vanno ben diversamente. Ma la Costituzione è lì a indicare la strada, a fare da punto di riferimento.
Una bussola relazionale.
I diritti che regolano l'uguaglianza hanno bisogno di tempo e di impegno per essere realizzati.
Lo sanno bene le donne, i malati, i poveri.
Tutte le posizioni deboli di una società fanno una grande fatica a essere trattate bene, come uguali, da chi si sente superiore, perché è più ricco, più competente, ha più potere.
Oppure semplicemente è un maschio.
La parità, che è un conetto che fa parte della costituzione della Democrazia Affettiva, è diversa dall’uguaglianza (nessuno è uguale a nessuno) e nasce dalla consapevolezza che potrebbe essere più facile vivere in una società che rifiuta l’uso della forza e quindi di fare di qualsiasi tipo di gerarchia un modello che non ha alternative.
Democrazia Affettiva si impegna a costruire una società tra pari, nella quale si sta insieme sempre, contro mai.
Tra pari nessuno tratta l’altro dall’alto al basso, mentre la gerarchia crea e nutre solo relazioni conflittuali, scortesi, malate.
Insomma, per quanto si facciano discorsi di principio, la nostra è una società nella quale i diritti si conquistano, vengono concessi, non sono riconosciuti per nascita.
La nostra società è intrinsecamente conflittuale.
O hai un qualche potere contrattuale oppure ti adatti.
Lo sappiamo tutti. Lo consideriamo inevitabile.
Se vuoi ciò che è tuo, cioè la libertà diessere quello che vuoi essere, devi combattere e conquistartelo.
Le donne hanno un ruolo fondamentale nella rigenerazione della società in cui viviamo.
Siamo loro grati? Facilitiamo la loro vita? Le trattiamo da pari?
No. La gravidanza, l’allattamento e i preconcetti su di loro costituiscono un rallentamento, se non un ostacolo insormontabile, alla realizzazione dei loro progetti di vita, e, fra gli altri, di quelli professionali.
Lo sappiamo bene tutti. La risposta della società si concretizza in una concessione: congedo per maternità e allattamento. Per quello che riguarda le opportunità di realizzazione viene loro riconosciuta una quota rosa.
Eppure non dovrebbero esserci distinzioni di sesso.
Ci sono poi i bambini. Chi è più debole e dipendente dalla società dei bambini?
Eppure le costituzioni non prendono mai in considerazione i bambini.
Una distrazione? Una dimenticanza?
Oppure, più semplicemente, le costituzioni si adattano a un pensiero comune e condiviso?
I bambini non godono degli stessi diritti degli altri cittadini.
Ben che vada sono cittadini minori.
Cittadini in formazione. Cittadini sotto esame. Cittadini del futuro. Cittadini con i quali si può essere scortesi. Non troppo. Non come anni fa.
La possibilità di essere cortesi si arresta a un certo punto, oltre il quale è previsto che noi adulti possiamo diventare scortesi.
Per il loro bene, per realizzare l’obiettivo educativo.
Non abbiamo nessuna responsabilità se ci troviamo ad andare oltre questo tenue confine. Dipende da loro, soprattutto dal fatto che non si adattano abbastanza velocemente. In questo modo ci fanno perdere non solo tempo, ma anche la pazienza.
Fino a quando non avranno raggiunto la maggiore età sono solo oggetti plasmabili sui quali viene esercitato il potere di educarli.
Così deve essere in una società gerarchica.
Tutte le strutture sociali che noi conosciamo, e sperimentiamo, sono gerarchiche. C’è chi comanda e chi obbedisce. E guai se non lo fa.  Con la quotidiana minaccia della ritorsione, della punizione. Per cose da nulla, per cose per le quali gli adulti non vengono puniti.
Le caserme, le carceri, le famiglie, sono esempi di modelli gerarchici.
Come possiamo immaginare che la scuola non lo sia? Come possiamo pensare che la scuola sia un focolaio sottovalutato di contagio della scortesia?
Perché dovremmo pensare alla scuola come a uno spazio relazionale e affettivo nel quale ognuno viene trattato come vorrebbe essere trattato?
Non c’è nessun motivo per pensare o costruire una scuola come un luogo di riflessione sui danni provocati dal potere.
A meno che qualcuno non si convinca che la società in cui vive viene migliorata proprio a partire dalla scuola.
Il problema dei problemi che mette a rischio la convivenza pacifica tra gli esseri umani è l’uso della forza, prima di tutto nel modello di crescita dei ragazzi.
La scuola potrebbe far valere i loro diritti a essere trattati con rispetto, come prevede la costituzione per qualunque altra categoria o condizione sociale?
Certo non è possibile se qualunque manifestazione di dissenso da parte loro, consentita a tutti gli altri cittadini, viene considerata come una insubordinazione, una resistenza ingiustificata. Una bizza o un capriccio. Qualcosa da educare ed eliminare. Anche a costo di qualche lacrima.
Questa voluta esclusione dai diritti di tutti gli altri ha certamente conseguenze per i bambini, ma ne ha anche per noi. Rende il nostro stare insieme più fragile. Più esposto al conflitto. La nostra vita, la vita di tutti noi è cominciata così.
Avere dimenticato i bambini, averli considerati minori rispetto a noi, aver proclamato con  grande soddisfazione che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, escludendo chi non ha ancora diciotto anni, permette a coloro che si occupano di bambini, dai genitori alle scuole, dai pedagogisti ai politici, di avere nei loro confronti un atteggiamento di superiorità che permette di essere poco cortesi, naturalmente sempre e solo a per fare quello che  paternalisticamente riteniamo sia il loro bene.
Forse i bambini sono esclusi proprio perché per loro e con loro non è prevista una convivenza pacifica.
In molti sostengono che è impossibile educarli senza litigare, fare fatica o fare conflitti.
E’ la mancanza di parità sancita dal silenzio nella carta costituzionale che consente di derogare alla cortesia nelle pratiche educative o sono i comportamenti scortesi con i bambini che determinano la negligenza costituzionale?
La scelta della risposta è importante.

Renato Palma, medico, psicoterapeuta, vive e lavora a Firenze.

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